Alea. Nella lingua latina alea è il dado, dunque, indirettamente, il gioco a dadi, e la stessa sorte imprevedibile che sovrintende al risultato del gioco. Applicato alla musica il concetto di alea vuol dire appunto l'inserimento di un elemento non predeterminato all'interno della composizione e della tecnica di composizione. Secondo la tradizione musicale occidentale, un brano musicale è interamente scritto, predeterminato, e una certa indeterminatezza si può avere solamente quando la prassi esecutiva preveda che l'interprete possa aggiungere un contributo personale al testo scritto (ad esempio negli abbellimenti, nelle variazioni, nelle cadenze di un'aria barocca). Fu John Cage, agli inizi degli anni Cinquanta, a rifiutare il concetto europeo della "artisticità" e ad esprimere una estetica della casualità - riflesso di filosofie orientali, per cui il rapporto della musica con il macrocosmo deve manifestarsi attraverso un ordine ignoto - concretizzata attraverso il sorteggio da libri di divinazione, e attraverso la piena libertà lasciata all'interprete. Intorno al 1957 le teorie di Cage vennero recepite e rielaborate dalle avanguardie europee, che vivevano il momento di crisi dello strutturalismo, ossia di quella scuola di pensiero che voleva ogni parametro musicale rigidamente predeterminato. Nacque così il principio di "alea controllata", per cui la forma del brano musicale diveniva "aperta", o meglio "mobile"; secondo uno dei procedimenti più diffusi, una composizione veniva formata da sezioni basate su materiale predeterminato, che tuttavia potevano sia avere delle varianti interne, sia venire proposte in un ordine interscambiabile, a discrezione dell'esecutore. Non dunque una vera e propria indeterminatezza, ma piuttosto lo sfruttamento di tutte le potenzialità virtualmente offerte dalla partitura musicale.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999