Atonalità. La parola antepone l'alfa privativa al termine "tonalità"; dunque si definisce per contrasto: "senza tonalità". Questa definizione è di per sé ambigua, in quanto non ha confini teorici precisi; piuttosto la "atonalità " è un fenomeno che ha una sua precisa collocazione storica, quella dei primi decenni del Novecento. Converrà dunque partire dall'idea di "tonalità": quel rapporto gerarchico fra i sette suoni della scala su cui si è unicamente basata la musica occidentale dagli inizi del XVII secolo al termine del XIX, e che è ancor oggi l'alfabeto musicale più consueto e riconoscibile all'orecchio dell'uomo occidentale; ci sono, con la tonalità, suoni più e meno importanti, la cui alternanza crea situazioni di tensione o di riposo all'orecchio. È a partire dal Tristan und Isolde di Wagner che l'uso sempre più intensivo degli altri cinque suoni presenti nell'ottava (quelli esclusi dalla scala di sette suoni) fa sì che i rapporti di gerarchia perdano riconoscibilità e che una continua tensione si sostituisca alla "tensione-distensione" legata alla scala di sette suoni. E soprattutto Schönberg che abbandona la tonalità stabilendo in un primo momento una libera anarchia, poi, dopo la guerra mondiale, una gerarchia basata sulla "serie" di dodici suoni, detta da altri dodecafonia. Dunque quando si parla di "atonalità" ci si riferisce a un momento antecedente alla invenzione della dodecafonìa, quello della "libera anarchia" fra i suoni. Anche molti altri autori si sono impegnati in un campo "atonale" (Webern fra gli altri), ciascuno seguendo propri principi. In qualche modo l'abbandono della tonalità riflette, nella crisi del linguaggio musicale, un momento di crisi e di passaggio nella storia europea.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 2001