Cantata. Il termine "cantata" viene impiegato all'inizio del XVII secolo in contrapposizione a "sonata" per indicare un brano musicale destinato alla voce piuttosto che alla sola pratica strumentale. Da questa generica destinazione la cantata assume nel corso del secolo le proprie caratteristiche, quelle di una pagina cameristica, spesso di contenuto profano o anche sacro, pensata per una o due voci e basso continuo. Se le cantate di Giacomo Carissimi alternano lo stile recitativo all'arioso, presto l'arioso viene sostituito dall'aria vera e propria, e, con Alessandro Scarlatti, dalla forma dell'aria col "da capo". Eseguita spesso nelle corti e nei palazzi nobiliari come trattenimento esclusivistico, la cantata si avvale di testi allegorici; l'esiguità dell'organico la rende uno dei generi musicali di maggiore produzione e diffusione, tanto che, a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, ne vengono scritte migliaia. Trapiantata in area tedesca, con l'aggiunta di altri strumenti, e addirittura dell'orchestra e del coro, la cantata diviene anche uno dei generi centrali del culto riformato, come mostrano le numerosissime cantate di Bach, ma anche quelle di Buxtehude e Telemann. Alla fine del XVIII secolo la cantata da camera è ormai scomparsa, e quella profana con orchestra assume la connotazione di composizione encomiastica, destinata a celebrare occasioni festive o luttuose delle corti nobiliari e reali; Haydn, Beethoven e Rossini non si sottrassero a questa prassi. È poi nel nostro secolo che il nome di cantata viene attribuito a una composizione sinfonico-corale o anche per voce e orchestra, di dimensioni non eccessivamente estese e di contenuto non rigidamente codificato; Berg, Webern, Bartók diedero così il nome di cantata a composizioni diversissime.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999