Ciaccona. Per l'ascoltatore moderno la "ciaccona" per antonomasia è quella che chiude la Partita II per violino di Bach; dunque un brano di somma complessità strumentale e concettuale. In realtà questa straordinaria pagina costituisce la stilizzazione strumentale più alta di una danza del XVI secolo, le cui origini sono piuttosto oscure. Lo stesso termine "ciaccona" non ha una chiara etimologia; lo si ritrova in Spagna accostato a aggettivi che suggeriscono una provenienza dal Nuovo Mondo, come "Chacona mulata", o "Indiana amulatada". Si trattava infatti di un tipo di canzone che si prestava ad essere danzata e ben presto il termine "ciaccona" indicò tout court una danza diffusasi all'inizio del Seicento dalla Spagna in Francia e Italia, le cui movenze licenziose sembra sollevassero spesso reazioni censorie. Alla fine del secolo, tuttavia, la ciaccona scomparve come danza di società, rimanendo impiegata invece nella musica strumentale e nel teatro musicale. Gli elementi che contraddistinguono la ciaccona sono il ritmo ternario e il disegno discendente della linea del basso, tale da formare un "periodo" che viene ripetuto sempre uguale innumerevoli volte fino alla fine del pezzo, mentre le voci superiori si sviluppano liberamente. Questo schema semplicissimo, che in origine si prestava evidentemente alla improvvisazione di una musica "popolare", doveva trovare fertile applicazione nella musica "colta" proprio per la possibilità di costruire variazioni di volta in volta rinnovate e sempre più complesse. In Francia la ciaccona si sviluppò secondo l'uso di un basso libero, e non ostinato come in Italia. Il termine poi divenne intercambiabile con quello di "passacaglia".

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999