Da capo. È un termine che si trova annotato con grande frequenza nelle partiture dell'età barocca (ma in realtà anche di altre epoche, come nei Minuetti e Scherzi della sinfonia classica e romantica) per indicare la ripetizione dì un brano musicale o, pìù specificamente, di una porzione di esso. Infatti l'espressione più corretta e completa è "da capo al segno"; l'abbreviazione serve a risparmiare al compositore la fatica di riscrivere materialmente una parte di musica che intende riproporre tale e quale. Di fatto la forma più strettamente legata a questa prassi è la cosiddetta "aria col da capo", che si vuole definita alla fine del XVII secolo da Alessandro Scarlatti. Si tratta di un'aria vocale divisa in tre sezioni: una prima parte (detta "A") più lunga in cui viene esposto il materiale musicale; una seconda parte (detta "B") più breve e dal contenuto in qualche modo contrastante; e una terza parte (detta "A1") che riprende testualmente la prima. In sostanza il compositore scrive materialmente solo le parti A e B, inserisce un segno distintivo alla fine di A, e scrive, alla fine di B: "D.C." ovvero "da capo al segno". La funzione del "da capo", tuttavìa, non era solo quella di far risparmiare energie al compositore nella definizione di partiture molto lunghe, come le opere del periodo, ma anche quella dì consentire all'interprete dell'aria di sfoggiare nel "da capo" (ovvero nella sezione A1) le proprie capacità di virtuoso, col variare la linea melodica e l'ornamentazione, sfruttando anche una abilità improvvisativa. In tal modo la ripetizione, lungi dall'essere testuale e tediosa, diventa il punto di approdo e il polo di attrazione della costruzione. Per questo è indispensabile, nella esecuzione delle arie col "da capo", tornare alla prassi esecutiva dell'epoca e al principio della componente creativa dell'interprete.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 2001