Dissonanza. Il concetto di "dissonanza" è strettamente legato a quello di "consonanza", di cui costituisce l'opposto. Da un punto di vista empirico, la consonanza è quell'agglomerato di suoni (o "accordo" come si dice con un termine tecnico) che risulta gradevole all'orecchio, mentre la dissonanza è quell'agglomerato che urta l'orecchio. Nell'armonia (cioè la teoria degli accordi) dell'età moderna viene considerato consonante un accordo "statico" (di tre suoni), cioè che può essere ascoltato in sé e per sé offrendo una impressione di riposo, mentre è dissonante un accordo "dinamico" (di quattro o più suoni), ossia che sembra richieda "naturalmente" di essere seguito da un altro accordo. Questa distinzione empirica ha trovato nel tempo moltissime giustificazioni di ordine teorico; nel senso che, per spiegare l'effetto consonante o dissonante, statico o dinamico, di un accordo sull'orecchio umano, sono state elaborate molteplici teorie basate sull'analisi scientifica di fenomeni fisici, quali i rapporti matematici fra i suoni, il numero dei "battimenti" ecc. Senonché lo stesso concetto di dissonanza si è evoluto nel tempo, tanto che accordi che nel medioevo erano considerati dissonanti vennero in seguito promossi a consonanti; e il rapporto consonanza/dissonanza, già considerato quello fra valore/disvalore, si è poi quasi ribaltato nel corso del nostro secolo, tramutandosi in disvalore/valore. Al centro si pone quel processo di "emancipazione della dissonanza" che parte dal Tristano di Wagner e che vede la dissonanza usata sia come macchia di colore sia come agglomerato che non necessita di essere seguito da una consonanza. Consonanza e dissonanza non sono dunque concetti oggettivi, bensì "culturali", condizionati cioè dal tempo e dallo spazio, nonché dall'abitudine d'ascolto dell'individuo.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999