Fantasia. Il nome "fantasia" è legato alla nascita e all'evoluzione della musica strumentale. Un medesimo nome è stato impiegato per definire tipi di composizioni estremamente differenti, non solo nel tempo ma anche negli stessi luoghi e negli stessi momenti storici. In definitiva il nome sta ad indicare una vera e propria attitudine dell'atto del comporre, in cui l'autore sceglie da sé medesimo le strutture formali e le rielabora a seconda del proprio estro. Ecco così che nel Cinquecento "fantasia" sta ad indicare un brano brillante e improvvisativo, o anche un brano dal carattere imitativo, cioè con una scrittura più rigorosa. È nel Seicento che la fantasia acquista la sua libertà dall'alternanza di situazioni contrastanti, come liberi recitativi e sezioni cantabili e omofoniche. Grande sviluppo hanno, su questo modello, le fantasie organistiche. Con l'avvento dello stile galante e dell'età del classicismo, la fantasia acquista una maggiore autonomia stilistica, aderendo a modelli diversi, come la forma sonata o il rondò. Nel corso dell'Ottocento, poi, il termine si piega a un significato ulteriore e più sottile; diviene infatti sinonimo di "sonata", ma di una sonata più libera, lontana da regole precise e tale da lasciare maggiore libertà creativa all'autore. È in questa accezione che scriveranno "fantasie" Beethoven, Schumann, Liszt. Nel tardo romanticismo la fantasia passa dal versante cameristico a quello orchestrale, come sinonimo di poema sinfonico. E nel nostro secolo il termine viene nuovamente impiegato nella stagione neoclassica, come ritorno alla prassi rinascimentale e barocca. Un'altra accezione del termine, fiorita nel secolo scorso, è quella di pot-pourri operistico, centone di melodie celebri realizzate sul pianoforte e destinate all'intrattenimento da salotto.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999