Madrigale. Il termine "madrigale" indica due tipi differenti di composizioni, fioriti il primo nel XIV secolo, il secondo a partire dal XVI. L'etimologia è incerta, potendo riferirsi tanto al fatto che i testi poetici erano nella lingua madre (="matricale") tanto al contenuto idilliaco e pastorale dei testi (="mandriale"). Nel caso del madrigale del Trecento, ci troviamo di fronte a una delle forme principali della cosiddetta "ars nova'' italiana, pensata per essere eseguita in sedi gentilizie, e destinata ad essere intonata, in volgare, da una o due voci con strumenti. L'articolazione era quella di una strofa, su parole sempre diverse, e di un ritornello, sulle medesime parole. Del tutto diverso il madrigale del Cinquecento, che trae origine dalla frottola, forma vocale colta derivata da un modello popolare, basata su un andamento omofonico e sull'alternanza strofa/ritornello. Anche i primi madrigali, dal 1520 circa, avevano andamento omofonico, ma si distinguevano per un'articolazione libera e non vincolata a strofe. Tuttavia, nel volgere di pochi decenni, il madrigale doveva acquisire quella mobilità polifonica, quella complessità di impostazione che competevano fino allora alla musica sacra. Così il madrigale doveva imporsi come la principale forma polifonica profana, scegliendo testi preziosi e cercando di tradurli in musica con immagini sonore ("madrigalismi") legate a una complessa simbologia. È sul finire del secolo che la nuova invenzione della monodia accompagnata rivoluziona il madrigale, affidando il testo solo alla voce (o voci) superiore, e il sostegno dell'armonia agli strumenti, secondo una tendenza "concertata". In seguito il termine venne impiegato per indicare composizioni polifoniche di vario tipo.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999