Notazione. Con il termine "notazione" ci si riferisce a un codice di segni grafici impiegato per mettere per iscritto un brano musicale. Il sistema di segni convenzionalmente impiegato nella musica occidentale degli ultimi secoli è in grado di indicare con relativa precisione l'altezza e la durata dei suoni, la loro concordanza simultanea nel tempo, le voci e/o gli strumenti prescelti per l'esecuzione, la velocità del brano e i segni espressivi. Tutto ciò al servizio di una concezione della musica per cui un brano musicale viene prima steso per iscritto da un autore e poi realizzato nella viva esecuzione, che costituisce la messa in pratica delle preesistenti idee dell'autore. Ben diverso il compito della notazione nella musica dell'evo antico e del medio evo; la musica era, infatti, prima di tutto un fatto legato alla pratica esecuzione con voci e strumenti, e la notazione serviva a tentare di fermare quei suoni che morivano nel momento stesso in cui venivano eseguiti. La prima notazione neumatica (dal greco neuma, segno) cercava di raffigurare approssimativamente la curva della melodia, senza precisare altezza dei suoni e ritmo. Con la notazione "diastematica" si fece il primo passo per cercare di stabilire un sistema di riferimento per l'altezza. Lo sviluppo della polifonia impose la necessità di schemi ritmici precisi, desunti dalla metrica greca. E il "mensuralismo" giunse a grande complessità con l'ars nova. Altri sistemi di notazione consistevano nel raffigurare la tastiera di uno strumento (le cosiddette "intavolature"). Ma una vera unificazione nei molteplici universi delle notazioni venne solamente con l'invenzione della stampa. Il moderno sistema di notazione è tuttavia inadeguato per determinate composizioni contemporanee, che fanno ricorso a notazioni del tutto nuove; o anche per musiche extraeuropee o non eurocolte, che necessitano di parametri non contemplati dal nostro sistema musicale.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999