Oratorio. L'"oratorio", al termine del XVI secolo, era un luogo riservato agli esercizi spirituali; di qui il passaggio del termine a indicare le manifestazioni musicali che in quegli stessi luoghi si svolgevano e che diedero luogo a un vero e proprio genere musicale autonomo. All'inizio del XVII secolo, nella Roma controriformistica, l'oratorio nacque dall'innesto della nuova monodia accompagnata, tipica anche del "dramma per musica", sulle laudi e i mottetti drammatici della tradizione. In sostanza soggetto sacro e sensibilità drammatica trovavano una sintesi che avrebbe poi assunto, nel corso dei secoli, forme sempre rinnovate. Ben distinti erano, alle origini, i tipi dell'oratorio "volgare" e dell'oratorio "latino", contraddistinto, quest'ultimo, dalla figura dello storico e dall'alternanza di pagine corali, solistiche e recitativi. Nella diffusione al di fuori di Roma, prevalse l'oratorio in lingua (quello latino sopravvisse a Venezia); ma ogni tradizione religiosa sviluppò le sue peculiari manifestazioni in questo campo. In Inghilterra, la proibizione di mettere in scena soggetti religiosi condusse alla definizione del genere drammatico portato da Händel alla sua apoteosi. Nei paesi tedeschi si impose l'oratorio basato sul testo letterale della narrazione biblica, che trovò le sue massime affermazioni in Schütz e nelle Passioni di Bach. Dopo gli oratori di Haydn, il genere non viene più coltivato con assiduità; in epoca romantica e poi nel Novecento si assiste alla creazione di pochi lavori isolati, che riflettono ormai personali esiti di fede più che una effettiva richiesta produttiva. Il termine "oratorio", inoltre, viene svincolato dal significato strettamente religioso, per indicare una forma drammatico-musicale da eseguirsi in concerto.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1999