Virtuosismo. Il terrmine "virtuosismo" è chiaramente un derivato di "virtù ", ossia una parola che, riferita a un individuo, gli attribuisce dei meriti intrinseci. Altro, e parallelo, derivato è "virtuoso ", ossia proprio l'individuo che possiede la "virtù". Eppure i derivati "virtuosismo" e "virtuoso" hanno assunto talvolta, nel corso del tempo, delle implicazioni opposte a questa che sembrerebbe la più logica attribuzione. In origine il "virtuoso", in campo musicale, era colui che appariva così specializzato nella tecnica esecutiva, vocale o strumentale, da attìngere appunto a un livello eccelso di preparazione, che gli consentiva di dissimulare le fatiche dell'esecuzione e di piegare il fattore tecnico in modo da trasformarlo in fattore espressivo. Anzi, l'esecuzione stessa, proprio per questa dissimulazione della fatica, diveniva una sfida alle umane capacità e dunque la conquista di una bravura esemplare. Se il virtuosismo vocale trova la sua massima affermazione nell'epoca del belcanto, in cui si afferma una concezione quasi strumentale della vocalità, il virtuosismo strumentale si impone invece soprattutto nell'età romantica, quando l'eccelsa tecnica strumentale di pianisti e violinisti diviene il mezzo imprescindibile per conquistare le nuove e vaste platee formate dal nuovo ceto borghese. E allora, tuttavia, che il virtuosismo viene anche inteso in un'ottica negativa, come preminenza di una sterile esibizione tecnica fine a se stessa rispetto ai valori espressivi ed emotivi che la musica dovrebbe comunicare. Il pensiero idealistico segna dunque il rifiuto e la condanna del virtuosismo. È solo con il superamento di questa scuola di pensiero, che tanta influenza ha avuto nella vita culturale italiana, che il virtuosismo è stato nuovamente accettato come qualità meritoria e positiva dell'interprete.

Arrigo Quattrocchi


Accademia Filarmonica Romana, Roma, 1998