Danza e finale da Sakuntala

Musica: Franco Alfano (1876 - 1954) Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 9 trombe supplementari (interne), 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, piatti, tam-tam, castagnette, tamburo basco, tamburo militare, grancassa, xilofono, 2 arpe, pianoforte, celesta, crotali, campanelli, 3 campane, archi
Composizione: 1923
Edizione: Ricordi, Milano, 1927
Guida all'ascolto (nota 1)

Dal fantastico poema drammatico Il riconoscimento di Sakùntala di Kalidasa, grande poeta indiano del VI secolo, Franco Alfano ha tratto la materia per l'opera: La leggenda di Sakùntala. Essa venne rappresentata per la prima volta, con vivo successo, al Comunale di Bologna il 10 dicembre 1921.

I brani che oggi vengono eseguiti sono quelli che aprpno e chiudono il III atto. All'inizio di questo, il re - il quale, per effetto della maledizione che l'irato asceta Durvass ha scagliato a Sakùntala, ha dimenticato il suo amore per la bellissima sposa - trovasi nel suo fastoso palazzo, immerso in solitudine amara e senza conforto. Invano delle fanciulle intrecciano danze (la Danza dell'ape: un'ape che aveva insidiato Sakùntala). Egli le fa smettere bruscamente per restar di nuovo triste e solo.

Nel finale dell'opera «due guardie conducono un pescatore, trovato in possesso di un anello,.. Lo scudiero, riconosciuto l'anello del re, porta il gioiello al suo Sovrano, di cui, poco dopo, s'ode la voce invocante: Sakùntala! Il Re ha riacquistato la memoria; ripreso dalla febbre d'amore chiama disperatamente la sposa ripudiata e ordina che sia cercata ovunque. Un rombo lontano interrompe l'estasi del Re. Lo scudiero reca la notizia che la fanciulla fu vista lanciarsi nello stagno delle ninfe; ad un tratto, una nube di fiamma la ghermì; gli eremiti si chinarono sul velo di lei, adorandolo come cosa sacra. Il Re cade tramortito. La scena s'oscura profondamente. E la lontana voce di Sakùntala, da prima sola, poi dominante un mormorio di voci minori, dice il perdono al Re, ed annuncia la venuta del figliuolo, giovine eroe del mondo. Un chiarore invade lentamente la scena. Dalle porte, dai giardini, la folla appare stupita, come in attesa di una rivelazione. Fra voci osannanti e squilli sempre più vibranti, ecco apparire i due eremiti. Uno di essi porla sulle braccia il fanciullo, coperto di veli. Il Re, destatosi dallo stupore, si genuflette, insieme col popolo, davanti all'erede atteso».

A. Della Corte


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Teatro Argentina, 14 ottobre 1953


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Ultimo aggiornamento 24 febbraio 2017