Die Kunst der Fuge (L'arte della fuga), BWV 1080


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)

Quattro fughe semplici:
  1. Contrapunctus n. 1
  2. Contrapunctus n. 2
  3. Contrapunctus n. 3
  4. Contrapunctus n. 4
Tre fughe di stretti con inversione:
  1. Contrapunctus n. 5
  2. Contrapunctus n. 6 a 4 in stile francese
  3. Contrapunctus n. 7 a 4 per augmentationem et diminutionem
Fughe doppie e triple:
  1. Contrapunctus n. 8 a 3
  2. Contrapunctus n. 9 a 4 alla duodecima con doppio contrappunto alla dodicesima
  3. Contrapunctus n. 10 a 4 alla decima con doppio contrappunto alla decima
  4. Contrapunctus n. 11
Canoni:
  1. Contrapunctus n. 12, Canone all'Ottava
  2. Contrapunctus n. 13, Canone alla Duodecima in Contrappunto alla Quinta
  3. Canon per augmentationem in contrario motu
  4. Canon alla ottava
Fughe invertite:
  1. Canon alla decima (contrapuncto alla terza)
  2. Canon alla duodecima (contrapuncto alla quinta)
  3. Fuga a 2 clavicembali (rectus); Alio modo Fuga a 2 clavicembali (inversus)
  4. Fuga a 3 soggetti
Organico: non precisato, probabilmente per strumenti a tastiera
Composizione: 1745 - 1750 circa
Edizione: H. Schubler, Lipsia, 1751 circa

Incompiuta

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le ultime composizioni scritte da Bach furono Das musikalische Opfer (L'Offerta musicale) BWV 1079 e Die Kunst der Fuge (L'arte della fuga) BWV 1080; quest'ultima opera colossale (un'ora e quaranta di musica nell'edizione integrale) è rimasta incompiuta. L'Offerta musicale, dedicata a Federico II di Prussia, è del 1747 e racchiude un ventaglio straordinario di canoni nelle forme più diverse (canone tematico, contrappuntistico, retrogrado, per aumentazione, a specchio, circolare, enigmatico) nell'ambito di una concezione artistica di alto magistero tecnico. L'arte della fuga fu composta tra il 1749 e il 1750 su un unico tema e comprende, per la parte ritenuta autentica, quindici fughe e quattro canoni, tutti segnati con l'indicazione originale di contrappunti, e costituenti un culmine di virtuosismo polifonico, forse concepito non tanto per l'esecuzione quanto per lo studio approfondito e dettagliato della forma musicale. Sin da quando è esplosa la Bach-Renaissance nel secolo scorso musicologi ed esecutori hanno cercato di capire e interpretare ognuno a suo modo questo lavoro al quale Bach non ha potuto dare un assetto definitivo per la cecità che lo aveva colpito. Per questa ragione L'arte della fuga è stata sottoposta a varie rielaborazioni, sia per orchestra da camera, con o senza fiati, sia per quartetto d'archi, oppure per due pianoforti, per organo, o ancora per uno, due o tre clavicembali, allo scopo di offrire una chiave di lettura diversa, ma ugualmente significativa ai fini della caratterizzazione di un tipo di musica in cui dottrina e arte confluiscono in una visione trascendentale della vita.

Per l'esecuzione di questa sera, Samuel Rhodes, viola del Quartetto Juilliard, ha scritto le note illustrative che seguono.


* * *

Johann Sebastian Bach - la sola menzione del suo nome è già sufficiente ad ispirare timore reverenziale in tutti noi che siamo in qualche modo coinvolti nella musica, sia come creatori, sia come esecutori, amatori o ascoltatori colti. La lista dei suoi successi è così imponente da fare di lui indiscutibilmente uno dei più grandi geni che il genere umano abbia prodotto in tutti i campi. Si potrebbe provare che il più significativo di questi successi è il fatto che il lavoro di tutta la sua vita rappresenta la "summa" e il trionfo del contrappunto - l'arte di combinare due o più linee melodiche - che si è accresciuta e sviluppata nella musica dell'Europa occidentale durante tutto il Rinascimento e il periodo barocco. Lo scopo consapevole di Bach nell'arte della fuga, che fu scritta proprio alla fine della sua vita, fu di mettere per iscritto in modo organico il compendio finale delle sue conoscenze nel campo della tecnica e dell'espressione del contrappunto della fuga. Attingendo all'esperienza acquistata nel comporre il Clavicembalo ben temperato, la Messa in si minore, la Passione secondo San Matteo, la Passione secondo San Giovanni, tutte le Cantate, le opere per organo ed innumerevoli altri lavori, chi altri, più agguerrito di lui, avrebbe potuto fare la stessa cosa?

L'arte della fuga contiene tutti gli espedienti intellettuali possibili: fughe doppie e triple, stretti di ogni genere, aumentazione e diminuzione, molti tipi di contrappunto invertibile, inversione totale delle tessiture, tutti derivanti dal soggetto più semplice possibile che è esposto proprio all'inizio dell'opera. Il vero miracolo di Bach è che questi aspetti intellettuali non sono vuoti espedienti virtuosistici ma parti integranti, ognuna delle quali contribuisce ad un dramma che ha in se stesso sufficiente ricchezza di esperienza emotiva per risuonare nelle profondità dell'anima umana! Bach è ad un tempo il più intellettuale e il più emotivo compositore di tutti i tempi.

Poiché il solo criterio compositivo dell'arte della fuga è l'interazione di quattro voci in uno stesso discorso, nessuno strumento o voce umana sono specificati per la sua esecuzione. Il lavoro è scritto in partitura aperta per quattro voci astratte, Soprano (S), Contralto (A) [in tedesco Alto - n.d.t.), Tenore (T) e Basso (B). Bach non voleva preoccuparsi di problemi esteriori pratici come limitazioni strumentali o vocali di estensione o di tecnica, indicazioni di carattere che potessero essere imposte da un testo, o compiacere il pubblico con brillantezza strumentale o speciali effetti. L'esatta combinazione strumentale impiegata da una determinata esecuzione dipende dal punto di vista degli esecutori e delle forze disponibili. Infatti, l'arte della fuga è stata trascritta per quasi tutte le combinazioni possibili che vanno da un solo strumento a tastiera alla grande orchestra e a vari tipi di complessi. Esaminiamo però i criteri che potrebbero regolare una realizzazione "ideale":

  1. le quattro voci debbono essere facilmente distinguibili una dall'altra e tuttavia avere la possibilità di fondersi a volte in una tessitura omogenea.
  2. ognuna delle voci deve essere fraseggiata individualmente nel modo più sensibile, e tuttavia adattarsi alla sua parte nella tessitura delle quattro voci come in un tutto.
  3. alle quattro voci deve esservi la possibilità di aggiungerne altre, fino a sei o sette, al fine di fornire conclusioni più piene a parecchi dei contrappunti.
  4. il complesso deve avere la gamma di espressione necessaria per dare la vita a un'opera della più grande interiorità e profondità.

Tutto ciò che precede non è forse l'esatta definizione dello scopo per cui fu creato il quartetto d'archi?

Perché allora l'arte della fuga non è un pezzo corrente nel repertorio dei quartetti? Vi è probabilmente un certo numero di ragioni, fra le quali il fatto che il quartetto d'archi, come ora lo conosciamo, in realtà incominciò ad esistere soltanto un po' più tardi nel XVIII secolo. Io credo, tuttavia, che la ragione principale è puramente una ragione pratica, cioè che le parti del Contralto e del Tenore parecchie volte nel corso dell'opera sono più basse dell'estensione del violino e della viola. Le edizioni esistenti dell'arte della fuga per quartetto risolvono questo problema o trasportando questi passaggi un'ottava sopra o trasferendo la voce di Contralto dal secondo violino alla viola. È un peccato snaturare così un'opera la cui linfa vitale dipende dalla pura progressione delle voci. È possibile risolvere il problema in un'altra maniera: adattando gli strumenti a conformarsi al contrappunto bachiano piuttosto che adattare il contrappunto a conformarsi agli strumenti. Nel caso della voce di Contralto ciò è facilmente risolvibile facendo suonare la viola al secondo violino nei passaggi troppo bassi. Per ciò che concerne la voce di Tenore abbiamo trovato un'interessantissima soluzione. Ho chiesto al maestro liutaio Marten Cornelissen di costruire uno strumento abbastanza grande che possa estendere, la gamma normale della viola di una quarta sotto. Cornelissen ha prodotto uno strumento che non solo è concepito per funzionare meravigliosamente in questa maniera modificata ma anche quando è accordato normalmente è una delle più belle viole che i miei colleghi ed io abbiamo mai ascoltato! Per queste ragioni, ciò che ascoltate oggi non è un arrangiamento o una trascrizione, ma semplicemente una fedele riproduzione di ogni nota scritta da Bach.

Vorrei ora fare una breve descrizione dell'arte della fuga per guidare l'ascoltatore ad apprezzare meglio il totale effetto emozionale dell'insieme.

I Contrapuncti I-IV comprendono la prima grande sezione dell'opera. Questi sono fughe introduttive dedicate alle esposizioni chiaramente separate del soggetto principale senza ancora nessun tentativo di impiegare mezzi più sofisticati.

CONTRAPUNCTUS I - Il soggetto principale, il tema conduttore dell'arte della fuga, è espresso dal Contralto (secondo violino) seguito dal Soprano (primo violino), Basso (violoncello) e Tenore (viola).

CONTRAPUNCTUS II - Ordine di entrata: B, T, A, S. Un motivo ritmico puntato è usato come conclusione del soggetto principale (MS) [abbreviazione dell'inglese "Main Subject" n.d.t.], formando la base degli episodi.

CONTRAPUNCTUS III - Basato sull'MS invertito, significante che il disegno è rovesciato con esattamente gli stessi intervalli. Ordine di entrata: T, A, S, B. Dopo l'esposizione, l'MS è alterato in un modo che si dimostrerà molto importante in seguito: gli intervalli sono riempiti con un ritmo puntato. Questa versione modificata viene udita prima contro tempo e poi in tempo. La tessitura armonica è estremamente cromatica.

CONTRAPUNCTUS IV - Anch'esso sull'MS invertito (i). Ordine di entrata: S, A, T, B. Il carattere è vivace e ritmico. Man mano che la fuga progredisce l'MS (i) è "teso" cosicché finisce ad un tono più alto di quello iniziale dando una forte torsione alla tessitura armonica. Verso la fine, l'MS (i) appare per la prima volta in strette imitazioni nella coppia di voci più basse seguita immediatamente dalla coppia delle voci alte.

Contrapuncti V-VII: formano la seconda grande sezione dell'opera. Questi sono dedicati ad un esauriente studio di:

  1. Stretto: dall'italiano, significa serrato insieme. Entrate del soggetto che si sovrappongono.
  2. Aumentazione: la presentazione del soggetto in una estensione di note due volte più lente del normale.
  3. Diminuzione: la presentazione del soggetto in una estensione di note due volte più veloci del normale.

In tutti e tre i Contrapuncti l'MS è impiegato nella variazione presentata nel Contrapunctus III. L'MS normale (n) e l'MS invertito (i) sono ugualmente usati.

CONTRAPUNCTUS V - Mette in evidenza lo stretto. Ordine di entrata: A (i), B (n), S (n), T (i). Sebbene nella maggior parte della fuga solo due voci si sovrappongano in ogni momento, vi sono due episodi in strettissima imitazione nei quali partecipano tutte e quattro le voci. Uno di questi è basato sull'MS (i) e l'altro sull'MS (n). L'MS è accorciato in cinque battute in entrambi gli episodi dando una torsione ritmica meravigliosamente irregolare alla musica. La frase conclusiva mette in evidenza sia l'MS (n) sia l'MS (i) esposti simultaneamente poiché il numero delle voci aumenta a sei, dirigendosi verso una cadenza di chiusura splendidamente piena.

CONTRAPUNCTUS VI, in stile francese - È nello stile dell'Ouverture francese, e ciò significa che la caratteristica ritmica principale è un ritmo puntato, marcato, quasi scandito che contribuisce a creare un carattere maestoso. Lo stretto e la diminuzione (d) sono combinati. Ordine di entrata: B (n, n), S (i, d), A (n, d), T (i, d).

CONTRAPUNCTUS VII, per Augmentationem et Diminutionem - Vi sono tre categorie ritmiche per l'MS in questa fuga, tutte procedenti contemporaneamente e sovrapponentisi in vari modi. La più lenta di queste è l'aumentazione (a) che si ode una volta in ogni voce, poi viene la normale, e poi la diminuzione. Inoltre la maggior parte del materiale riempitivo nel mezzo è basato su una versione doppiamente diminuita (dd) dell'MS. Questo schema è illustrato nel seguente diagramma che mostra le entrate iniziali e le durate approssimative dell'MS:

Diagramma Contrapunctus VII

Contrapuncti VIII-XI: nella sezione successiva sono introdotte fughe multiple. I Contrapuncti VIII e XI sono fughe sugli stessi tre soggetti: l'XI impiega le forme invertite dei soggetti dell'VIII. I Contrapuncti IX e X sono fughe su due soggetti. In ognuna di queste fughe multiple, uno dei soggetti è basato sull'MS o su una delle sue alterazioni.

CONTRAPUNCTUS VIII - È per sole tre voci (S, T, e B), per la prima volta è stata spezzata la tessitura a quattro voci. Il soggetto I è introdotto dapprima da solo, ordine di entrata: T, B, S. Il soggetto II, una sequenza di note veloci, discendenti e ripetute, entra più tardi, ma è sempre udito con il I, mai da solo. Il soggetto III è una nuova variazione dell'MS (i) in note di valore uguale disseminate di pause. Soltanto nella sezione conclusiva tutti e tre i soggetti sono esposti insieme.

CONTRAPUNCTUS IX, alla Duodecima. Questa è una fuga doppia nella quale il soggetto I, una veloce e vivace figurazione, inizia da sola (ordine di entrata: A, S, B, T.) prima di combinarsi con il soggetto II, l'MS nella sua forma originale. I due sono combinabili cosicché quando il II è al di sopra del I, la relazione di intervallo è l'ottava; quando il I è al di sopra del II, la relazione è la duodecima.

CONTRAPUNCTUS X, alla Decima - È anche questa una fuga doppia. A causa del suo cromatismo e della sua toccante ascesa (o discesa se in inversione), il soggetto I fa di questo pezzo forse il più profondamente commovente dell'intera opera. Il soggetto II è l'MS (i) nella forma presentata nel Contrapunctus III. I due soggetti sono combinati come segue: quando il I è più alto del II, è esposto alla decima, quando è più basso, è all'ottava. Poiché tutti e due i soggetti possono essere combinati con se stessi in terze o seste, nella sezione conclusiva della fuga si presentano le situazioni descritte qui sotto:

S II S I S II S
A II A I A A I
T T T I T I
B I B II B I B II
contr. = contrastante

CONTRAPUNCTUS XI - È una fuga tripla a quattro voci, e impiega i soggetti invertiti dell'VIII. Il soggetto II non è invertito alla lettera, ma dà tuttavia l'impressione di procedere nella direzione inversa dell'VIII. Inizia con il soggetto III (MS n) da solo, ma subito dopo tutti e tre i soggetti sono combinati in ogni modo possibile. L'XI dà l'impressione di iniziare là dove l'VIII aveva cessato e poi procede in territori molto al di là di ogni cosa udita prima. Infatti esso costituisce un culmine stupendo che corona la prima parte del programma.

La seconda parte si apre con quattro canoni a due voci. Ognuno è basato su una variazione fiorita separata dell'MS (n oppure i). Lo stile è simile alle invenzioni a due parti. In un canone, la seconda voce che entra ripete esattamente (talvolta con minime modificazioni) ciò che ha fatto la prima voce ad un dato rapporto di intervallo.

CANON ALL'OTTAVA - La voce più bassa segue la più alta esattamente alla distanza di un'ottava dal principio alla fine.

CANON ALLA DECIMA - Contrappunto alla Terza significa che il canone procede all'ottava o alla terza. Inizia con la voce più bassa che conduce e la più alta che segue a una decima (stessa cosa della terza) più alta; a metà le voci si invertono e la più bassa segue la più alta all'ottava.

CANON ALLA DUODECIMA IN CONTRAPPUNTO ALLA QUINTA - Significa che il canone procede sia all'ottava sia alla quinta. Inizia alla duodecima (la stessa cosa della quinta) con la voce più bassa che conduce: a metà le voci si invertono di nuovo e la più bassa segue la più alta all'ottava.

CANON PER AUGMENTATIONEM, CONTRARIO MOTU - In questo pezzo di virtuosismo compositivo la voce più bassa risponde alla più alta con una estensione di note due volte più lente, proponendo il disegno degli intervalli in direzione esattamente inversa (con minime eccezioni); a metà le voci scambiano le loro posizioni.

Contrapuncti XIII e XII: sono ambedue pezzi totalmente invertibili. Bach li trascrisse con l'inversus su righi di partitura al di sotto del rectus per facilitare il paragone. Noi eseguiamo prima il XIII, giudicando che il suo carattere vivace e la tessitura a tre voci siano specialmente adatti dopo i canoni, mentre il carattere triste e la tessitura a quattro voci costituiscano una migliore transizione al monumentale Contrapunctus XIV.

CONTRAPUNCTUS XIII A 3, RECTUS ET INVERSUS - È una vivace invenzione a tre parti che è basata su una variazione particolamente florida dell'MS. Inizia come una fuga con la risposta in inversione, ma continua liberamente. L'inversus che è eseguito immediatamente dopo il rectus, è costruito in modo che il suo S è l'inversione dell'A del rectus; il suo A è l'inversione del B del rectus, e il suo B è l'inversione del S del rectus. Bach fece una trascrizione di questo pezzo per due strumenti a tastiera, nella quale aggiunse una parte separata e indipendente sia per il rectus sia per l'inversus.

CONTRAPUNCTUS XII A 4, RECTUS ET INVERSUS - Questa coppia di fughe, specialmente l'inversus, hanno un timbro particolarmente scuro, intenso poiché sono favoriti i registri più bassi degli strumenti. Essi usano l'MS, in triplo metro, dapprincipio totalmente disadorno, poi abbellito riempiendo gli intervalli. L'ordine di entrata è dal basso verso l'alto nel rectus (B, T, A, S) corrispondente all'alto verso il basso nell'inversus (S, A, T, B).

Siamo ora giunti all'enigma finale dell'arte della fuga. Il Contrapunctus XIV appare come una fuga con tre soggetti, uno di essi è il nome BACH in notazione musicale (in tedesco, B = si bemolle, e H = si naturale). È certamente una delle fughe più ampie e sviluppate composte da Bach. Ognuno dei tre soggetti ha una esposizione completa a se stesso, il solenne soggetto I, il fluente soggetto II, e sicuramente non vi è momento più misterioso in tutta la musica di quello in cui è introdotto il nome BACH. Dopo 239 battute quando egli arrivò al punto in cui i tre temi si combinano, il manoscritto si interrompe bruscamente e appare l'annotazione seguente, apparentemente scritta da suo figlio, Carl Philipp Emanuel: «In questa fuga, dove il nome B.A.C.H. è introdotto come controsoggetto, il compositore morì». Possiamo noi con ragionevole sicurezza congetturare quale potesse essere stata l'intenzione di Bach? Fortunatamente una qualche evidenza ci è pervenuta. Il grande musicista britannico Donald Francis Tovey riporta nel suo libro A Companion to the Art of Fugue una dichiarazione fatta da un certo Lorenz Mizler (1711-1778), un critico amico della famiglia Bach. Mizler scrisse nel 1754: «La sua ultima malattia gli impedì di completare secondo il suo piano la penultima fuga e di elaborare l'ultima, che avrebbe dovuto contenere quattro temi ed essere invertita continuamente nota per nota in tutte e quattro le parti». Fu inoltre scoperto dal musicologo tedesco Martin Gustav Nottebohm, noto per la sua opera sui quaderni di appunti di Beethoven che era possibile che l'MS si combinasse con i tre soggetti esistenti del Contrapunctus XIV. Fin qui l'MS è apparso, in una delle sue forme, in ognuno dei Contrapuncti, salvo che nel XIV. Sembra logico supporre che esso dovesse avere un ruolo anche qui. Se accettiamo ciò che dicono sia Mizler sia Nottebohm, possiamo congetturare che il Contrapunctus XIV avrebbe dovuto essere una fuga non a tre ma a quattro soggetti, essendo il soggetto IV costituito dall'MS che, nella sezione conclusiva si sarebbe combinato con gli altri. Sarebbe seguito il gran finale: una fuga totalmente invertibile su quattro soggetti. Potremmo azzardare un'ipotesi ben fondata secondo la quale due di questi soggetti avrebbero potuto essere: la nostra vecchia conoscenza, cioè l'MS, e il nome BACH. Sebbene alcuni compositori, fra i quali Busoni nella sua Fantasia contrappuntistica, siano stati tanto arditi di tentare di terminare il Contrapunctus XIV, per quel che io ne sappia, soltanto uno, Tovey, si è provato nella congetturata ultima fuga. Nell'esecuzione odierna noi, naturalmente, ci arresteremo dove Bach si è arrestato, spezzando improvvisamente e misteriosamente il flusso della musica.

Poiché non possiamo avere come finale la progettata fuga invertibile, forse potrebbe essere una sostituzione l'estrema opera compiuta da Bach, un preludio corale basato sul corale Vor deinen Thron tret ich hiermit. Si dice che Bach, a quel tempo completamente cieco, avesse dettato questo pezzo dal suo letto di morte. Con le sue parafrasi imitative della melodia del corale nelle tre voci più basse, sia nella forma normale che in quella invertita, intervallate con il corale disadorno nella voce di Soprano esso irradia un sentimento di trionfo rassegnato, degno della conclusione sia dell'arte della fuga sia della vita di un uomo come Johann Sebastian Bach.

Samuel Rhodes


Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Opera avvolta dalla leggenda come poche altre nella storia della musica, L'arte della fuga (Die Kunst der Fuge) corre il rischio di venire ridotta al suo carattere più evidente: la resurrezione dell'antico contrappunto rigoroso da parte del genio bachiano, che vi scrisse il testamento di un'intera esistenza creativa, tanto più suggestivo in quanto lasciato incompiuto (in termini analoghi viene spesso recepito il Requiem, di Mozart). In realtà non sono poche le coordinate da tracciare per avvicinarsi a una composizione tanto impegnativa, cominciando da quelle che riguardano la biografia dello stesso Thomaskantor.

Benché non se ne conosca l'esatta cronologia, L'arte della fuga va riferita con ogni probabilità agli ultimi tre lustri della vita di Bach, una fase della sua parabola artistica che lo vedeva sempre più estraneo alle strutture cui era legato sin dal 1723: la Chiesa e la Scuola di San Tommaso, l'Università e la Municipalità di Lipsia. I dissidi non erano mancati sin dall'inizio degli anni Trenta, né a Bach era stato possibile trovare un impiego adeguato altrove. Il risultato fu allora che l'attività del compositore, dopo quella eccezionale messe di opere per il servizio liturgico ordinario risalente al decennio precedente (tra cui le Cantate - una per ogni domenica e per ogni festa dell'anno - e le Passioni) conobbe una diversificazione e un impulso di ricerca verso direttrici diverse. Nel cuore del Settecento, in un frangente di transizione epocale tra Barocco e Classicismo, il maestro dell'integrazione fra stili di nazioni ed epoche differenti, dalla vocazione enciclopedica quanto altri mai, mise in cantiere una serie di progetti ambiziosi e straordinari, che portarono a capolavori come l'Oratorio di Natale e la grande Messa in si minore. In quegli anni va collocato l'ingresso di Bach nella «Società per corrispondenza delle scienze musicali» (Corrispondierende Societàt der musikalischen Wìssenschafìen), fondata nel 1738 dall'allievo Lorenz Christoph Mizler con l'intento di promuovere un'attività di ricerca e scambio scientifico tra i membri, necessariamente di comprovata competenza matematica e filosofica (d'altra parte, già nel sistema del sapere medievale la musica apparteneva, insieme ad aritmetica, geometria e astronomia, al Quadrivium, ovvero al versante scientifico dello scibile, in quanto studio della cosmica musica mundana, la musica delle sfere, ben più rilevante dei maldestri suoni prodotti dagli strumenti umani). Poiché era consentita ai musicisti «pratici» la sostituzione della dissertazione annuale obbligatoria con una propria composizione, Bach produsse, per la propria ammissione in quel consesso lipsiense (nel giugno 1747), le Variazioni canoniche sull'inno ili Natale «Vom Himmel hoch da komm ich her» BWV 769. L'anno successivo presentò L'offerta musicale BWV 1079, mentre il compito del '49 - L'arte della fuga - non venne portato a compimento dal compositore.

Si trattava con molta probabilità di un progetto che aveva preso forma nel corso degli anni, a cominciare già forse da una data attorno al 1736, di cui le recenti ricerche musicologiche (Christoph Wolff, Peter Schleuning) sono propense a individuare due distinte redazioni, corrispondenti alle fonti conservate. Da un lato, il manoscritto autografo di Berlino con tre aggiunte (i numeri romani riportati nella guida all'ascolto si riferiscono alla posizione del pezzo nel manoscritto); dall'altro, la prima edizione, postuma, pubblicata da Johann Heinrich Schubler a Zella nel 1751. L'autografo testimonia dunque una «prima redazione», risalente agli anni 1740-46 (i contrapuncta I-VIII entro il 1742), cui seguì, dopo una pausa, una seconda fase (1747-49) di ripensamento dell'opera e composizione di altri pezzi, nuovamente interrotta forse a causa di ulteriori progetti e mai più ripresa per le gravi condizioni di salute di Bach.

È dunque a un ambito di musica pura, reservata (resa esoterica anche dalla simbologia numerico/musicale), destinata a risuonare nell'intelletto più che all'orecchio, che occorre riferire, l'origine dell'arte della fuga, (il titolo non è autentico: assente dall'autografo, compare per la prima volta nell'edizione a stampa, probabilmente per iniziativa del figlio del Kantor, Carl Philipp Emanuel. Il termine «arte» era d'impiego diffuso in questa accezione: nel 1733 Locatelli aveva pubblicato L'arte del violino, mentre Geminiani nell'op. VII del 1746 utilizzava proprio la dicitura L'arte della fuga).

Il progetto bachiano consiste nell'applicazione del principio della variazione a un unico tema dato esposto in apertura. Da questo Bach deriva una straordinaria galleria delle possibilità del contrappunto (più ancora che non una ricerca specifica sulla fuga come forma) in un processo complesso, che, coniugando fantasia debordante e alta sapienza tecnica, si ripropone di esaurire le potenzialità più recondite di quella breve sequenza di note che è il tema fondamentale, attraverso gli artifici ereditati dalla tradizione fiamminga del XV/XVI secolo, da Palestrina e dalla tradizione barocca, fino alla forma della fuga: organizzazione suprema del materiale sonoro secondo gli intenti dell'artista/seienziato che applica l'ars, conoscenza delle severe regole della forma.

Il procedimento creativo a partire da un tema specifico aveva in Bach un maestro sommo, grazie soprattutto a quella tecnica di elaborazione contrappuntistica del corale testimoniata continuamente dall'opera organistica come dalle Cantate (un caso estremo è la «Cantata corale», che ha il proprio elemento unificatore, sia a livello testuale che musicale, in un particolare inno liturgico). Non è dato conoscere il disegno complessivo di quest'opera incompiuta, all'interno della quale è tuttavia possibile individuare gruppi di contrapuncta, tra loro correlati in base alla tecnica compositiva e al grado, progressivo, di difficoltà tecnica (secondo un percorso costruito secondo la successione di fughe semplici, controfughe, fughe doppie, a specchio, canoniche e triple). È dunque soltanto possibile esercitarsi in congetture, che consentono grande libertà interpretativa sia nell'ordine dei contrapuncta (quello dell'edizione non è autentico, mentre il manoscritto contempla solo alcuni pezzi e testimonia una fase anteriore di elaborazione), sia nell'organico dei singoli numeri. Nella presente esecuzione, i contrapuncta vengono proposti in diverse strumentazioni compatibili con la scrittura bachiana.

Portale d'accesso all'intera composizione, introduzione a mo' di captatio benevolentiae (se vogliamo impiegare le categorie della retorica verbale, non improprie in un'opera come questa) all'arduo discorso musicale e insieme sua cellula originaria, il Contrapunctus 1 (I) espone il tema sapientemente scelto a fondamento dell'edificio sonoro, soggetto che attraverso un'odissea di trasformazioni comparirà da un capo all'altro dell'opera, pervadendola completamente. È possibile comprenderne la natura - da cui dipende il buon funzionamento di un meccanismo contrappuntistico tanto ambizioso - scomponendolo in tre sezioni: i primi quattro suoni, che descrivono l'arpeggio di re minore, tonalità d'impianto della composizione; i quattro successivi, aperti da un'appoggiatura di grande espressività sulla sensibile della tonica (do diesis) e ascendenti per grado congiunto; infine una dinamica scaletta discendente di crome che riporta il breve discorso al re iniziale. Il perentorio gesto dell'attacco si sviluppa dunque attraverso un percorso di tensione/distensione armonica ritmicamente vario. Nel controsoggetto (al contralto in concomitanza con la risposta del soprano) si fa strada una figura ritmico/melodica sincopata di non poco rilievo nello svolgimento della fuga. La cadenza conclusiva, preceduta da due pause drammatiche, venne sensibilmente ampliata nella versione a stampa.

Il clavicembalo si unisce agli archi per proporci il tardo Contrapunctus 4, assente nel manoscritto e probabilmente d'una decina d'anni più recente: si tratta dell'imitazione del tema per moto contrario, sviluppata a quattro voci lungo ben 138 misure (una dimensione doppia rispetto al Contrapunctus 1), grazie anche ad ampi divertimenti. Caratteristico è il contro-soggetto cromatico, derivato ritmicamente dall'ultimo segmento del tema e in grado di vivacizzare la trama contrappuntistica con rapidi intarsi alle diverse voci. La combinazione di una simile coppia di soggetto e controsoggetto si risolve in una sintesi di «affetti» contrastanti, simbolicamente afferenti alle sfere della gioia e del dolore.

Il cromatismo era già presente nella prima stesura dell'arte della fuga, proprio in quel Contrapunctus 3 (II) che l'edizione a stampa colloca accanto al Contrapunctus 4. Anche in questo caso è il controsoggetto, cromatico e ritmicamente mosso, a risaltare per contrasto rispetto al tema presentato nella sua versione per moto contrario, solo all'entrata del contralto. L'applicazione della retorica musicale a questa fuga parrebbe associarle il concetto di peccato (Hans Heinrich Eggebrecht): un significato simbolico negativo, ben interpretato dal colore cupo delle ance - oboe, oboe da caccia e fagotti - scelto in questa esecuzione.

Al clavicembalo risuona il Canon alla Ottava 15 (IX), che nello spirito di una giga travolgente, come sembra suggerire il moto inarrestabile delle terzine, si avvicina ad alcune Invenzioni bachiane (anch'esse a due voci) ostinatamente concentrate sul medesimo principio compositivo. Interpretato dalla musicologia quale pezzo «giocoso» o «sanguigno», il canone è reso vario dalla ricorrenza del tema ora in moto retto, ora contrario.

Due archi, violino e violoncello, ci propongono invece il gemello Canon in Hypodiatesseron al rovescio e per augmentationem, perpetuus 14a (XII), qui eseguito nella versione che resterà esclusa dalla prima edizione. Le due voci - numero minimo per l'esistenza di un tessuto polifonico - sviluppano un dialogo articolato e di grande sottigliezza, che le oppone per moto contrario e per aumentazione: quella superiore espone una versione estremamente fiorita del tema, resa particolarmente interessante dalle sincopi e dalla scelta degli intervalli, non raramente cromatici. La voce inferiore propone, per aumentazione, una versione del tema a valori più larghi, finché le parti non si invertono, per proseguire quel dialogo tra agile esibizione strumentale e patetico indulgere per grado congiunto che caratterizza l'intero pezzo, al quale è stato attribuito un temperamento «malinconico». Si tratta di una composizione ambiziosa, che non solo si nutre della polifonia del Cinque/Seicento, ma contestualmente guarda alle tendenze stilistiche più progressive dell'epoca, al gusto decorativo rococò e alla sensibilità empfindsamer dello stile galante propugnato dal figlio del Kantor, Carl Philipp Emanuel.

Segue una delle composizioni di maggior rilievo e impegno nell'arte della fuga: il Contrapunctus 11 a 4 (XI) una fuga tripla a quattro voci. La complessità virtuosistica della scrittura bachiana va ricercata non solo nella pur notevole estensione di 184 misure, quanto soprattutto nella combinazione, a quattro parti reali, di tre soggetti già comparsi precedentemente, in particolare nel Contrapunctus 8, e ora sottoposti all'artificio del moto contrario (con l'aggiunta di un ulteriore spunto tematico secondario che ha fatto impropriamente parlare di fuga quadrupla). I tre temi consistono in una variante ritmica del tema fondamentale, dalla suggestiva pausa sul tempo forte della misura; un soggetto, fortemente accentuato, derivato dal controsoggetto del Contrapunctus 3; una dolente catena di semicrome, caratterizzata da intervalli minori e associabile simbolicamente alla sfera del lamento, anche in virtù della presenza di simili figure di sospiro nella Passione secondo Matteo. Si noti come le prime quattro note del tema al contralto e al soprano «scrivano» sul pentagramma il nome BACH.

Il Contrapunctus 9 a 4 alla Duodecima (V) consiste invece in una doppia fuga, sviluppata a partire da due temi nettamente contrastanti; quello fondamentale, che apparirà, insolitamente inalterato, al soprano solo quando sarà ultimata l'esposizione del tema con cui la fuga si è aperta, risulta caratterizzato dal gioioso dinamismo che gli imprimono il salto ascendente d'ottava e la corsa a briglie sciolte delle semicrome (la strumentazione per archi suggerisce un confronto con analoghe; gare bachiane di agonistica imitazione tra violini, ad esempio l'aria contrappuntistica «Ich will nur dir zu Ehren leben», dall'Oratorio di Natale). Un contrasto così netto fra temi tanto differenti ricorderà senza difficoltà i corali figurati dell'opera organistica del Kantor di Lipsia.

Appartiene alle fughe che l'autografo raccoglie in un unico gruppo (IV-VIII) il Contrapunctus 6 (IV), costruito sullo sfruttamento di due varianti ritmiche del tema, per moto retto e per moto contrario. In alcune sezioni la combinazione di queste due «volti» contrappuntistici del medesimo soggetto lascia il passo al trattamento in stretto di un'unica versione. La strumentazione scelta, che abbraccia un organico ampio (corrispondente a un'orchestra bachiana di dimensioni medie, completa di archi e fiati), esalta il carattere arioso e concertante della scrittura contrappuntistica, aliena da qualsiasi cromatismo drammatico.

Un affetto affine alla malinconia, quella che Kant definiva «tristezza senza ragione», è stato invece chiamato in causa per il Canon alla Duodecima in Contrapunto alla Quinta 17. La variante tematica è caratterizzata da quelle sestine che le due voci snocciolano sin dall'attacco, all'interno di un soggetto vivacizzato comunque da una certa complessità ritmica (due note tenute che si estendono su tre tempi della misura, scale ascendenti e discendenti di crome, figure di tre crome che seguono una pausa sul tempo forte). La dinamica imitativa tra le voci e la loro particolare relazione armonica avvicina questo contrappunto alla scrittura del concerto, ponendolo tra i pezzi più moderni della raccolta.

Col Contrapunctus 8 a 3 (X), una fuga tripla in stile severo, ascoltiamo nuovamente i temi risuonati per moto contrario nel Contrapunctus 11, calati in una struttura appena meno complessa, a tre voci invece di quattro, qui esposti in una sequenza differente (da intendersi come l'ordine originario, dato che questa fuga precede l'altra sia nel manoscritto sia nella prima edizione): dapprima viene presentato il soggetto ritmica¬mente accidentato: in seconda posizione il tema, ultimo a comparire nella fuga gemella; infine il soggetto su cui quest'ultima si apre, qui quasi nascosto nella vox intermedia.

Il Contrapunctus 10 a 4 alla Decima, un'ardua doppia fuga (sebbene non tutti i musicologi siano concordi nel definirla tale), compariva nel manoscritto al VI posto in una versione ridotta, mancante di una prima importante sezione di 11 misure. La modifica apportata per l'edizione a stampa non è di poco conto: risulta infatti così invertito l'ordine di presentazione dei due soggetti. Viene esposto per primo quello dal profilo più originale (spezzato dalle pause - retoriche figure di suspiratio - e aperto sull'inconsueta sensibile - è l'unica fuga a non attaccare con la tonica o la dominante -, il tema compariva nella prima versione solo dopo l'esposizione dell'altro soggetto). Gli succede la più prevedibile variante del tema fondamentale, basata sul ritmo puntato.

Ritmo puntato cui spetta un ruolo di rilievo - insieme alle rapide scalette in levare - fra le figure barocche della maestà e della solennità ancien regime, chiamate in causa per il Contrapunctus 6 a 4 in Stylo Francese. L'esplicita indicazione bachiana si rifà all'ouverture alla francese, forma fondamentale del Barocco musicale, coltivata frequentemente dal Kantor, oltre che nelle quattro Ouverture orchestrali che ne derivano il titolo e nei cori d'apertura di alcune Cantate, anche in quella seconda parte della Clavier-Ubung (1735) che insieme al Concerto italiano propone un'Ouverture nach Französischer Art, non lontana cronologicamente da questa pagina. Imponente è l'attacco, che combina una versione del tema iniziale ritmicamente variato al basso e la risposta in stretto delle voci più acute: il soprano per diminuzione e moto contrario, il contralto per diminuzione e moto retto. Sugli artifici del contrappunto è costruita la coppia di fughe a specchio corrispondente al n. XIII del mano scritto e al n. 12 dell'edizione.

La loro particolare scrittura permette loro di scambiare le parti di basso e soprano (l'una versione per moto contrario dell'altra) e di fare altrettanto fra quelle di tenore e contralto.

In particolare il Contrapunctus inversus 12 (12b) a 4 si fonda su una versione per moto contrario del tema-base, mentre il Contrapunctus (12a) a 4 offre l'elaborazione speculare del medesimo tema per moto retto. Si noti l'accentuazione tipica della danza (da polonaise oppure da sarabanda, è stato scritto), ben evidente nella presente esecuzione soprattutto nel Contrapunctus inversus, e il metro di 3/4, che ricorre solo qui nell'intera arte della fuga.

Una trama polifonica di fattura mirabile, fitta e complessa ma al tempo stesso ariosa e perspicua, ci viene incontro col Contrapunctus 7 a 4 per Augment et Diminut (VII). In stile severo, chiesastico, questo capolavoro dell'arte bachiana - che nel manoscritto giunge a conclusione della serie di fughe IV-VIII - combina sin dall'attacco, quattro differenti versioni del tema in altrettante voci: una variante per moto retto e diminuzione al tenore e, in stretto la versione per moto contrario al soprano e quella per moto contrario e diminuzione al contralto; il basso propone infine il soggetto per moto contrario e per aumentazione.

A quel ritmo puntato su cui è costruito il Contrapunctus 6 a 4 in Stylo Francese si rifà anche il Contrapunctus 2 (III): il tema viene esposto al basso, quasi fosse una replica perfetta della versione originaria. Il ritmo puntato s'impadronisce però del controsoggetto contestualmente alla risposta affidata al tenore. Ne deriva un discorso musicale fluido ed espressivo, consegnato come molte altre pagine dell'opera al sapido contrasto tra valori brevi e lunghi.

Viene eseguita di seguito la seconda coppia di fughe a specchio, il Contrapunctus inversus (13) a 3 e il Contrapunctus (13) a 3, proposti con due diversi organici (rispettivamente archi e legni). Si tratta di una composizione doppia, XIV nell'autografo, di particolare impegno, più complessa dei gemelli Contrapuncta 12 e 14, benché scritta per tre e non per quattro voci. Il carattere alacre e dinamico impresso dal ritmo di terzina avvicina le due fughe alla giga, annettendole anche alla sfera della gioia e della leggerezza: un piacere sonoro che può venire a simboleggiare la gioia metafisica della grazia divina (ne esiste anche una versione autografa per due clavicembali).

Concludiamo il gruppo dei canoni con il moderno Canon alla Decima [in] Contrapunto alla Terza 16, presente solo nell'edizione a stampa. Fondato su una variante per moto contrario del tema sembra annullare sin dall'attacco la quadratura metrica del 12/8, attraverso la sincope continua delle minime che costituiscono il soggetto. Il controsoggetto, invece, è completamente pervaso da quel moto di terzine che le due voci faranno proprio, insieme a ulteriori spunti tematici (quale la scala cromatica discendente che compare al basso, contrastata dai salti ascendenti della voce superiore), in una dialettica chiaramente concertante. Dalla scrittura del concerto Bach mutua anche l'introduzione della cadenza conclusiva.

Il magistero contrappuntistico dell'arte della fuga culmina nell'ultima prova incompiuta, la fuga a 3 Soggetti Soggetti 18: difficile dire quale sia il suo maggior elemento d'interesse, se il fascino che inevitabilmente promana dal carattere enigmatico di un torso, la sapienza compositiva nell'erigere un'edifìcio sonoro monumentale (anche nello stato in cui l'abbiamo conta ben 239 misure), oppure la scoperta di un volto imprevisto del tardo Bach, incline - persino nei reami dello stylus antiquus - a una nobile semplicità e quieta grandezza che di lì a pochi anni sarà tanto cara all'estetica (neo)classica, in musica come in tutte le arti. Chiara e perspicua è la struttura formale tripartita della fuga, che propone successivamente i tre temi; semplice è il primo soggetto, del tutto diatonico e fondato su due soli intervalli (quinta giusta e seconda maggiore), né lontano dall'invenzione melodica deliberatamente elementare dell'innologia ecclesiastica (il corale luterano, ad esempio, da Bach amatissimo). Il secondo tema gli si oppone naturalmente, con le sue 41 note, in prevalenza crome (nella nostra esecuzione è caratterizzato dal timbro dell'oboe da caccia). Il terzo è poi il celebre soggetto cromatico che presenta la firma del compositore. La versione manoscritta conserva anche la combinazione contrappuntistica dei tre soggetti a poche misure dalla brusca interruzione della fuga.

Raffaele Mellace


Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La fuga è l'elemento naturale della musica di Bach. Nessun'altra forma è altrettanto frequentata nella sua attività di compositore e in nessuna, come nella fuga, sono riconoscibili in modo ugualmente limpido i passaggi del suo sviluppo artistico. Possiamo immaginare ai due estremi della sua produzione da un lato le fughe scritte intorno ai vent'anni, per esempio nelle Toccate per strumento a tastiera, le quali rivelano ancora molte incertezze nel dominio dei procedimenti formali e ripongono il proprio fascino appunto nella durezza delle sonorità, nello schematico terrazzamento delle modulazioni; dall'altro i raffinatissimi calcoli delle ultime composizioni, divenute ormai il supporto di una riflessione spinta ben oltre i limiti dell'abilità artigiana. Fra questi due poli si estende l'opera di un autore che nella fuga ha riconosciuto qualcosa di diverso da ciò che siamo soliti definire una "forma" musicale. Nell'accezione comune, infatti, la forma è qualcosa che stabilisce limiti, disegna confini, indica percorsi e fissa un repertorio di possibili soluzioni: così nella forma-sonata del periodo classico sappiamo essere canoniche la contrapposizione dei due temi principali, la loro relazione armonica, i loro rapporti nelle fasi di transizione o di sviluppo. Naturalmente ciò non significa che prescriva un codice fisso, ma ogni volta che il trattamento della sonata non corrisponde alla sua norma ideale riconosciamo in essa il carattere dell'eccezione, della violazione consapevole operata dall'artista. Considerata sotto questo aspetto, la fuga si comporta in modo completamente diverso: assomiglia più a un metodo che a una forma, suggerisce cioè strategie, non prospetta soluzioni. La fuga non si lascia però ridurre neppure in quest'ultimo paragone: se il metodo è essenzialmente una procedura di analisi, la fuga si presenta piuttosto come una logica dell'invenzione, è una "euristica" che facilita il rapporto con una forma, senza tuttavia prescriverne alcuna in modo tassativo.

Uno degli episodi più conosciuti della vita di Bach lo ricorda ormai anziano, a Potsdam, davanti al re Federico II, mentre improvvisa le elaborazioni che avrebbero dato vita all'Offerta musicale. Il pubblico degli intenditori riuniti a corte, fra i quali è anche il figlio Carl Philipp Emanuel, si concentra sulle doti di improvvisazione del vecchio musicista, sulla sua capacità di utilizzare il tema dato non come un obbligo che limiti la libertà, ma come una risorsa dell'invenzione. Seduto al clavicembalo, Bach esibisce in quell'occasione la più grande audacia di virtuosismo compositivo seguendo "rigorosamente" i princìpi della fuga, poiché questa gli appare non come un sistema chiuso, ma come la logica dell'invenzione musicale. Così intesa, la fuga rispecchia davvero per Bach un ordine teologico e morale che incrementa o più semplicemente esplora a fondo le possibilità spirituali della musica. Esserne stato un cultore per tutta la vita, averla continuata a praticare quando già i contemporanei la consideravano desueta e le preferivano il nuovo stile melodico, è stato per Bach come essere fedele a un'immagine della musica che privilegia il pensiero rispetto all'intrattenimento, l'ambizione metafisica dell'immaginazione barocca rispetto alla galanteria del rococò.

Il lavoro sull'arte della fuga occupò Bach nel periodo che va dal 1747 al 1749 ed era destinato con ogni probabilità alla Società di Scienze Musicali fondata da Lorenz Christoph Mizler sul modello delle società scientifiche che allora nascevano in tutta Europa. Dopo aver a lungo esitato sull'opportunità di aderirvi, Bach vi entrò due anni dopo Händel, attendendo, quasi a confermare il valore semi-superstizioso che egli attribuiva alla numerologia, di potervi figurare come quattordicesimo membro, cifra che corrisponde al suo cognome nella somma delle lettere che lo compongono. La partecipazione alla Società richiedeva ogni anno l'invio di una comunicazione scientifica: nel 1747 e nel 1748 Bach l'aveva soddisfatta rispettivamente con le Variazioni canoniche per organo e con l'Offerta musicale. Il 1749 sarebbe forse stato, nelle intenzioni di Bach, l'anno della partitura che poco dopo la sua morte fu pubblicata appunto con il titolo L'arte della fuga e che tuttavia rimase incompiuta, interrotta nella fuga tripla che reca fra i soggetti quello basato sulle lettere B-A-C-H (si bemolle, la, do, si bequadro), di solito completata da un corale aggiunto dagli editori nella prima edizione.

Il 21 marzo 1750, d'altra parte, Bach aveva compiuto 65 anni ed era diventato membro «emerito» della Società, dispensato dall'obbligo di presentare la comunicazione annuale. Questa circostanza, insieme all'aggravarsi delle sue condizioni di salute, rallentarono il suo impegno, sempre meno intenso fino al momento in cui, alla metà del luglio successivo, non gli fu più possibile nemmeno dettare musica agli allievi che seguivano la sua ultima malattia. Il 28 luglio dello stesso anno Bach morì. Pochi mesi più tardi, la vedova Anna Magdalena fu costretta a vendere L'arte della fuga al Consiglio della città di Lipsia, il quale le corrispose una somma di quaranta talleri calcolata «in considerazione dello stato di povertà» in cui versava la famiglia. Il prezzo delle prime due edizioni a stampa fu rispettivamente di cinque e di quattro talleri la copia, una riduzione dovuta allo scarso interesse manifestato dal pubblico per un'opera estranea ai gusti del tempo e che nell'arco di cinque anni non vendette neppure trenta copie.

Proprio le prime edizioni a stampa, pubblicate nel 1751 e nel 1752, sono, insieme al manoscritto, la principale fonte a nostra disposizione per comprendere la distribuzione del materiale bachiano e per poter formulare qualche ipotesi circa la distanza fra il progetto iniziale e il lavoro effettivamente portato a termine. La partitura è composta da venti fughe e un corale. La classificazione delle singole fughe e la loro successione non sono stabilite in modo definitivo, tanto che gli storici divergono spesso nella loro interpretazione. Il disegno iniziale aveva probabilmente in vista un'articolazione su ventiquattro fughe, in ragione di sei gruppi di quattro, a loro volta divisi in coppie. Il tema da cui Bach parte e che genera l'intero edificio è molto semplice ed è esposto nella tonalità di re minore. Le variazioni che esso subisce durante l'elaborazione delle fughe tengono conto del suo duplice aspetto formale, rectus e inversus, come pure delle sue possibilità di mutazione ritmica. La relazione con il tema non è tuttavia sempre vincolante, tanto che le quattro fughe attualmente riunite nella terza sezione (numeri 8-11) basano di fatto la loro struttura su temi diversi da quello principale.

Anche per questo, i materiali utilizzati nell'arte della fuga e i criteri della sua organizzazione sfuggono alle possibilità di una definizione univoca e diventano invece paradossalmene sfuggenti. La suddivisione dei numeri musicali e la loro scansione è insomma frutto di un lavoro di ricostruzione che resta sostanzialmente ipotetico. In ogni tentativo di rendere L'arte della fuga adeguata a un'ideale di perfezione logica resta sempre qualcosa di irriducibile, di apparentemente "illogico" che costringe a ricominciare da zero i calcoli e che tuttavia porterà solo a nuove ipotesi, non meno fallibili delle precedenti. È sufficiente mutare l'interpretazione di una fuga, basta leggerne in modo diverso il senso strutturale per avere delle ripercussioni sull'intero edificio formale. Questo è stato spesso paragonato a un labirinto di possibilità aperte, a una continua messa in discussione delle premesse architettoniche da cui scaturisce e a un enigma il cui svolgimento segue piuttosto le regole di un gioco. Ed è proprio il senso del gioco, o per meglio dire della libertà creativa, della varietà di soluzioni non solo stilistiche, ma anche concettuali che Bach si concede attraverso l'uso euristico della fuga, quel che anima l'intera partitura e che non rende in linea di principio illegittimi i più diversi tipi di strumentazione che ne sono stati proposti.

Il manoscritto autografo dell'arte della fuga, com'è noto, non reca alcuna indicazione strumentale. La prima edizione ha rispettato la scrittura originale, divisa in un numero di righi che corrisponde di volta in volta al numero di voci dei singoli contrappunti: una scrittura che mette in evidenza la trama polifonica della composizione e che dunque soddisfa un criterio di leggibilità, di chiarezza formale, escludendo un gusto timbrico del colore strumentale. A partire da questa considerazione si è consolidata l'idea di una partitura destinata essenzialmente alla lettura e alla meditazione, tanto più se concepita come saggio di una comunicazione accademica. L'arte della fuga è stata così vista come un'opera vicina al punto liminare in cui la musica, divenuta prossima alla sua essenza, si confonde con il silenzio. Circostanze pratiche e storiche spingono a considerare in modo meno rigido questa conclusione e mostrano come l'aspetto strumentale della composizione, ancorché non stabilito espressamente, sia in realtà compatibile con la dimensione reservata di una musica certamente non pensata in funzione della moderna sala di concerto, ma neppure del tutto slegata dalla possibilità dell'esecuzione. Il sistema di scrittura, ad esempio, ricorda quello dell'intavolatura, un metodo molto praticato da clavicembalisti e organisti fin dalla seconda metà del Cinquecento. L'esecuzione dell'arte della fuga sullo strumento a tastiera comporta certamente dei problemi, come ad esempio l'impossibilità di eseguire le fughe a specchio (nn. 12-15) nella loro versione originale e la necessità di ricorrere a un loro adattamento. Ma la circostanza che vede quest'ultima soluzione già allegata all'autografo bachiano sembra ulteriormente confermare la "naturalezza" della destinazione per lo strumento a tastiera, in particolare per il clavicembalo, come in un ampio saggio ha sostenuto Gustav Leonhardt, senza che questo tolga alla musica l'aspetto speculativo che il tipo di notazione senza dubbio sottolinea, consegnando al lettore una trama contrappuntistica indipendente dal suo effetto sonoro. Il senso dell'arte della fuga è essenzialmente legato a quest'ambiguità e ha perciò in sé qualcosa di arbitrario e provocatorio che i numerosi tentativi di strumentazione possono approfondire e persino estremizzare, senza mai poterlo esaurire.

Nel marzo dell'anno 1750 un chirurgo inglese, John Taylor, Cavaliere di Sua Maestà Britannica, si trova a Lipsia e viene consultato da Bach per porre rimedio ai problemi che avevano fortemente indebolito la sua vista. Con due operazioni successive, il 28 marzo e il 7 aprile, John Taylor penetrò a vivo la cornea di entrambi gli occhi rendendo Bach irrimediabilmente cieco. Due anni dopo, lo stesso effetto avrebbe avuto a Londra il suo intervento su Händel. L'oscurità non privò tuttavia Bach della volontà di proseguire il lavoro, cosa che avveniva principalmente sotto dettatura, con la collaborazione di allievi e parenti. Al genero Altnickol sembra egli abbia dettato, alla metà di luglio, il suo ultimo corale, Wenn wir in hoechsten Noethen BWV 668a, concepito come la rielaborazione di un precedente corale per organo (BWV 641). È questo il corale che secondo la tradizione Carl Philipp Emanuel avrebbe aggiunto alla conclusione dell'arte della fuga. L'edizione che ascolteremo questa sera si conclude invece più sobriamente con l'ultimo contrappunto incompiuto, probabilmente il penultimo della serie degli exempla nei quali Bach, ricapitolando il pensiero di una vita, riconosceva le vie di una meditazione che, sola, era capace di portargli luce.

Stefano Catucci


(1)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 dicembre 1986
(2)  Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 121/1-2 della rivista Amadeus
(3)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 dicembre 1995


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Ultimo aggiornamento 18 ottobre 2014