Concerto brandeburghese n. 2 in fa maggiore, BWV 1047

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. ...
  2. Andante (re minore)
  3. Allegro assai

Organico: tromba, flauto a becco, oboe, violino cocertante, 2 violini, viola, violone, violoncello, clavicembalo
Composizione: 1719
Edizione: Peters, Lispia, 1850
Dedica: margravio Christian Ludwig von Brandenburg

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La denominazione di Concerti Brandeburghesi non è originale ma risale allo Spitta, il primo autorevole studioso di Bach, che nel 1873, studiando la raccolta pubblicata per la prima volta nel 1850 dall'editore Peters di Lipsia, li definì in questo modo, facendo riferimento alla qualifica del destinatario, Christian Ludwig margravio di Brandeburgo, che Bach aveva incontrato a Berlino nel corso di un suo viaggio. Tuttavia nella lunga e ossequiosa lettera di dedica che accompagnava la raccolta, datata 24 marzo 1721, Bach qualificò queste composizioni semplicemente come Concerts avec plusieurs instruments. La definizione dello Spitta sembra ancor più "impropria" in considerazione del fatto che molto probabilmente questi concerti non furono mai eseguiti dai musici che formavano l'orchestra del margravio di Brandeburgo, bensì da quelli della cappella di Köthen, dove Bach era stato chiamato a ricoprire l'ufficio di Kapelmeister nel dicembre del 1717.

Il principe Leopold di Anhalt-Köthen, che aveva studiato canto e che sapeva suonare il clavicembalo e la viola da gamba, s'impegnò con forte determinazione alla creazione di un eccellente ensemble di musicisti. Bach era legato al principe da sincera amicizia e in quell'ambiente così favorevole sentì accrescere il proprio impulso creativo. «Vi trovai un duca benigno, che non solo amava ma conosceva anche la musica (ne era cioè competente), presso il quale credetti di terminare la mia esistenza», cosi scriveva nel 1730 al suo amico Erdmann.

Diversamente dalla luterana corte di Weimar, dove Bach aveva precedentemente svolto le funzioni di organista e di Konzertmeister, ossia di primo violino solista, nella calvinista corte di Köthen non c'era spazio per la musica sacra. E se è vero che Bach era venuto a conoscenza delle composizioni vivaldiane, trascrivendone alcune per organo o clavicembalo a Weimar, è a Köthen che ebbe modo per la prima volta di scrivere concerti e di confrontarsi con il nuovo genere del concerto solistico italiano in tutte le sue peculiarità formali e stilistiche.

Anche i Brandeburghesi, come gran parte della sua musica strumentale, risalgono agli anni di Köthen (1717-23). Il problema della loro cronologia è ancora aperto, ma oggi gli studiosi sono sostanzialmente concordi a datare il Primo, il Terzo e il Sesto Concerto al 1718; il Secondo e il Quarto al 1719; il Quinto al 1720. L'eterogeneità esistente tra le sei composizioni nell'organico strumentale, nella successione dei movimenti e nel diverso assetto formale e stilistico è tale da non consentire una loro collocazione nelle categorie tradizionali del concerto solistico o del concerto grosso che, sovrapponendosi continuamente, si annullano l'un l'altra. Tuttavia pur nella loro diversità, «tali opere» - come osserva giustamente Basso - «costituiscono un gruppo unitario, formano una sorta di piccolo dizionario dimostrativo delle possibilità aperte al genere del concerto, inteso in un'accezione per così dire globale e universale».

Il Secondo Concerto Brandeburghese sfugge a qualsiasi forma di schematizzazione già a partire dalla strumentazione. Al ripieno degli archi infatti Bach contrappone un insolito concertino, formato da tromba piccola in fa (dalle sonorità più acute e penetranti rispetto a quella in re o in do), oboe, flauto a becco e violino. Nel primo movimento (Allegro), l'alternanza dei soli e dei tutti non procede con la consueta e un po' scontata regolarità delle coeve composizioni italiane. La parte iniziale del brano è caratterizzata dalla contrapposizione tra la tematica del tutti, articolata in quattro brevi sezioni, a quella dei soli (di appena due battute) che rispondono all'orchestra prima a coppie e poi in gruppo. Nella seconda parte, il concertino perde la sua individualità tematica e, suonando assieme al tutti, si appropria di quella del ripieno fino alla conclusione del pezzo, segnata dal ritorno improvviso alla tonica.

L'Andante è affidato al flauto, oboe, violino e basso continuo (Bach probabilmente rinuncia alla tromba anche per ragioni di natura pratica, ossia per consentire all'esecutore di far riposare il labbro): si passa quindi dal piano sonoro del concerto a quello della sonata a tre. Il regolare movimento per crome del basso, che ripete più volte ciclicamente - sia pure non in maniera simmetrica - il suo disegno, fornisce la base per la ininterrotta imitazione tra gli altri strumenti di un motivo "a sospiro".

Nell'Allegro assai, i principi della fuga si uniscono a quelli concertanti. Gli strumenti solisti, che in questo movimento ricoprono un ruolo decisamente più importante del ripieno, entrano in successione secondo i canoni della fuga: prima la tromba, poi l'oboe, il violino e in ultimo il flauto. Segue una sezione a carattere modulante (re minore - Si bemolle maggiore) in cui l'orchestra si alterna ai soli, riproposti in diverse combinazioni strumentali, fino al tutti conclusivo, dove l'ultima ripresa del tema, suonata dalla tromba, viene sostenuta dal breve pedale di tonica.

Marco Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Una tradizione forse non infondata vuole che i sei Concerti offerti nel 1724 da Bach a Christian Ludwig, Margravio del Brandeburgo, siano stati archiviati dai bibliotecari di corte senza essere stati eseguiti neppure una volta. Fin troppo facilmente oggi riconosciamo in questo gesto non tanto la miopia del committente, che aveva fama di grande intenditore, quanto piuttosto il riflesso dei rapporti di potere che allora collocavano il musicista nel rango di un servitore, riservando ai suoi prodotti un'accoglienza alterna e spesso distratta. Per un altro aspetto, tuttavia, lo zelo dei bibliotecari di Köthen corrisponde in modo efficace all'essenza di quei concerti, è un simbolo del loro senso storico, anche se irride la loro qualità musicale. Queste pagine di Bach, infatti, sembrano riassumere un'epoca proprio nel momento in cui la archiviano, minacciando con la loro esuberanza i limiti delle forme musicali esistenti.

Ciò non vuol dire che i Concerti Brandeburghesi siano qualcosa come la "vetta", la "conclusione" o anche solo un "repertorio" della musica strumentale barocca: essi tendono piuttosto a ricondurre gli elementi di quella musica nell'unità di una configurazione ideale, in un sistema aperto, sono il supporto materiale di una memoria che non divide in modo meccanico l'antico dal moderno, ma agisce in modo più complesso, secondo un insieme di tecniche intimamente legate all'esperienza del sacro che attraversa tutta l'opera di Bach. Mentre sembra registrare nel dettaglio l'orizzonte musicale in cui vive, egli mette in crisi la visione lineare del movimento storico, confonde volutamente i tempi, mescola le cronologie, pone gli uni accanto agli altri elementi di epoche e provenienze differenti. Il risultato è appunto quello di un "archivio" che consegna al presente la possibilità di riattivare continuamente il proprio rapporto con l'origine, di riconoscersi in una discendenza che ripete in forme sempre diverse il destino esemplificato dalla vicenda del Cristo: a questa connessione si riportano infatti la coscienza della finitezza, il senso della mortalità e il bisogno di redenzione che sono posti da Bach alla radice stessa della sua nozione di bellezza. Persino una certa esteriorità di queste pagine, concepite come musica da intrattenimento, appare funzionale a un richiamo etico che invita a considerare in modo diverso il rapporto con il passato.

Il richiamo di Bach, tuttavia, rimase di fatto inascoltato, e senza seguito rimasero anche le invenzioni e le numerose innovazioni stilistiche da lui adottate nei Brandeburghesi. La circolazione di questi lavori fu infatti tardiva e quando furono riscoperti, così come quando nel corso dell'Ottocento il biografo Friedrich Spitta diede loro per la prima volta il titolo con il quale oggi sono conosciuti, essi non potevano più esercitare una reale influenza sulla pratica musicale dei nuovi compositori. L'archiviazione dei bibliotecari di Köthen ha in tal senso un valore opposto a quello che abbiamo attribuito alla musica di Bach: equivale a una rimozione che insieme alle partiture dei Brandeburghesi occulta un modello di interpretazione storica.

L'originalità della proposta di Bach non è tuttavia sfuggita ai critici e agli interpreti, specialmente a quelli che in epoca recente hanno cercato di evidenziare il carattere unitario e sistematico dei Brandeburghesi. Nikolaus Harnoncourt ha descritto ad esempio il paradosso in base al quale proprio la diversità delle forme e la singolarità delle soluzioni musicali sarebbero alla radice del senso di unità che promana da queste pagine. «Ogni concerto è scritto per una destinazione strumentale differente», nota Harnoncourt, «e la diversità delle forme è estrema almeno quanto quelle che riguardano la strumentazione e lo stile». Nei Concerti Brandeburghesi troviamo in effetti gli uni accanto agli altri i modi tipici dello stile francese, quelli cantabili del concerto italiano, la condotta severa del contrappunto, l'impasto moderno della sinfonia e la sequenza arcaica della suite, la tecnica delle cantate sacre e quella delle sonate da camera. Persino l'unità di riferimento più immediata, la forma del concerto grosso, diventa nelle mani di Bach un involucro capace di rinnovarsi continuamente e di accogliere una quantità innumerevole di inserzioni spurie. Harnoncourt definisce tutto questo come un «catalogo» della musica barocca e, al tempo stesso, di tutto ciò di cui Bach era capace come musicista. Questo spirito di compilazione, cui non sono estranei neppure gli interessi pedagogici sempre coltivati da Bach, indica in modo molto chiaro quale fosse per lui la funzione realmente rilevante della Hofmusik, della musica di corte. Quando non è improntata al raccoglimento del genere sacro, quando non nasce dalla meditazione privata o non deriva direttamente da esigenze speculative, la musica diventa per Bach un'occasione per descrivere la propria collocazione storica e per risvegliare, nel presente, il senso della pietas nei confronti delle tracce del passato, senza lasciarsi travolgere dall'ansia del superamento, quasi che nei Concerti Brandeburghesi egli abbia voluto riprodurre il gesto istitutore e conservatore, rivoluzionario e tradizionale che è proprio, in fondo, di ogni concetto dell'archivio.

La concezione dei Brandeburghesi è dovuta anche alla stratificazione del loro lavoro di scrittura. Bach non li compose espressamente per la raccolta da offrire a Christian Ludwig, ma li elaborò probabilmente in tempi anche lontani, nel corso del quindicennio che copre il periodo del suo impiego alla corte di Weimar e il suo trasferimento a Köthen. Le differenti versioni autografe che ci sono pervenute e l'importanza delle modifiche di volta in volta apportate dall'autore mostrano come lo stato definitivo dei Concerti Brandeburghesi sia il risultato di un lavoro di montaggio rigoroso e inventivo, ma per lo più non preordinato. Così l'intervento delle parti solistiche viene ampliato o ridotto in rapporto all'aggiunta di una parte nuova, mentre un movimento già utilizzato in altri contesti, per esempio in una cantata, viene ora collegato all'organismo del concerto attraverso l'inserzione di un raccordo che ne riorganizza la sostanza musicale. La varietà non è dunque un principio programmatico della composizione di questi concerti, ma è un effetto naturale del lavoro pratico, è il riflesso di un atteggiamento intellettuale che si confonde con l'esercizio stesso del magistero musicale bachiano.

* * *

Come il Primo Concerto era improntato essenzialmente al gusto francese, così il Secondo si riporta allo stile italiano, in particolare al modello di Vivaldi, con il caratteristico taglio in tre movimenti. Oltre al violino, gli strumenti concertanti sono qui la tromba, il flauto dolce e l'oboe. Si tratta di un impasto timbrico molto originale, specie per l'uso di un tipo di tromba abbastanza insolito nelle funzioni concertistiche: una tromba piccola in fa dal suono al tempo stesso squillante e leggero. Anche in questo caso sembra che Bach abbia lavorato al materiale musicale in periodi differenti. Il piano della composizione rivela però all'analisi un'impronta geometrica che ripartisce sia gli spunti tematici, sia l'ordine degli interventi solistici in un'architettura finemente calcolata. L'aspetto improvvisativo di molte soluzioni musicali viene così a basarsi su un fondo di studiata simmetria che rende all'insieme un aspetto tanto più coerente, quanto più appare leggero e naturale. L'Andante è, fra i movimenti del Secondo Concerto, quello che meno risponde a un criterio matematico delle proporzioni. La sua concezione abbandona peraltro la forma tipica del concerto e prende piuttosto quella tradizionale della sonata da camera a tre, con il semplice accompagnamento del basso continuo.

Stefano Catucci


(1)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 1 novembre 1996
(2)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 12 ottobre 1995


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Ultimo aggiornamento 19 ottobre 2014