Fin dalla seconda metà del Seicento il termine di "cantata" servì a definire un brano diviso in più parti e con accompagnamento strumentale. Ma, mentre nell'opera e nell'oratorio, gli altri due importanti generi della composizione vocale del tempo, predominavano gli elementi drammatici ed epici, la cantata assunse un aspetto meno aulico e fastoso e seguì una linea espressiva più spiccatamente lirica. Se, come sembra ormai accertato, il madrigale e la canzonetta diedero origine alla cantata italiana profana, specialmente nelle due forme di cantata solista e duetto da camera, bisogna ricordare che alla base della cantata da chiesa tedesca c'erano i mottetti concertanti e le elaborazioni concertanti di canti chiesastici. I primi prendevano comunemente lo spunto da un versetto del Vangelo o delle Epistole, e talvolta anche da un Salmo, cioè da un testo in prosa; le altre invece si valevano di un intero canto chiesastico. In origine però le cantate non erano molto articolate e non avevano quella precisa rifinitura formale che assunsero in seguito con il contributo e l'esperienza bachiana. In esse si alternavano le parole della Bibbia, che costituivano il testo in prosa, agli squarci corali in cui venivano rielaborate intonazioni liturgiche e melodie di canti chiesastici. Fu il pastore protestante Erdmann Neumeister ad ampliare nel 1700 il linguaggio della cantata, introducendovi le forme dell'opera, in particolare il recitativo e le arie con il da capo. Lo stesso Neumeister nella prefazione alle sue "Geistliche Cantaten statt einer Kirchenmusic" ammise esplicitamente di aver scritto le sue cantate con il pensiero rivolto alla predica domenicale e che la loro forma non era altro che un brano operistico, cioè una successione di recitativi e arie.
Nel periodo in cui svolse a Weimar le funzioni di Konzertmeister (1714-1717) Bach adottò questa nuova forma di cantata e accettò la collaborazione del librettista Salomo Franck che, oltre ad essere il segretario del concistoro di quella città, era un fedele seguace delle innovazioni apportate da Neumeister. Inizialmente la cantata bachiana eseguita prima e a volte anche dopo la predica nella messa, si articolava nel seguente modo: il brano di apertura era una fuga per coro o un tempo concertante con coro, di solito su un passo della Bibbia; seguivano quindi i recitativi e le arie, inframezzati a volte da ariosi o da duetti, per terminare con la strofa di un canto chiesastico costruita in modo semplice e lineare. Successivamente quando Bach si stabilì a Lipsia dal 1723 in poi e ricoprì l'ufficio di "Cantor e director musices" nella celebre Thomasschule, sviluppò e ampliò notevolmente la forma della cantata, introducendovi dialoghi fra due personaggi allegorici (la cosiddetta cantata corale), arie, ariosi, melodie caratteristiche di danza che servivano a rendere la composizione più varia e meno pesante e arricchendo notevolmente la strumentazione con l'espansione dei ritornelli delle arie: un procedimento in cui Bach riversa in modo prepotente la sua fantasia inventiva, superando di gran lunga tutti i contemporanei.
A Lipsia Bach compose cinque Annate complete di cantate sacre,
ma a noi ne sono rimaste appena duecento che si aggiungono alla
trentina di cantate profane e che non differiscono molto
strumentalmente dalle prime, anche se il loro scopo era diverso ed era
rivolto a festeggiare matrimoni e occasioni liete e tristi di principi
e personaggi illustri della società tedesca del tempo. Una produzione
estesa e di notevole impegno in cui, pur se a volte diverse
composizioni erano dettate da motivi contingenti e occasionali e dalla
necessità di non perdere lo stipendio annuo di settecento talleri
(esclusi gli incerti saltuari), Bach rivela la sua originalità e
genialità, insieme a quella profondità e sincerità interiore che gli
derivava dalla sua tenace e incondizionata fede nel pietismo.
I maestri di fede luterana predisponevano la composizione delle cantate in cicli organici che coprivano l'intero anno liturgico e prendevano il nome di "annate". Di tali cicli composti da Bach soltanto tre sono pervenuti sino a noi: i primi due in maniera quasi completa e risalenti al periodo 1723-'24 e 1724-'25, mentre il terzo (1725-'26) presenta varie lacune. Ogni ciclo o annata comprende un numero di cantate che varia in funzione della datazione della Pasqua, la festa più importante dell'anno in quanto celebrativa dell'evento centrale della Cristianità, cioè la Resurrezione. Il compito di Bach è stato quello di scrivere delle cantate strettamente collegate alla celebrazione liturgica delle varie feste e per tale ragione esse si ispirano alle letture del giorno (Epistola e Vangelo) e sono intessute di richiami e citazioni ricavate dai testi dell'Antico e del Nuovo Testamento.
La Cantata indicata dalle prime parole del testo "Sehet, welch eine Liebe hai uns der Vater erzeiget" BWV 64 è del 1723 ed è stata scritta per la festa di S. Giovanni Evangelista (Feria III Nativitatis Domini). Si apre con un coro costruito su una fuga trattata liberamente in cui il soprano, il contralto, il tenore e il basso sviluppano un discorso vivace e fluido, dalle plastiche risonanze armoniche, secondo il tipico stile bachiano rivolto a sfruttare al massimo l'estensione e l'altezza delle voci. Il corale che segue ("Das hater Alles uns gethan") è caratterizzato da dolcezza e sobrietà melodica di pungente effetto timbrico. Dopo il recitativo del contralto, incastonato tra le figurazioni e le scale del basso continuo, si ascolta un altro corale ("Was frag'ich nach der Welt") più semplice del precedente, ma molto preciso nel sottolineare l'espressività della parola. Di notevole efficacia lirica le successive due Arie, la prima affidata al soprano e la seconda, dopo un breve recitativo, cantata dal contralto su accompagnamento dell'oboe d'amore e del basso continuo. La composizione termina con una solenne e nobile melodia ("Gute Nacht, o Wesen, das die Welt erlesen!") rispondente in pieno alla concezione religiosa e pietistica di Bach.