Concerto in do maggiore per due clavicembali e orchestra, BWV 1061


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Allegro
  2. Adagio ovvero Largo (la minore)
  3. Fuga
Organico: 2 clavicembali, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1735 - 1736 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1847
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Al clavicembalo Johann Sebastian Bach dedicò un gruppo imponente di concerti solistici; sette concerti per un solo cembalo (BWV 1052-1058), tre concerti per due cembali (BWV 1060-1062), due concerti per tre cembali (BWV 1063-1064) e un concerto per quattro cembali (BWV 1065). Non è da escludersi ovviamente che, nella separazione del lascito bachiano seguita alla morte dell'autore, altri lavori del genere siano andati dispersi. Tutti questi concerti risalgono al medesimo periodo, gli anni 1727-36, trascorsi a Lipsia, e si presentano in sostanza come un blocco compatto di composizioni, dal valore davvero storico. Storico non solo per l'altissima qualità del contenuto musicale - considerazione quasi banale - ma anche per avere impresso un nuovo corso alla storia dello strumento a tastiera. In precedenza infatti il cembalo, all'interno di una composizione concertistica, era sempre relegato nel compito di realizzazione del basso continuo, dunque di "accompagnamento"; il ruolo solistico invece era riservato ai cosiddetti strumenti "melodici" (ossia inadatti per la loro natura a condurre un discorso polifonico: violino, flauto, oboe ecc.). Nei tredici concerti bachiani, dunque, il cembalo viene per la prima volta "promosso" al ruolo di solista, aprendo così inesplorati e fertilissimi orizzonti al genere del concerto.

L'impegno innovativo in questa direzione nasceva in Bach da stimoli di diverso tipo, ma estremamente "concreti". A Lipsia - dove si sarebbe trattenuto fino alla fine dei suoi giorni, contrapponendo una maturità sedentaria all'inquietudine girovaga degli anni giovanili - Bach si era trasferito nel 1723, in qualità di Cantor presso la Thomasschule, dedicando i primi anni del suo soggiorno al compito di rinnovare il repertorio liturgico cittadino. A partire dal 1729 e fino al 1741 - con l'interruzione del biennio 1737-39 - il compositore affiancò a questa attività principale quella secondaria di responsabile del Collegium musicum, ovvero l'associazione fondata da Telemann per venire incontro alle esigenze di fruizione musicale della ricca borghesia cittadina. Se Bach aveva destinato in precedenza la sua produzióne strumentale alla fruizione delle varie corti presso cui aveva prestato servizio - e segnatamente alla corte di Cöthen, nel periodo 1717-1723, che vide la massima fioritura strumentale - si rivolgeva invece adesso all'udienza borghese raccolta presso la sede del caffè Zimmermann.

In tale contesto, che offriva alla prassi musicale mezzi piuttosto amatoriali che professionali, era ovvio per il compositore avvalersi dell'attivissimo contributo dei componenti la sua cerchia familiare. I figli di Sebastian, cresciuti nello studio della tastiera e della composizione, sulla scorta di una produzione didattica scritta dal padre appositamente per loro, e poi destinata a diffusione universale, erano a loro volta musicisti di prim'ordine; ancora risiedevano presso il padre fino al 1733 il primogenito Wilhelm Friedemann - partito poi per Dresda, il figlio "scapestrato" di Bach - e fino al 1734 il secondogenito Carl Philipp Emanuel - partito poi per Francoforte, in seguito protagonista assoluto della sua epoca. A costoro si affiancavano figure filiali meno rilevanti, nonché il prediletto Johann Ludwig Krebs, allievo fra il 1726 e il 1735.

Data l'assenza di violinisti di rilievo nel circolo lipsiense, fu certo la disponibilità immediata di tanti provetti tastieristi a convincere Bach dell'opportunità di tentare la strada del concerto cembalistico, inclusa la formula del concerto a più cembali. Ma l'attività presso il Collegium musicum offriva al compositore anche l'opportunità di presentare al pubblico di Lipsia la imponente produzione concertistica elaborata negli anni di Cöthen. Ecco dunque che - ad eccezione di BWV 1061, per due cembali - tutti i concerti cembalistici di Bach non sono in realtà opere interamente originali, bensì trascrizioni da preesistenti concerti per strumenti melodici risalenti al periodo di Cöthen.

Tale trasformazione non deve certo destare stupore. La prassi di riutilizzare musica preesistente - anche di altri autori - è caratteristica di tutta l'epoca barocca, ed è pienamente spiegabile con il carattere di consumo immediato della produzione musicale, destinata non certo ai posteri ma ad occasioni specifiche e ritenute magari irripetibili. Bach non fece certo eccezione, sia trascrivendo, per fini anche di studio, composizioni di altri autori - Vivaldi in testa - sia compiendo "parodie", ossia rielaborazioni in diverso contesto di suoi precedenti lavori. Relativamente ai concerti bachiani, alcuni di essi sono pervenuti in doppia versione, quella "melodica" degli anni di Cöthen e quella cembalistica degli anni di Lipsia. Giammai Bach avrebbe potuto immaginare che generazioni di musicologi avrebbero impiegato dotte energie nell'impegno di ricostruire la versione "melodica" di quei concerti cembalistici la cui versione originale è andata purtroppo smarrita.

Come si è detto il Concerto in do maggiore per due cembali BWV 1061 è l'unico del gruppo a non derivare, con ogni probabilità, da concerti per altri strumenti, ed essere quindi opera originale. Rispetto agli altri due concerti per due cembali (entrambi in do minore, BWV 1060 e 1062) questo in do maggiore presenta una scrittura solistica piuttosto dissimile. Mentre nei Concerti in do minore i due cembali si contrappongono come un blocco omogeneo al gruppo orchestrale, in BWV 1061 i cembali operano un continuo dialogo fra di loro, che sottrae spazio e importanza all'orchestra. In sostanza, come ha rilevato nel 1802 il primo biografo di Bach, Johann Nikolaus Forkel, «può essere suonato interamente senza l'accompagnamento degli archi, ed è eccellente così». È possibile quindi che l'autore abbia concepito in un primo momento la composizione come una pagina per due cembali soli, e vi abbia aggiunto in un secondo momento l'accompagnamento orchestrale. È forse questo il concerto in cui più chiaramente il limpido modello formale ereditato da Vivaldi viene complicato da una densissima scrittura contrappuntistica, che innerva sia il vastissimo tempo iniziale, ricco nell'elaborazione dei motivi, che il finale, una complessa fuga. Il tempo centrale, Adagio ovvero Largo, è una "siciliana" a quattro parti, dove l'orchestra d'archi tace.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se la tastiera del clavicembalo fu il campo di battaglia primario del Musizieren del primo Settecento - la palestra di compositori in erba e maestri illustri, il vivaio da cui germina un microcosmo ideale - non stupirà la centralità dello strumento nell'officina creativa della personalità più cospicua di quella stagione, Johann Sebastian Bach, e del suo entourage. A casa Bach, nella girandola di allievi e collaboratori che prendono lezione e preparano materiali per produzioni musicali incalzanti, lo strumento rappresenta da un lato un ausilio didattico fondamentale, dall'altro la frontiera dell'inesausta ricerca del compositore, che per primo l'impiegherà in funzione concertante.

I tre concerti bachiani per due clavicembali rappresentano un capitolo singolarmente compatto nella produzione del compositore, e al tempo stesso una sintesi meravigliosa delle diverse stagioni della sua attività. Fondamentale il contesto professionale in cui essi videro la luce, nel breve torno d'anni tra il 1730 e il '36, anni critici nella parabola del loro autore. Il quarto decennio del secolo è per il Bach maturo, prossimo al suo cinquantesimo compleanno, una stagione d'inquietudine e ricerca, mentre ne è messa in discussione l'autorevolezza di Kantor a Lipsia e i rapporti con le istituzioni vanno deteriorandosi. In tale clima burrascoso, pur rimanendo faute de mieux a Lipsia, Bach intraprende nuove vie per la sua creatività, spaziando su una vastità di generi e forme musicali forse sino ad allora inedita: forse mai tanti interessi diversi si erano assiepati insieme sul tavolo del compositore. Legata a questa ricerca è nel 1729 la nomina a direttore del Collegium Musicum, che lo portò a coltivare il genere del concerto come non mai dai tempi di Köthen, e a sviluppare in particolare la formula allora innovativa, e dal luminoso futuro, del concerto per uno o più clavicembali (forse anche fortepiani?), di cui ben quattordici giunti fino a noi. L'operazione consisteva nella rielaborazione di pagine già scritte per altra occasione e altro organico (con strumenti melodici come solisti), lungo le tappe più illustri (Weimar, Köthen e Lipsia) della carriera bachiana. Vivono così di vita nuova le serrate frequentazioni bachiane col genere italiano del concerto solistico, inaugurate a Weimar attorno al 1712 sulla scorta dei lavori allora recentissimi e di punta di Vivaldi, Torelli, Albinoni, Alessandro Marcello, cui Bach portò il contributo solum suum d'una densità contrappuntistica che ben s'attaglierà, vent'anni più tardi, al clavicembalo.

Il Concerto in do maggiore BWV 1061 di Johann Sebastian Bach spicca tra i lavori gemelli per l'originaria destinazione cembalistica. Il modello di riferimento è infatti la versione BWV 1061a, scritta a Weimar o al più tardi nel primo periodo di Köthen per due clavicembali soli. Il lavoro, di cui ci sono giunte le parti di pugno di Anna Magdalena Bach, testimonia, anche nella versione col ripieno orchestrale, quell'operazione di metabolizzazione dei modelli italiani che avrebbe fruttato, nel secondo, cruciale soggiorno a Weimar, la trascrizione e rielaborazione d'una serie di concerti italiani per organo e per clavicembalo, la Toccata in sol maggiore BWV 916, in forma di concerto, e, ormai a Lipsia, il Concerto italiano. Il contrappunto vivifica infatti bachianamente la «selva spessa e viva» d'un ordito sempre serrato, ispirato a una sorta di horror vacui in cui si esaltano reciprocamente l'ingegno profondo dell'autore e il leggendario talento dell'interprete. Purissima invenzione a quattro voci è il tempo lento (Adagio e non più Adagio ovvero Largo come nell'originale senza ripieno), d'interiorità tersa e tesa; una fuga, aperta da una doppia esposizione a tre voci da parte di entrambi i solisti, corona il Concerto; ma forse ancora più sorprendente risulterà l'intrico serrato delle parti nella pagina d'apertura, proprio in quanto omaggio convinto ed entusiasta al genere del concerto italiano: una densità che non offusca la cavalleresca, baldanzosa verve di cui sono informati i tempi estremi del Concerto, vivificati dall'euforico ritmo anapestico sempre carissimo a Bach. Già il musicologo bachiano Wilhelm Rust, che curò l'edizione del concerto nella Bach-Ausgahe ottocentesca, sospettava che l'accompagnamento orchestrale dei tempi estremi (quello centrale ne è privo), che ben poco aggiunge a un discorso musicale già interamente compiuto, fosse stato aggiunto in un secondo tempo.

Raffaele Mellace

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel primo movimento (Allegro) del Concerto in do maggiore per due clavicembali e archi l'orchestra ha un ruolo di Tutti come nel concerto grosso, ma con interventi assai sparsi nei quali, inoltre, il materiale tematico esposto inizialmente dai clavicembali non vi fa mai la sua apparsone nemmeno per frammenti; perciò potremmo dire che il ruolo degli archi è quello di portare qua e là un vivificante tocco timbrico e ritmico nella già scintillante emulazione virtuoslstica dei due strumenti solisti. I quali, nel successivo Adagio, vengono lasciati soli a dialogare: un placido, sereno dialogo che conduce l'idea iniziale a subire piccole varianti lungo un itinerario tonale aperto e poi concluso sul la minore, il terzo tempo è una Fuga il cui soggetto viene esposto dal Cembalo I. Anche qui l'orchestra è adibita a una funzione di secondo piano; ma i suoi rari interventi appaiono determinati, entrando, e con vivacità, ne! pieno dell'argomento tematico: la prima entrata dei Violini I è addirittura emozionante. (Le fughe che «emozionano» rappresentano il culmine dell'arte: quella, appunto, di Bach).


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 febbraio 1995
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 245 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 4 marzo 1966


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Ultimo aggiornamento 12 febbraio 2015