La trascrizione del Concerto n. 11 de L'Estro Armonico, quella segnata nel catalogo bachiano con la sigla BWV 596, senza dubbio la più bella e la più famosa tra queste riletture, fu ampiamente utilizzata in concerto dai pianisti a partire dagli anni Sessanta dell'Ottocento, ma venne arricchita da cadenze, digressioni virtuosistiche e altre aggiunte che erano di volta in volta debitrici di Beethoven, di Schumann, di Liszt o di Wagner, al punto da rendere pressoché impossibile l'identificazione dell'originale. Anche per questo, a lungo il lavoro di Bach non è stato messo in relazione con il Concerto di Vivaldi e anzi, fino agli inizi di questo secolo, è stato erroneamente attribuito a Wilhelm Friedemann, il primo figlio maschio di Johann Sebastian. L'equivoco è stato sciolto solo nel 1910 per opera del musicologo Max Schneider, autore di numerosi studi sugli autografi della famiglia Bach.
Mettere a confronto l'uno accanto all'altra l'originale e la trascrizione, in ogni caso, non è operazione semplice, soprattutto perché la scrittura caratteristica dell'organo richiede un respiro del fraseggio e un'articolazione ritmica molto più lenta. All'esecutore spetta dunque la scelta di porre a contrasto le due versioni facendo risaltare quella che potremmo definire la forza inerziale dell'organo, o se imporre a quest'ultimo un'impervia accelerazione virtuosistica per "tenere il passo" dell'andamento orchestrale.
Stefano Catucci