Partite diverse sopra "O Gott, du frommer Gott", BWV 767

Corale in do minore con 9 partite, per organo

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Organico: organo
Composizione: prima del 1708
Edizione: Peters, Lipsia, 1846
Guida all'ascolto (nota 1)

Agli anni giovanili di Bach risalgono tre serie di partite su corali, esperienze centrali per uno stile che si evolveva e andava acquistando personalità a mano a mano che si sviluppava il confronto con i modelli antichi e recenti dell'arte organistica tedesca.

La pratica di realizzare composizioni di questo genere per strumento a tastiera su temi di corale era stata molto sviluppata da autori come Georg Böhm e come Johann Pachelbel: Bach aveva studiato le opere di quest'ultimo fin dai primi anni della sua formazione, mentre con Böhm era entrato in contatto diretto a Lüneburg, divenendone probabilmente allievo fra il 1700 e il 1703. Se però a questa pratica i suoi predecessori avevano impresso il carattere di un esercizio domestico, tanto che le loro composizioni di questo tipo erano destinate al clavicembalo, Bach integrò la loro lezione con quella di altri modelli, non solo tedeschi, e soprattutto trasferì l'elaborazione delle partite all'organo, cioè in un contesto maggiormente legato all'esecuzione pubblica e all'uso liturgico, ovvero trasportandole in quell'orizzonte religioso che per lui rappresentava l'unico appiglio della ricerca di perfezione formale. L'origine clavicembalistica delle partite si avverte ancora nel carattere scarno della scrittura, con un uso del pedale molto moderato e riservato, per lo più, solo agli ultimi brani di ogni serie.

Quella delle Nove partite sul corale O Gott, du frommer Gott BWV 767 è l'ultima e la più elaborata delle tre. Il numero nove corrisponde in questo caso alle strofe dell'inno religioso di Johann Heermann da cui il ciclo prende il nome, e di cui Bach tenta di dare una sorta di interpretazione musicale, come comunemente si ritiene a partire dall'adesione della Partita n. 8, con il suo accentuato cromatismo, al tono di lamento che è evocato nel testo. Il corale armonizzato serve così da base a una serie di variazioni contrappuntistiche nelle quali il soggetto viene di volta in volta ampliato, diminuito, integrato da figurazioni e controsoggetti che ne modificano di continuo la fisionomia. Bach dà anche prova di intendere il lavoro stesso della variazione in modo nuovo, prendendo come riferimento non solo il tema del corale, ma anche le metamorfosi cui egli stesso l'aveva sottoposto. Così è per esempio nel corpo centrale della composizione, cioè nelle Partite che vanno dal n. 3 al n. 7, che sembrano derivare l'una dall'altra. Le ultime due, le più complesse, obbediscono a criteri formali differenti: la n. 8, più espressiva, è costruita infatti per lo più sulla ricerca dei rapporti armonici; la n. 9, più ampia, presenta invece una molteplicità di effetti coloristici e un accostamento tanto vario di andamenti da aver giustificato l'ipotesi che Bach volesse intenderla come una sorta di ricapitolazione conclusiva del testo di Heermann.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Basilica di Santa Maria degli Angeli, 8 giugno 2000


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Ultimo aggiornamento 2 aprile 2016