Sonata n. 3 in mi maggiore per violino e clavicembalo, BWV 1016


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Adagio
  2. Allegro
  3. Adagio ma non tanto (do diesis minore)
  4. Allegro
Organico: violino, clavicembalo
Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le sei Sonate per violino e cembalo BWV 1016-1019 di Johann Sebastian Bach furono composte verosimilmente negli anni 1717-23, trascorsi da Bach presso la corte del principe Leopold di Anhalt Cöthen. A tale periodo appartiene la maggior parte della produzione strumentale bachiana; l'attività del compositore, esonerato dalla produzione religiosa a causa della fede calvinista del principe, era rivolta quasi esclusivamente all'ambiente di corte.

Agli stessi anni di Cöthen risalgono anche altri due cicli di composizioni - le sei sonate e partite per violino solo BWV 1001-1006, e le sei suites per violoncello solo BWV 1007-1012 - che possono essere accostati alle sonate per violino e cembalo; tutte queste composizioni rappresentano infatti, fra i brani per uno, due o tre strumenti del catalogo di Bach, gli unici "cicli" organici giunti ai posteri in veste integrale (non sappiamo quanta parte della produzione strumentale bachiana sia da ritenersi smarrita). Non è difficile vedere la "ratio" di questi cicli: intraprendere una esplorazione esaustiva delle potenzialità tecniche ed espressive di uno strumento o di un gruppo di strumenti nell'arco canonico di sei brani di contenuto coerente.

Al contrario dei brani per violino solo e violoncello solo, la destinazione di BWV 1014-1019 è polistrumentale, e uno dei tratti distintivi più rilevanti della raccolta è proprio il particolare tipo di collaborazione che si instaura fra i due strumenti, violino e cembalo. A differenza delle sonate per violino e basso continuo (BWV 1021, 1023, 1024 e Anh. 153), in cui è lo strumento ad arco a guidare il discorso musicale mentre quello a tastiera gioca un ruolo di semplice sostegno armonico, qui il cembalo ha un ruolo obbligato, con un peso uguale e indipendente delle due mani, mentre il violino si limita in qualche caso a svolgere un ricamo melodico al discorso autonomo del cembalo; facoltativa (e in genere scartata nelle esecuzioni moderne, anche in quelle "filologiche") è la presenza di una viola da gamba a raddoppiare la linea del basso cembalistico.

E questo anche se la collaborazione fra violino e cembalo assume in realtà soluzioni diversificate, frutto di una ricerca continua e inesausta. La sonata in mi maggiore BWV 1016, la terza del ciclo, ne è un esempio. L'articolazione interna della pagina è uguale a quella di tutti (o quasi) gli altri brani: è modellata su quella della sonata da chiesa (senza movimenti di danza), secondo lo schema Largo-Allegro-Largo-Allegro; diverse sono le scelte espressive e di scrittura, che conciliano le differenti influenze della severa scuola nordica e dell'arioso gusto italiano.

Il tempo iniziale si basa sulla peregrinazione di una figura ostinata, dal rilievo cantabile e fiorito; si impongono in questo, come nell'altro movimento lento, i complessi intrecci fra violino e mano destra del cembalo, con la sinistra in un ruolo di sostegno. L'Allegro in seconda posizione è un fugato in rigoroso stile contrappuntistico. Il terzo movimento - Adagio ma non tanto, l'unico in tonalità diversa da quella d'impianto - è in stile di ciaccona, con un tema ostinato ripetuto al basso accompagnato dai melismi del violino. Chiude la sonata un movimento nuovamente contrappuntistico, tripartito e in stile concertante.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Pianoforte che sta, naturalmente, per clavicembalo. Composizione effettuata, con le altre cinque della raccolta, nello stesso periodo di Koethen, quello che vide nascere le Sonate per violino solo. La Sonata si apre con un Adagio che non è davvero troppo lontano da quelli, similari, che il grande compositore ideò per violino e violoncello soli: lo stesso incanto del tema iniziale, gli stessi gruppi di note strette in un tempo brevissimo, le stesse note lunghe con le quali si prova un assoluto senso di riposo. In questo Adagio tali fioriture sembrano infittirsi sempre più, fino a raggiungere il saturamente nelle due battute finali. L'espressività è istintiva e anche se nelle moderne edizioni non esistessero accenni specifici, ogni esecutore saprebbe egualmente rievocare, con facilità, le intenzioni di Bach.

L'Allegro è proposto dallo strumento a tastiera e si svolge rapido e senza complicate elaborazioni, trovando qualche momento di sosta nel solo violino. L'entrata alla quinta di questo si snoda con facilità, con note puntate, con momenti di maggior forza, con trilli, fino a giungere a sonorità più compatte nelle battute conclusive. Segue un Adagio ma non tanto, in 3/4, anche questo proposto dal clavicembalo, ma alla quinta battuta entra il solista con delle terzine, che ritroveremo in tutta la pagina, miste a delle quartine; quando le prime taceranno nello strumento ad arco saranno riprese da quello a tasto. Svolgimento consueto bachiano ed espressione ben studiata nelle battute finali.

Ed ecco il tempo conclusivo, il quarto, un Allegro in 3/4 ben «staccato»; che si sviluppa con qualche elemento tecnico degno di nota, specie là dove il violino passa al cantino, donando notevole varietà espressiva al pezzo. Un colloquio amichevole tra i due strumenti che non manca di momenti vivaci e variati e di intendimenti ben calcolati, là dove violino e pianoforte eseguono, di comune accordo, passi pressoché uguali, specialmente rispetto al succedersi delle quartine. I brevi respiri tra una frase e l'altra non fanno che aumentare l'espressività con cui i due strumenti si alternano nel discorso musicale.

Mario Rinaldi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nulla si sa sulle circostanze che indussero Johann Sebastian Bach a comporre le Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019; tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi che risalgano anch'esse, come buona parte della produzione strumentale bachiana, agli anni trascorsi dal musicista al servizio del principe Leopold di Anhalt-Köthen (1717-23). Da notare è che le sei Suonate furono verosimilmente composte, o quanto meno assemblate, dall'autore come raccolta, forse in origine destinata alla pubblicazione; a testimoniare l'organicità del ciclo concorre, oltre alla tradizione testuale, la concezione unitaria, riscontrabile soprattutto nelle prime cinque sonate. Per ciò che riguarda lo stile, la particolare novità della raccolta è posta in evidenza già dal titolo: Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo, col basso per viola da gamba accompagnata se piace. L'indicazione del cembalo prima dello strumento melodico, il violino, contraddice la consuetudine dell'epoca e sottolinea il ruolo obbligato e concertante dello strumento a tastiera, mentre il raddoppio di rinforzo del basso con una viola da gamba è opzionale («se piace»). In altri termini, si tratta di autentiche sonate a tre in cui la mano destra del cembalo interagisce con il violino come parte melodica di pari dignità e importanza (o addirittura preponderante), in un costante intreccio dialogico; se si considera inoltre che il basso (cioè la mano sinistra del cembalo) tende spesso ad assumere un'attiva rilevanza contrappuntistica nell'insieme si comprende la complessità e l'integrazione dell'ordito compositivo che caratterizza queste composizioni. Complessità e integrazione che, tra l'altro, rendono irrilevante il fatto che le Sonate, o per lo meno alcuni loro movimenti, possano essere trascrizioni di più antiche sonate a tre per due strumenti melodici e basso.

Dal punto di vista formale, le prime cinque sonate della raccolta sono improntate al modello della sonata da chiesa in quattro movimenti (Adagio - Allegro - Adagio - Allegro) mentre la sesta, che fa corpo a sé per diverse ragioni, è riconducibile piuttosto all'archetipo della sonata da camera e conta cinque movimenti. In tutte le Sonate appare comunque decisivo, sul piano tanto della forma quanto della scrittura, il ricorso alle opzioni offerte dallo stile concertante. A tale proposito si nota che, al di là delle diverse configurazioni formali assunte, i movimenti mossi sono autentiche fughe o fugati, dove l'articolazione strutturale tra le sezioni con funzione di esposizione tematica (ritornelli) e quelle che valgono come divertimenti (episodi) è sottolineata da differenze tematiche, di tessitura e sonorità. E un ulteriore aspetto della raccolta si coglie nel riferimento, tanto formale quanto espressivo, ai tempi di danza stilizzata propri della suite e della partita. Con l'eccezione della Siciliana con cui s'apre la Sonata n. 4, i movimenti lenti denotano una forma unitaria, ma di volta in volta realizzata da Bach con fantasia tale da delineare variazioni su basso ostinato, canoni e altre soluzioni compositive nel segno di una straordinaria intensità espressiva. Oltre alla molteplicità delle risorse offerte dalla fuga e dal canone, nonché dalle tecniche concertanti, il rapporto tra i due strumenti prospetta due ulteriori essenziali modalità d'interazione: il cembalo suona una realizzazione obbligata, e per così formalizzata, del basso continuo oppure si propone rispetto al violino come controparte indipendente a tutti gli effetti.

Nell'Adagio che apre la Sonata n. 3 in mi maggiore BWV 1016 la fisionomia funzionale delle parti del violino e del cembalo è definita con chiarezza. Il violino disegna una linea cantabile sontuosamente cesellata e ornamentata, che lascia pensare alla formalizzazione di un fluente estro improvvisativo, mentre al cembalo è affidata la scansione ostinata di un ricco modulo accordale. Il periodo iniziale su pedale si sviluppa in un'organica prosecuzione modulante per giungere infine a una ripresa, variata e ampliata, del periodo iniziale. L'Allegro fugato che segue è in tempo di Gavotte. Esso prende avvio da un'ampia esposizione, cui succede un episodio basato su proprio materiale tematico; la caratteristica dell'episodio è di proporsi per due volte, con il violino e la mano destra del cembalo che si scambiano le parti; nella prosecuzione, il fugato accoglie anche elementi dell'episodio precedente. Uno dei vertici dell'intera raccolta è rappresentato senza dubbio dall'ammaliante terzo movimento della sonata, Adagio ma non tanto, costruito come una serie di libere variazioni su basso ostinato. Il brano trae origine dal modulo discendente di lamento al cembalo e dalle variazioni 1 - 4 con liriche terzine e quartine di sedicesimi, nel corso delle quali il violino e la mano destra dello strumento a tastiera si scambiano le parti. Nel prosieguo del movimento, con le variazioni 5 - 12 si apre un percorso modulante che si risolve nell'epilogo, dove le variazioni 13 - 14 producono un effetto di ripresa abbreviata dell'inizio, sino all'epilogo concluso con una sospensione sulla dominante di do diesis minore. L'Allegro finale reca ancora una volta l'impronta inconfondibile del concerto, ravvisabile sin dal tratto spumeggiante del soggetto della fuga (quartine di sedicesimi). Tra l'esposizione e il successivo episodio modulante s'avverte uno stacco, poiché quest'ultimo si basa, oltre che su motivi del soggetto, su materiale proprio (terzine); l'episodio si propone per due volte, con il violino e la mano destra del cembalo che si scambiano le parti. La fuga prosegue con uno stretto, un breve episodio e ulteriori entrate del soggetto: tocca quindi alla ripresa dell'esposizione concludere movimento e sonata.

Cesare Fertonani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 1 ottobre 1992
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 1 aprile 1966
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 185 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 21 aprile 2017