Tizennégy bagatell (14 Bagatelle), op. 6, BB 50, SZ 38


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Molto sostenuto
  2. Allegro giocoso
  3. Andante
  4. Mikor gulyásbojtár voltam (Quand'ero un giovane pastore) - Grave
  5. Ej' po pred naš, po pred naš (Ah!, con noi, con noi) - Vivo
  6. Lento
  7. Allegretto molto capriccioso
  8. Andante sostenuto
  9. Allegretto grazioso
  10. Allegro
  11. Allegretto molto rubato
  12. Rubato
  13. Elle est morte - Lento funebre
  14. Ma mie qui danse - Presto
Organico: pianoforte
Composizione: maggio 1908
Prima esecuzione: Baden, 29 giugno 1908
Edizione: Károly Rozsnyai, Budapest, 1908

Il n. 14 arrangiato per orchestra costituisce il n. 2 dei Due ritratti BB 18b
Guida all'ascolto (nota 1)

Le Quattordici Bagatelle op. 6 di Bela Bartok (Nagyszentmiklós, Transilvania, 1881 - New York, 1945) costituiscono una tappa importante nella definizione del percorso compositivo dell'autore. Completate nel 1908 esse trasfondono in forme nuove sia le ricerche sulla tradizione popolare ungherese e limitrofa, che Bartók conduceva con l'amico e collega Zoltàn Kodàly regolarmente da alcuni anni (la pubblicazione a 4 mani di un primo album di canti trascritti e armonizzati è del 1906), sia la scoperta e la ricezione della coeva musica francese. Ambedue i termini di relazione erano, per Bartók, funzionali ad allargare le possibilità di organizzazione sonora oltre le categorie del sistema tonale, e - soprattutto nel primo caso - a fondarle su una radice culturale forte e, per l'appunto, motivata. L'incontro con la tradizione popolare contadina ungherese - ben differente da quella salottiera-cittadina della "musica tzigana" - svelò infatti a Bartók un universo sonoro, costruttivo, espressivo e contestuale, lontano da quello tonale. La concezione del suono nel canto popolare (tipo di emissione vocale, intonazione mobile di alcune altezze...) era assai caratterizzata, così come la trasmissione del repertorio (lì prevalentemente orale), e le scale impiegate. Queste ultime erano assai diverse dai due modi di riferimento (maggiore / minore) della tonalità, né del tutto coincidenti con le scale della modalità gregoriana o bizantina: in alcuni casi, si muovevano sui cinque gradi della scala pentatonica anemitonica (cinque suoni, senza distanze di semitono tra essi), ma in altri ancora i suoni impiegati erano ancora meno numerosi, con i reciproci rapporti intervallari variabili. Il canto popolare rappresentò dunque per Bartók l'indicazione verso un mondo nuovo, le cui strutture (con grande potenziale di complessità) si potessero ritagliare liberamente nello spazio sonoro. Un'indicazione alternativa a quelle linee mitteleuropee (Wagner e i wagneriani, Brahms...) che qua e là avevano già sviluppato un'assimilazione del "colore" nazionale entro il saldo perimetro delle strutture tonali e delle forme classico-romantiche.

La scelta di forme aforistiche, essenziali in stile, struttura e mezzi sonori, conformate nella più varia maniera, è da leggersi ugualmente in funzione anti-romantica: Ferruccio Busoni, attentissimo alle novità, disse delle Bagatelle "Finalmente qualcosa di nuovo in campo pianistico", e le raccomandò all'editore Universal per la pubblicazione, che avvenne però solo un anno dopo (1909) presso l'editore ungherese Rozsnyai Kàroly. La lezione di alcuni pezzi pianistici di Debussy, in cui il materiale è indagato entro un arco formale relativamente raccolto, è stata presente senz'altro a Bartók; ma qui il suo riferimento primo è l'ultimo Beethoven, non solo nel titolo, ma anche nell'affidarsi al pianoforte quale medium della ricerca linguistica e dell'approfondimento più interiore. Le anticipazioni del Bartók successivo sono perciò disseminate in gran copia: solo per citarne una, l'attacco del n. 12 (Rubato), con una serie di note ribattute in libero accelerando che ricorda da vicino la simile figura, affidata allo xilofono, in apertura del secondo tempo della Sonata per due pianoforti e percussioni. A questa immagine se ne avvicendano altre, e due principalmente (una lenta melopea in 6/8, una serie di ondivaghe scalette) disegnano un paesaggio misterioso, lunare, panico, che ricorda da vicino quello della Musica notturna di All'aria aperta. Il mistero della natura, percepito in forme diverse dalromanticismo più sentimentale e innervato nella stessa costruzione musicale (strutture a sviluppo o a germinazione organica, sezioni auree), è un altro dei temi sottesi da Bartók alla sua musica, ed è legato a doppio filo con lo studio della tradizione popolare contadina, nel cui contesto questo rapporto assume forme profonde.

Due delle Bagatelle (le nn. 5 e 6) adottano, in modi opposti, due canti popolari: in "Ero un giovane pastore" la melodia viene affidata alla voce superiore e armonizzata con soluzioni variate, assai personali in alcuni casi, poiché l'accordo con la settima (tradizionalmente una dissonanza) viene considerato una consonanza a tutti gli effetti. In tal modo, per creare un moto di tensione verso la cadenza armonica, Bartók deve reinventare nuovi equilibri nei collegamenti tra gli accordi. In "Ahi, con noi" (canto slovacco) la melodia viene fatta viaggiare sotto un compulsivo susseguirsi di accordi veloci e staccati. Gli ultimi due brani recano inoltre un sottotitolo, legato autobiograficamente alla relazione con la violinista Steffi Geyer. Il n. 13 non fa però riferimento ad una morte reale, ma al troncamento della relazione voluto dalla ragazza: una circostanza sublimata in una intensa quanto mesta elegia, resa funebre dallo sconsolato ritmo giambico dell'accompagnamento. L'ultima Bagatella fu invece rielaborata e orchestrata come secondo (Grotesque) dei Due ritratti per violino e orchestra op. 5.


(1)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana;
Roma, Teatro Olimpico, 20 marzo 2003


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Ultimo aggiornamento 7 dicembre 2012