Contrasti, trio per violino, clarinetto e pianoforte, BB 116, SZ 111


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Verhunkos (Danza del reclutamento) - Moderato ben ritmato
  2. Pihenő (Riposo) - Lento
  3. Sebes (Veloce) - Allegro vivace
Organico: violino, clarinetto, pianoforte
Composizione: 24 Settembre 1938
Prima esecuzione parziale: New York, 9 Gennaio 1939
Prima esecuzione completa: New York, 1 Aprile 1940
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra 1942
Dedica: Benny Goodman e Jozsef Szigeti

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Scritti su commissione del clarinettista Benny Goodman e del violinista Joseph Szigeti, i Contrasti per violino, clarinetto e pianoforte furono terminati da Bartok nel settembre 1938. La prima esecuzione del lavoro ebbe luogo a New York il 9 gennaio 1939 ad opera dei suddetti concertisti e dell'autore, i quali ne curarono anche la registrazione discografica. La partitura è edita da Boosey and Hawkes.

Con i Contrasti, Bartok, che già aveva al suo attivo cinque Quartetti per archi, include per la prima ed unica volta nella sua musica da camera uno strumento a fiato. Di esso, come d'altra parte del violino, sono largamente sviluppate le possibilità, mentre il pianoforte, con i suoi ostinati, trilli, glissandi, suoni a campana, svolge una funzione importante, ma non preminente. Nei due primi movimenti è utilizzato il clarinetto in la, nel terzo il clarinetto in si bemolle: compaiono passaggi melodici caratteristici per ogni registro, rapidi arpeggi e scale, trilli e tremoli, varietà di articolazioni, mutamenti di registri, estremi dinamici, una cadenza nel primo tempo. Il violino aggiunge ai molteplici artifizi adottati da Bartok nel corso della sua lunga pratica degli strumenti ad arco (corde multiple, effetti simultanei di arco e di pizzicato, glissandi, ecc.), quello della scordatura: durante trenta battute, all'inizio del terzo tempo, anziché un violino ad accordatura normale è usato un violino con accordatura sol diesis - re - la - mi bemolle. Anche il violino ha una cadenza, nell'ultimo tempo.

I movimenti che compongono i Contrasti sono rispettivamente intitolati Verbunkos (lett. danza di reclutamento), Pihenö (riposo), Sebes (rapido). I movimenti estremi, l'uno moderato ben ritmato e l'altro allegro vivace, si rifanno ai due aspetti della csardas, il movimento centrale ha l'aspetto di un lento interludio. In Sebes figura un trio discordante rispetto al resto del movimento. Melodicamente ed armonicamente, tutto il lavoro è legato in particolare all'aspro intervallo di tritono.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quello di Contrasti è l'unico caso in cui il clarinetto entra nella musica di Bartók con un ruolo primario e ciò avviene nella fase più creativa del compositore (nello stesso anno del Concerto per violino, il 1938), quella che porta Bartók sulla scena internazionale, mentre la situazione politica del suo paese, e dell'Europa in genere, si fa sempre più difficile. Due anni più tardi infatti egli si stabilirà definitivamente negli Stati Uniti dove, nei cinque anni prima della morte, nasceranno i suoi ultimi capolavori. Per quanto scritti a Budapest, i Contrasti nascono da un rapporto con la musica americana, espressamente con il violinista Joseph Szigeti e il clarinettista Benny Goodman che gli commissionano i tre pezzi, della durata complessiva di circa un quarto d'ora. Ma alla prima esecuzione (New York, 9 gennaio 1939) saranno eseguite soltanto le due danze (che stanno all'inizio e alla fine): Verbunkos (Danza del reclutamento) e Sebes (Veloce). Gli esecutori erano Szigeti, Goodman e al pianoforte Endre Petri. Il pezzo centrale, quello lento, intitolato Pihenó (Riposo), sarà terminato più tardi ed entrerà nella prima edizione della Hawkes & Son di Londra, nel 1942.

Prima di considerare da vicino quest'opera è forse utile ricordare che il clarinetto (la novità, dal punto di vista dell'organico, è proprio il suo inserimento, fra violino e pianoforte), dopo una fortunata stagione ottocentesca, da Weber a Schumann, aveva suscitato l'interesse di molti compositori già nel primo Novecento, con Reger, Debussy, Busoni, Berg, e particolarmente in formazioni cameristiche si imporrà per tutta la prima metà del secolo, in autori fortemente rappresentativi come Hindemith, Honegger, Milhaud, Schoenberg, Webern.

Il primo dei tre pezzi, Verbunkos, mantiene più che gli altri un carattere rapsodico, anche se l'elemento dominante e ricorrente è praticamente uno solo, quello a valori puntati, di carattere un po' grottescamente marziale, che viene proposto in modo esplicito dalla linea del clarinetto alla terza battuta, estrosa e mobile, la quale spezza l'ostinato ritmo a semiminime tenuto dal violino con accordi pizzicati. Poco più avanti i ruoli si cambieranno, o meglio sarà il violino a riproporre lo stesso tema, con il movimento segnato questa volta dal pianoforte, mentre al clarinetto è affidato un movimento continuo a terzine di semicrome. Attraverso passaggi fantasiosi la zona centrale alterna situazioni agogicamente diversificate, ma quasi mai viene a cessare lo spunto ritmico iniziale, anche se l'interesse sembra spostato su una situazione più impellente di terzine nella configurazione particolare di croma più semiminima e viceversa. Un passaggio in cadute sincrone di violino e clarinetto, spezzate dai continui glissandi del pianoforte, conduce ad una specie di ripresa con qualche spunto imitativo senza interesse contrappuntistico rilevante; verso la fine si ripropone per poco il clima dell'inizio, ma solo per lasciare al clarinetto lo spazio di esprimere, con una vistosa cadenza, il suo ruolo di improvvisazione.

Pihenó, in seconda posizione, è un Lento di carattere molto diverso, anch'esso tuttavia internamente diversificato. Il gioco musicale, almeno nella prima parte, è condotto soprattutto da violino e clarinetto spesso in moto contrario, mentre al pianoforte sono affidati interventi sporadici più che altro di atmosfera e di contorno. La zona centrale, ricca di fioriture, tremoli e trilli, è un momento alternativo dal quale alla fine esce il pianoforte con il ruolo che prima era dei due strumenti, quello di brevi movimenti a moto contrario.

Anche l'ultimo pezzo (Sebes) mantiene un carattere un po' rapsodico, ma la sua caratterizzazione viene soprattutto dal movimento veloce che lo rende particolarmente sciolto, con carattere di finale. È curioso sottolineare come esso richieda al violinista due strumenti, il primo con la scordatura della prima e quarta corda (mi bemolle e sol diesis), e che esige anche il cambiamento del clarinetto da la a si bemolle. Sui bicordi del violino (quinte diminuite e quinte giuste alternate) il clarinetto attacca il suo movimento trascinante a semicrome e coinvolge di lì a poco anche il pianoforte in un gioco che si fa via via più vistoso e contrastante. Di notevole interesse ritmico, per gli impulsi nuovi che crea, è la zona centrale in tempo più mosso, su un curioso 8+5/8, vale a dire su una suddivisione di 13 ottavi divisa, dentro ogni battuta, in due valori di otto e di cinque; curiosa è anche, in questa realtà, la presenza di grappoli di note, al pianoforte, dall'essenza di cluster. Poi si riprende lo spirito della prima parte, con la presenza di una brillante cadenza del violino che lascia scorrere quindi il discorso liberamente in tutta la sua fluidità verso la conclusione.

Renato Chiesa


(1)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 13 Gennaio 1961
(2)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 febbraio 2003



I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 19 ottobre 2013