Divertimento per archi, BB 118, SZ 113


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Allegro non troppo
  2. Molto adagio
  3. Allegro assai
Organico: preferibilmente: 6 violini I, 6 violini II, 4 viole, 4 violoncelli, 2 contrabbassi
Composizione: 2 - 17 Agosto 1939
Prima esecuzione: Basilea, 11 Giugno 1940
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra - New York, 1940
Dedica: all'Orchestra da camera di Basilea

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È alla fine del 1940 che Bela Bartók lascia l'Ungheria per avviarsi all'esilio volontario negli Stati Uniti. «Questo viaggio è, in fin dei conti, un salto nell'incertezza da una certezza insopportabile», scrive il 14 ottobre all'amica svizzera Muller-Widmann. Non era solo il clima bellico a far allontanare il compositore, ma ancor più la ferma avversione verso le dittature europee e il loro fiancheggiamento da parte del governo ungherese. Due anni prima, dopo l'Anschluss dell'Austria al Reich, Bartók si era rivolto in termini crudi alla medesima amica: «Scrivere di questa catastrofe, io credo, è del tutto inutile. [...] C'è il reale pericolo che anche l'Ungheria si arrenda a questo regime di ladri e assassini. La domanda ora è: quando? come? E non è concepibile che io possa ancora vivere, ancora lavorare (il che è lo stesso) in un paese di questo tipo. Io avrei davvero l'obbligo di espatriare».

Questo dunque il clima degli ultimi anni ungheresi di Bartók, anni di intensa produttività, che vedono nascere, fra l'altro, la Sonata per due pianoforti e percussione, il Sesto Quartetto, il Secondo Concerto per violino e orchestra, nonché il Divertimento per orchestra d'archi: un gruppo di lavori che sommano, con grande maestria di scrittura, complessità costruttiva, ricerca timbrica, alte ambizioni concettuali.

In particolare il Divertimento per orchestra d'archi venne scritto nel corso di un periodo trascorso in Svizzera, a Saanen, presso Berna, nella residenza del direttore Paul Sacher, che fu il diretto committente del brano. Appena due settimane furono sufficienti per la stesura della partitura, dal 2 al 17 agosto 1939; e proprio Paul Sacher, con l'orchestra da camera di Basilea, doveva offrirne la prima esecuzione, l'11 giugno 1940, quattro mesi prima che Bartók abbandonasse definitivamente l'Ungheria.

In molte occasioni si è cercato di stabilire una correlazione fra il Divertimento per archi e le vicende biografiche di Bartók, individuando nella partitura una sorta di fuga ideale rispetto alla prospettiva dell'esilio, o invece un presentimento angoscioso di questo, soprattutto nel movimento centrale. In realtà il contenuto del Divertimento è segnato non già da queste connessioni extramusicali, ma piuttosto da quella tendenza purificatrice e in qualche modo neoclassica che ha progressivamente innervato la poetica di Bartók nel corso degli anni Trenta. Il termine neoclassicismo ha, in questo caso, un significato piuttosto specifico, per il richiamo palese a tecniche di scrittura barocche e classiche.

Lo stesso titolo di Divertimento si riallaccia alla prassi della musica di intrattenimento di Mozart e Haydn, con l'organico di soli archi; si aggiunga che la scrittura per archi segue il principio costruttivo proprio del Concerto grosso barocco, con la continua alternanza (soprattutto nei movimenti estremi) fra il ripieno dell'intera orchestra e il concertino formato dalle prime parti di ogni sezione. Il fascino di questa partitura risiede proprio nelle modalità secondo le quali Bartók riesce a coniugare questi criteri di scrittura con un materiale tematico costruito secondo i principi del canto popolare, ungherese e non; ma anche nella trasparenza del tessuto degli archi e nei procedimenti di inversione e combinazione delle idee musicali.

Ecco dunque che nell'Allegro con troppo iniziale viene in secondo piano la costruzione secondo lo schema della forma-sonata classica, e la contrapposizione dei vari temi, e si impongono invece allri fattori, come la nitida contrapposizione fra soli e tutti, la variabilità degli schemi ritmici (propria del canto popolare), i netti contrasti dinamici, la limpidezza della tessitura. La coda del movimento riprende il materiale tematico in una sorta di contemplazione, rinunciando quasi alla logica di contrasti in favore di una dinamica contenuta.

In posizione centrale troviamo un Molto adagio che è una delle grandi pagine notturne di Bartók; basterebbe ascoltare la sapienza strumentale con cui l'autore definisce l'esordio, una sorta di tappeto sonoro con sordina, su cui si stagliano nudi disegni di violini e viole. Si impone in questo movimento soprattutto la sezione centrale, con un lungo e calibratissimo crescendo innervato da angoscianti doppi trilli dei violini, cui fa seguito un rapido diminuendo.

Il movimento in cui più evidente è la logica del Concerto grosso è il terzo, Allegro assai, dove netto e continuo è il contrasto soli/tutti; ma molto vario è lo schema del tempo, che segue la forma di un libero rondò, guidato da un tema nel modo misolidio; vi troviamo, ad esempio, una sezione in cui incisivi unisoni si alternano a passaggi di inseguimenti fugati fra le voci; o ancora un lungo a solo rapsodico del violino. Lunga e trascinante, basata sull'intensificazione ritmica, la coda viene interrotta due volte, prima per una sezione in Grazioso, scherzando, poco rubato, affidata a pizzicati e glissandi, poi per un'estrema apparizione del concertino, subito prima della conclusione.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Così come la Musica per archi, percussione e celesta, anche il Divertimento fu commissionato a Bartók da Paul Sacher per l'Orchestra da camera di Basilea. Scritta fra il 2 e il 17 agosto 1939 a Saanen (Svizzera), la partitura fu eseguita per la prima volta a Basilea l'11 giugno 1940. Pagina conclusiva del periodo neoclassico bartókiano, il Divertimento mostra una struttura per molti versi simile a quella del Concerto (n. 2) per violino: ABA', dove A e A' sono il suo primo e terzo tempo, accomunati dall'impiego del medesimo materiale tematico, e B il tempo centrale, a sua volta strutturato secondo lo schema "a ponte" bcb'. Il recupero di taluni tratti propri dello stile barocco si manifesta qui nella frequente alternanza tra soli e tutti, che sembra far palese riferimento ai modi del concerto grosso. La successione dei tempi presenta dapprima un Allegro non troppo il cui carattere di danza è prevalentemente affidato a un metro ternario di 9/8, non di rado però contratto, anche se per poche battute, in quello di 6/8. Segue un Molto adagio, dalle movenze ritmiche pronunciatamente magiare. Conclude la composizione un Allegro assai nel quale riappare, come s'è detto, trasfigurato nel metro di 2/4, il materiale tematico del primo tempo, qui sviluppato in un tessuto che abbandona l'impostazione contrappuntistica dell'Allegro non troppo a favore di una scrittura più omofonica e compatta, tale da consentire alla compagine strumentale un vera e propria dimostrazione di bravura.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Divertimento per orchestra venne scritto da Bela Bartók in un momento cruciale della sua esistenza. Siamo nel 1939 alla vigilia dello scoppio della guerra mondiale e il clima di intolleranza e la drammaticità del periodo avevano spinto il compositore ungherese a esporsi in prima persona, prendendo le difese di Toscanini, non suonando più in Germania, abbandonando editori tedeschi e la società degli autori austriaca, filonazista. Nel suo paese inoltre era vittima di attacchi da parte della stampa, tanto che di lì a poco avrebbe compiuto il passo della partenza senza ritorno per gli Stati Uniti. Aveva quindi accolto di buon grado l'invito di Paul Sacher, il direttore d'orchestra che già gli aveva commissionato la Musica per archi, celesta e percussioni e che era un infaticabile promotore della nuova musica, che gli aveva richiesto per Basilea una composizione per orchestra d'archi. Ma vista la situazione internazionale e il temperamento di un compositore che non aveva mai interpretato il proprio ruolo come avulso dalla società, Sacher lo aveva anche ospitato in uno chalet di sua proprietà nel piccolo villaggio svizzero di Saanen. Là Bartók nell'agosto del 1939 ebbe modo di comporre non solo il Divertimento, ma anche il Sesto Quartetto per archi: «Mi sento come un musicista dei tempi passati, ospite di un patrono delle arti... devo lavorare su commissione».

Probabilmente la suggestione di queste sensazioni lo spinse verso un tipo di composizione ispirata al Concerto grosso, con l'alternanza tra il tutti orchestrale e il concertino tipica di questa forma. Il risultato fu un brano non troppo complesso in tre movimenti in cui i tempi estremi ricordano il Bartók della Dance Suite, mentre il movimento centrale raggiunge una profondità degna delle sue più complesse composizioni. Se Bartók intendeva rifarsi alle tradizioni coneertistiche pre-classiche, nondimeno non rinnegò i numi tutelari della tradizione musicale occidentale, Bach e Beethoven.

Non a caso la composizione si apre con un primo movimento in forma-sonata, che alterna misure in 9/8 con quelle in 6/8. Il tema principale è costituito da una melodia di grande fascino affidata ai violini che si sviluppa su di una pulsazione costante di crome: inflessioni modali e ambiguità cromatiche oscurano, senza cancellarlo del tutto, il senso tonale. Un secondo gruppo tematico, che presenta leggeri irregolarità ritmiche - secondo procedimenti chiaramente derivati dallo studio della musica folklorica di cui Bartók fu uno dei pionieri - è presentato in alternanza tra il concertino e il ripieno. Lo sviluppo è condotto con una scrittura prevalentemente contrappuntistica che culmina in un canone a cinque parti mentre un canone al tritono, con le parti ispessite in intervalli di seconda maggiore, conclude la sezione. La ripresa presenta i materiali dell'esposizione largamente rimaneggiati.

L'Adagio molto che segue è articolato in quattro sezioni che raramente presentano l'alternanza tutti-concertino del movimento precedente, mentre il discorso musicale è giocato su sonorità più ricche e su di una maggiore drammaticità. Il movimento è costruito su di una cellula di tre note che conserva una inesausta vitalità attraverso le continue micro-variazioni intervallari e ritmiche cui è sottoposta. La seconda sezione è caratterizzata dai drammatici interventi delle viole, mentre la terza è costruita su di un ostinato che accompagna la cellula di tre note con armonizzazioni in quarte e quinte dal sapore medievale. L'ultima sezione è una ripresa della prima.

Il finale è in forma di rondò con un lungo sviluppo finale e presenta nella sua parte centrale una doppia fuga con il soggetto utilizzato nella sua forma diretta e in inversione. Soli del violoncello e del violino, e poi l'inversione dei temi conducono a un finale dal sapore burlesco, con la citazione di una polka seguita da rapidissime terzine che si condensano in clusters per poi sfociare in una vivacissima coda.

Andrea Rossi Espagnet


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 29 Ottobre 2000
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 maggio 1996


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Ultimo aggiornamento 2 gennaio 2013