A fàból faragott királyfi (Il principe di legno), balletto in un atto, op. 13, BB 74, SZ 60


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
Sceneggiatura: Béla Balázs
Organico: 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 4 oboi (3 e 4 anche corno inglese), 4 clarinetti (3 anche clerinetto piccolo, 4 anche clarinetto basso), 4 fagotti (3 e 4 anche controfagotto), 2 sassofoni, 4 corni, 4 trombe, 2 cornette, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, tamburo, piatti, triangolo, tam-tam, castagnette, glockenspiel, xilofono, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: 1914 - 1917
Prima rappresentazione: Budapest, Teatro dell'Opera, 12 maggio 1917
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1924
Dedica: Egisto Tango

Guida all'ascolto (nota 1)

La musica drammatica occupa uno spazio esiguo nella produzione di Bela Bartók. A differenza infatti della sua opera pianistica e dei quartetti per archi - che hanno accompagnato l'intero arco creativo del compositore, registrandone altresì le più significative svolte stilistiche - i lavori destinati al teatro sono soltanto tre e risultano serrati in un ristretto ambito cronologico: dal 1911, anno di composizione del Castello del duca Barbablù - la sua unica opera - al 1918-1919, periodo in cui vede la luce il balletto Il mandarino miracoloso. Tra i due lavori drammatici si inserisce la pantomima Il principe di legno, un'opera dai rilevati contorni fiabeschi che, scritta in pieno periodo bellico (1916), sembra per contrasto far risaltare ancora più grottescamente l'orrore allora dilagante sullo scenario europeo. Fu forse proprio la sua vena disimpegnata e fantastica ad assicurare un ampio successo al Principe di legno che, rappresentato il 17 maggio 1917 al Teatro dell'opera di Budapest, segnò una svolta importante dal punto di vista del nuovo favore mostrato dal pubblico ungherese nei confronti di Bartók. Eppure il soggetto del balletto, affidato ancora una volta alla penna di Bela Balazs (già librettista del Barbablù), è apparso alla critica non pienamente convincente, soprattutto sotto il profilo della coerenza drammatica.

Un leggendario principe vuole sedurre una bella principessa, ma i suoi tentativi di avvicinarsi alla fanciulla vengono caparbiamente ostacolati da una fata, grazie all'intervento di una natura (formata dai fiori, gli alberi e il torrente che dividono i due castelli posti nello scenario uno dì fronte all'altro, dimora dei protagonisti) da lei opportunamente animata e resa ostile. Disperato, il principe ricorre allora ad uno stratagemma: per attirare l'attenzione della fanciulla, veste dei propri abiti (mantello, corona e parrucca) un pezzo di legno. Ma, attratta dal "giocattolo", la principessa ignora del tutto il principe che, privato ora degli attributi del suo potere, diviene un uomo qualunque. La fata, quindi, con un nuovo sortilegio, anima l'insolito manichino, con il quale la principessa si getta in un'estatica danza. A questo punto c'è però un improvviso voltafaccia della fata: impietosita dal giovane, che tuttavia essa stessa ha fino ad ora osteggiato, la fata restituisce all'uomo i suoi orpelli principeschi (i fiori del bosco si trasformano nella parrucca, nella corona e nel mantello del giovane). Ora è la principessa a trovare attraente il principe ma, dato il suo rifiuto, essa dovrà a sua volta affrontare l'acqua e la foresta, spogliarsi dei suoi abiti, prima dì riconquistare il definitivo amore del principe.

La felicità, quindi, viene raggiunta solo dopo essersi liberati delle apparenze? In realtà, più che il contenuto, interessante è l'articolazione formale del racconto, cioè la sua potente e studiata simmetria (che ne giustifica alcune incongruenze drammatiche, come quella del voltafaccia della fata), nonché il sovrapporsi di differenti piani strutturali: la dimensione umana (la semplice storia d'amore tra il principe e la principessa), la dimensione fantastica e soprannaturale (gli interventi della fata), la dimensione grottesca (quella di un "principe di legno"). Questi differenti elementi drammatici si traducono nel linguaggio musicale di Bartók in altrettanti ingredienti stilistici. In quegli anni il compositore, dopo aver ormai completamente assorbito l'influenza della tradizione tedesca (Brahms, Wagner, Strauss e Liszt), è alla ricerca di una nuova via in grado di portare il linguaggio musicale al di fuori delle secche in cui l'ha costretto la crisi tonale tardo-romantica.

Una possibile soluzione al problema sembra provenirgli da un lato dal ricco patrimonio etnofonico della sua terra (la raccolta sistematica del canto contadino della penisola balcanica e delle regioni circostanti è da lui iniziata nel 1906 e prosegue negli anni successivi), dall'altro dal linguaggio di Debussy. L'emancipazione dal rigorismo delle scale maggiori e minori - i principali contrassegni della tonalità - avviene per Bartók soprattutto grazie alla riscoperta dei modi ecclesiastici antichi o addirittura di modi ancora più primitivi (pentatonici) che il patrimonio melodico popolare gli andava a mano a mano rivelando. Tale materiale gli suggerisce inoltre formule ritmiche e soluzioni metriche più libere e varie, rendendo nel contempo possibili nuove combinazioni armoniche. D'altronde il suo percorso non è tanto dissimile da quello compiuto in quegli anni da Debussy che, mosso dalle stesse esigenze, non esita nelle sue opere a ricorrere ad un melodismo pentatonico assai simile a quello rivelato dalla musica popolare.

Il principe di legno si presenta, infatti, come una sorta di ibrido stilistico, concorrendo in esso elementi diversificati, attivati evidentemente dalla natura pluridimensionale del soggetto. In particolare, riprendendo alcune soluzioni compositive già adottate da Stravinskij nell'Uccello di fuoco (contrapposizione dell'elemento naturale/soprannaturale realizzata musicalmente mediante il contrasto diatonismo/cromatismo), Bartók utilizza per caratterizzare il principe e la principessa un melodismo largamente ispirato al canto contadino (fatto di temi di struttura quaternaria, basati sulla scala pentatonica, con andamento melodico discendente), riservando invece per i passaggi destinati all'intervento soprannaturale un linguaggio decisamente intriso di cromatismo, quando non modellato direttamente sulle armonie evanescenti e i raffinatissimi impasti timbrici dell'impressionismo francese, come nella Danza delle onde.

La parte più innovativa del balletto è tuttavia quella riguardante proprio il "principe di legno" e la sua grottesca danza con la principessa: qui il compositore non esita ad utilizzare tutte le risorse del suo linguaggio più avanzato, quali accordi aspramente dissonanti, ritmi "barbarici", audacie timbriche. Inoltre, vista nel suo insieme, la partitura rivela già quella acuta sensibilità formale che sarà un tratto tipico del linguaggio più maturo di Bartók: la simmetria degli elementi drammatici, segnalata in precedenza, consente infatti di predisporre il discorso musicale in vista di una ripresa rovesciata, nella seconda parte dell'opera, dei materiali già esposti nella prima parte di essa. Tale ripresa è chiaramente segnalata dalla riapparizione in forma abbreviata degli episodi orchestrali che caratterizzavano i tentativi del principe, laddove la principessa li ripercorre a sua volta. Una procedura che prefigura appieno la tipica "forma ad arco" che contrassegnerà i lavori strumentali più maturi di Bartók.

Gloria Staffieri


(1) Testo tratto dal libretto allegato al CD Philips 454 429-2


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Ultimo aggiornamento 19 ottobre 2013