Quartetto per archi n. 3, BB 93, SZ 85


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Prima parte: Moderato
  2. Seconda parte: Allegro
  3. Ricapitolazione della prima parte: Moderato
  4. Coda: Allegro molto
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Settembre 1927
Prima esecuzione: Filadelfia, 30 Dicembre 1928
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1929
Dedica: Musical Fund Society, Filadelfia
Guida all'ascolto (nota 1)

Accanto a lavori di grande impatto emotivo come il Concerto per orchestra e Il castello del principe Barbablù, o di estremo virtuosismo come i primi due Concerti per pianoforte e orchestra, Bela Bartók ci ha lasciato molta musica da camera, all'interno della quale i Sei Quartetti non rappresentano solo dei capolavori in se stessi, ma illustrano tutto il suo pensiero maturo.

Fu probabilmente l'ascolto della Suite lirica di Alban Berg a spingere Bartók verso la composizione del Quartetto n. 3. Da dieci anni il musicista non scriveva per questo organico (il Quartetto n. 2 è del 1917) e in soli tre mesi, nell'estate del 1927 portò a termine la partitura, un lavoro in cui le influenze di Berg sono evidenti sia nella forma sia nelle sonorità. Della particolarità ed originalità di questo Quartetto si resero conto i membri della "Philadelphia Music Found Society" che gli conferirono, ex-equo con Alfredo Casella, il primo premio di 6.000 dollari. Oggi, a distanza di tanti anni, sappiamo quanto quel premio sia stato lungimirante: «Il Terzo Quartetto non fa semplicemente un uso nuovissimo del medium quartettistico, esso è anche estremamente anticonvenzionale nella sua stessa concezione, ellittico nel metodo formale e talvolta brutalmente aspro nelle sonorità» (StephenWalsh). Il Terzo Quartetto è una sorta di "campionario" delle tecniche compositive in uso nel primo Novecento, tecniche che Bartók usa a suo modo giungendo ad un linguaggio completamente nuovo. Troviamo mescolati tonalità e atonalità, novità e tradizione, contrappunto severo e polifonia lineare, melodia lirica e brutali accordi basati solo sul timbro; il suono, accanto alla bellezza, non ha paura di mostrare il suo aspetto primitivo di materiale da plasmare e se la prima pagina si apre con una morbida ma penetrante dissonanza, l'ultima è una sequenza di violenti accordi dissonanti. Bela Bartók non era il primo ad usare sonorità aspre; negli stessi anni Igor Stravinkij e Edgar Varèse lavoravano con materiali analoghi ma in direzione neo-impressionista.

Il Quartetto n. 3 è diviso in quattro parti nella sequenza lento-veloce-lento-veloce, tipica della musica ungherese popolare del XIX secolo; l'organizzazione dei temi ricorre spesso alle tecniche del contrappunto classico (specie il canone e la fuga) ed i quattro strumenti sono impegnati in frequenti imitazioni e ripetizioni di piccole sezioni o micro-melodie. Alle pagine più ardue si accostano melodie di danza condotte con un sottile gioco di ritmi incrociati, note ripetute, «estensioni ed espansioni dal carattere improvvisativo, come se stessimo realmente ascoltando una complessa performance di contadini in cui gli esecutori fossero liberi di variare la melodia secondo certi modelli, ed in cui la velocità aumenta gradatamente ed il ritmo si intensifica mentre cresce l'eccitazione» (Stephen Walsh). La lunga Coda finale testimonia la necessità di dare un riassetto formale agli eventi che caratterizzano questi intensi quindici minuti, eventi sempre al limite tra riflessione intellettuale e vitalità primigenia.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

L'evoluzione del linguaggio di Bela Bartók verso una sintesi di elementi di matrice folklorica e di reminiscenze della tradizione della musica d'arte occidentale, risulta particolarmente evidente nei sei Quartetti per archi, la cui composizione scandisce le tappe principali della sua produzione, coprendo un periodo di oltre trent'anni (1908-1939).

Le conquiste più interessanti avvengono proprio nei Quartetti composti alla fine degli anni Venti, fra cui è compreso il Terzo Quartetto, scritto nel settembre del 1927. Se nel Primo Quartetto vi è una sorta di giustapposizione piuttosto forzosa di stilemi eterogenei e contrastanti - dal tardo Romanticismo tedesco, all'Impressionismo francese e alla musica etnica dell'Europa orientale - a partire dal Terzo e dal Quarto Quartetto tali elementi risultano fusi in un linguaggio inedito di notevole complessità, che fa un uso estremamente anticonvenzionale del medium quartettistico. Tale originalità non era sfuggita neanche alla commissione di un concorso indetto dalla "Philadelphia Music Found Society", cui Bartók sottopose il Quartetto nei mesi successivi: il lavoro ottenne infatti il primo premio di 6000 dollari, condiviso col compositore italiano Alfredo Casella.

Interessanti sono anche le vicende che precedettero la composizione del Quartetto e che ne influenzarono la concezione. Una di queste era di natura politica e sociale: in seguito al "Trattato del Trianon" (1920) che determinò lo smembramento del Regno di Ungheria, il nuovo regime impose a Bartók il divieto di svolgere ulteriori ricerche etno-musicologiche nelle proprie terre d'origine. Pertanto il musicista si trovò nelle condizioni di spostare le proprie energie artistiche verso l'attività concertistica e verso quella compositiva, che vennero fortemente intensificate.

Questa svolta determinò un cambiamento anche nel rapporto con il materiale musicale folklorico. Infatti se fino agli anni Venti le melodie etniche venivano incorporate integralmente nei propri lavori, in seguito Bartók si concentrò maggiormente sulle armonie e sugli accompagnamenti, raggiungendo un maggiore grado di astrazione, di complessità e di concentrazione in tutti i livelli della composizione: dalle altezze, al ritmo, all'armonia. A ciò si aggiunga lo studio approfondito delle tecniche contrappuntistiche delle musiche per clavicembalo del Barocco italiano, trascritte per pianoforte ed eseguite in tournée in Italia nel 1925, nonché lo studio intenso di Bach. Sul piano creativo ne scaturisce una nuova struttura densamente cromatica e fortemente contrappuntistica dei lavori pianistici bartókiani degli anni Venti, premonitori dello stile dei successivi lavori quartettistici.

Tra le circostanze immediatamente precedenti la composizione del Terzo Quartetto Sz 85, è significativo ricordare che Bartók, nell'estate del 1927, aveva potuto conoscere la Suite lirica di Berg per quartetto d'archi, ascoltata a Baden-Baden in un concerto in cui lo stesso Bartók eseguì la propria Sonata per pianoforte. Il lavoro di Berg suscitò particolare interesse nel compositore magiaro, soprattutto riguardo all'uso dei timbri strumentali, e proprio l'esplorazione di possibilità timbriche nuove, in via di sperimentazione già da tempo con vari organici strumentali, diventa una delle caratteristiche più rilevanti del Terzo e del Quarto Quartetto.

In particolare nel Terzo Quartetto le atmosfere fortemente espressionistiche derivano da svariati fattori, innanzitutto dalla concentrazione della forma tradizionale di quattro tempi in un singolo movimento. Il brano presenta, tuttavia, una precisa articolazione in quattro sezioni, nella sequenza lento-veloce-lento-veloce, con la terza parte chiamata dal compositore, in italiano, Ricapitulazione della prima parte e la quarta parte Coda - a dire il vero più una sorta di ripresa o continuazione della seconda parte a livello tematico.

In ogni caso la terminologia di Bartók sembra indicare una concezione del lavoro in due movimenti, in cui il principio della staticità, con l'accumulo della tensione, e quello della dinamicità ed espansività, in cui l'energia accumulata diventa quasi esplosiva frenesia, sono fortemente contrapposti. In questo dualismo, anche espressivo, traspare un implicito riferimento agli ultimi Quartetti beethoveniani, in particolare alle risolute opposizioni che aprono l'op. 130 e l'op. 132. Di derivazione beethoveniana potrebbe risultare anche un altro aspetto peculiare riguardante la struttura ritmico-armonica, quello della cosiddetta "dissonanza metrica", con la sovrapposizione a strati di impulsi ritmici differenti. Questa caratteristica viene esasperata dall'impiego di scale e modi di matrice folklorica, liberamente combinati con astratte costruzioni di intervalli simmetrici che si integrano con elementi cromatici e diatonici. Fondamentalmente il materiale motivico-tematico è costituito da micro-melodie che Bartók espande tramite raffinati artifici contrappuntistici, in un'organizzazione quasi seriale che da vita a continue catene di motivi tra loro interconnessi.

In quest'architettura formale di grande coerenza e ricchezza inventiva emerge una varietà espressiva stupefacente del medium quartettìstico, attraverso un processo di emancipazione del suono e del timbro, sottolineato dalla gran varietà di colpi d'arco introdotti (col legno, sulla tastiera, a punta d'arco, sul ponticello, pizzicato, martellato) e da effetti particolari quasi al limite del rumore.

Anna Ficarella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 14 Dicembre 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 14 Dicembre 2001


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Ultimo aggiornamento 6 Luglio 2011