Sonata violino e pianoforte n. 1, op. 21, BB 84, SZ 75


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Allegro appassionato
  2. Adagio
  3. Allegro molto
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Ottobre - Dicembre 1921
Prima esecuzione: Vienna, 8 Febbraio 1922
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1923
Dedica: Jelly d'Arányi
Guida all'ascolto (nota 1)

Nella ricca produzione cameristica di Bartók le composizioni riservate al violino non sono numerose ma assai significative per capire il temperamento creativo e lo stile di questo musicista che ha sentito più di tanti altri artisti del suo tempo l'evoluzione e il processo di aggiornamento del linguaggio musicale, senza tuttavia compiere un netto rifiuto della struttura armonica e tonale, così come fece Schönberg con la Scuola viennese. Per il violino egli scrisse rispettivamente nel 1921 e nel 1922 le due Sonate, di cui la prima viene riproposta stasera, le due Rapsodie per violino e pianoforte (1928), il Concerto per violino e orchestra (1937-'38) e la Sonata per violino solo (1944), dedicata a Yehudi Menuhin. In tutti questi lavori Bartók ha studiato in dettaglio ogni possibilità tecnica ed espressiva del violino cercando di imprimere un discorso, per così dire, più libero e aperto e non strettamente legato ai canoni tradizionali. Naturalmente non manca il riferimento alla matrice folclorica della terra magiara (ciò si avverte in maniera evidente nelle due Sonate per violino e pianoforte), ma la melodia, il ritmo, la metrica puntano su una visione più astratta ed essenzializzata del pensiero musicale, quasi a non voler dimenticare l'esperienza espressionista della pantomima in un atto Il mandarino miracoloso, composta tra il 1918 e il 1919, che rappresenta uno dei punti fermi e più importanti della poetica bartókiana. Come è stato giustamente affermato, in questi pezzi per violino e pianoforte o violino e orchestra non c'è dialogo serrato fra i due strumenti o, comunque, un rapporto dialettico, tanto è vero che un biografo ha annotato con una immagine brillante che il violino e il pianoforte appaiono come «due fratelli siamesi legati per il dorso: vivono dello stesso battito cardiaco, ma non sono in grado di vedersi». Il che significa che i due strumenti, ma soprattutto il violino, sono proiettati verso una più scavata tensione espressiva, al di là di certe regole che sinora governavano la scrittura di simili componimenti a due voci.

Le due Sonate per violino e pianoforte sono diverse anche dal punto di vista formale. La prima è in tre tempi e rispetta lo schema della sonata classica, pur nel carattere rapsodico della musica, mentre la seconda è in due movimenti: il primo (Molto moderato) ha un tono pensoso e di riflessione, come un'introduzione al successivo Allegretto, da cui si sprigiona quella vitalità ritmica e molto vivace armonicamente che resta la sigla creatrice tipica del musicista.

La Sonata n. 1 punta il primo movimento su un tempo allegro sviluppato in forma libera, con alternanza di toni drammatici e toni distesi, con qualche asciutta parentesi armonica. L'Adagio si snoda in un clima di rigoroso classicismo, immerso in una dimensione psicologica di elevata purezza espressiva: non manca un episodio di carattere virtuosistico, omaggio alla specificità del violino. L' Allegro molto conclusivo riflette lo stile della danza romena e persegue una linea di moto perpetuo nel quale si schiudono momenti di folgoranti tensioni caratterizzati da armonie costruite su tre tonalità simultanee. In un passaggio si avvertono arpeggi discendenti che si richiamano in un certo senso e forse ironicamente al Petruska stravinskiano.

Si sa che le due Sonate bartókiane per violino e pianoforte furono dedicate alla giovane Jelly d'Arányi, nipote del celebre violinista Joseph Joachim e anche lei violinista di grande talento. La D'Arányi suonò con successo i due pezzi a Londra in due concerti nel 1922 e nel 1923 e Bartók mostrò gratitudine e riconoscenza verso questa virtuosa dell'archetto, apprezzata anche da altri illustri compositori dell'epoca.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I pochi mesi del governo popolare di Béla Kun costituirono una vera e propria fase di rigenerazione per la musica ungherese. Fu in quell'epoca che si gettarono le basi della rivalutazione e dello studio sistematico della musica popolare e che si stesero i piani per l'educazione musicale, due elementi che dovevano poi assegnare un posto così preminente all'Ungheria negli anni successivi e ancora nei nostri giorni. In queste imprese Béla Bartók fu naturalmente in prima linea e la caduta del governo popolare, con l'avvento della reazione, dovevano segnare una grave crisi per lui. Diviso tra la tentazione dell'esilio e quella di proseguire in patria l'opera intrapresa, Bartók finì per scegliere, non senza ambascie, questa seconda soluzione, affrontando così un duro periodo di isolamento. Fu proprio in questa fase, complicata anche da crisi familiari, che la sua musica mise a frutto la conoscenza dell'espressionismo e che si accostò alle avanguardie europee. Tra le composizioni di quel perìodo le due sonate per violino e pianoforte, scritte rispettivamente nel 1921 e nel 1922, occupano un posto di tutto rilievo. En passant si potrà dire che già nel 1903 Bartók si era cimentato con una sonata per violino e pianoforte, rimasta fuori catalogo e solo di recente riacquisita ai programmi dei concerti. Ma, rispetto a quel lontano esperimento, le due sonate degli anni venti hanno ben poco in comune. La prima di esse è in tre movimenti e la sua scrittura è ardua ed accidentata. L'allegro appassionato iniziale e l'adagio (che si apre con un'ampia esposizione del solo violino) tentano appena di stemperare la veemenza del primo Bartók in ampie zone di lirismo che non riesce ad essere liberatorio. Più asciutto e seccamente ritmato, l'allegro conclusivo, ricco di accelerandi, si apparenta ancor di più con la musica popolare tzigana, o forse con l'idea che noi abbiamo di essa. Solo nelle composizioni successive infatti Bartók riuscirà in quel tentativo di sintesi tra fonti autoctone e linguaggio personale che già allora perseguiva.

Bruno Cagli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 2 Aprile 1993
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 ottobre 1976


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 19 dicembre 2015