Coriolano, ouverture in do minore, op. 62

per la tragedia "Coriolano" di Heinrich Joseph von Collin

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: 1807
Prima esecuzione: Vienna, Palazzo Lobkowitz, 8 Marzo 1807
Edizione: Bureau des Arts et d'Industrie, Vienna 1807

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'Ouverture del Coriolano fu scritta da Beethoven nei primi mesi del 1807 come intermezzo alla tragedia omonima di gusto classicheggiante di Heinrich Joseph von Collin (1771 - 1811), poeta drammatico austriaco di un certo nome, stimato anche da Goethe. L'Ouverture, concepita come brano musicale a sé stante e non come componimento di inizio dello spettacolo teatrale, non fu eseguita per la prima rappresentazione del dramma, che ebbe luogo il 24 aprile 1807 a Vienna, ma certamente più tardi, nel dicembre del 1807, dopo essere stata presentata in una edizione privata, in casa del principe Lobkowitz nel marzo precedente, insieme al Quarto Concerto per pianoforte e orchestra e alla Quarta Sinfonia. Il dramma del Coriolano è ispirato alla leggenda dell'eroe Gaio Marcio, soprannominato Coriolano per aver espugnato l'antichissima città dei Volsci, offrendo loro collaborazione per combattere contro i romani. A questo punto la moglie Volumnia e la madre Veturia lo supplicano di non tradire la patria ed egli, combattuto fra il sentimento dell'onore e quello della vendetta, viene assassinato dai Volsci. Questa è la versione utilizzata da Shakespeare, mentre quella di Collin vede Coriolano suicida, per l'insanabile contrasto di coscienza tra la parola data ai Volsci e l'incapacità di marciare contro Roma. Su questa tesi si basa l'analisi estetica dell'Ouverture del Coriolano tracciata da Wagner in uno studio apparso nel 1851 a Zurigo, in cui è scritto: «Dell'intera tragedia Beethoven puntò su un'unica scena, certamente la più decisiva. Egli vi concentrò la vera sostanza sentimentale, puramente umana di quel soggetto. Questa è la scena tra Coriolano, sua madre e sua moglie nel campo avanti alle porte della città. Tutta la forza d'odio che spingeva l'eroe alla distruzione della patria e le mille spade e frecce del suo risentimento, egli le afferra con mano potente e terribile, ne forma una punta sola e se ne trafigge il cuore. Sotto il colpo mortale che si e infiltro, il colosso cade e ai piedi della donna che implora la pace ed esala, morendo, l'ultimo respiro».

La pagina beethoveniana (dura complessivamente circa sette minuti) si impone per la stringata e intensa carica drammatica, sin dal Do iniziale in fortissimo, sfociante nel vigoroso accordo di tutta l'orchestra. Segue la frase ascendente degli archi, ritmicamente inquieta e spezzata in una continua alternanza fra gruppi di due crome staccate e due legate. Questo episodio caratterizzato da accenti sincopati di incisiva espressività conduce ad una melodia in Mi bemolle maggiore, affettuosamente distesa e sentimentale, a mò di implorazione della madre e della moglie sull'animo orgoglioso dell'eroe. Il discorso si sviluppa con varietà di figurazioni ritmiche e la frase melodica si affaccia nella coda, prima del ritorno al tema iniziale. L'atmosfera tesa e sanguigna si dissolve in un impercettibile pianissimo, con cui si conclude la possente Ouverture, che ha sempre incontrato il favore del pubblico e gode di una vasta letteratura interpretativa da parte di musicologi di diversa estrazione culturale.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel piano dei tumulti spirituali e compositivi che segnarono la nascita della Quinta Sinfonia, e precisamente nel 1807, Beethoven scrisse per la tragedia «Coriolano» di Heinrich Joseph von Collin (1771-1811), un autore che godeva ai suoi tempi di una certa fama avallata perfino dall'interesse di Goethe, una Ouverture in do minore, fosca e tragica, possentemente drammatica, vero e proprio geniale codicillo della grande «Sinfonia del destino». Anche se l'Ouverture, pubblicata nel 1808 come op. 62, fu eseguita nel dicembre 1807 a parte dalla tragedia cui era destinata (essendo il «Coriolano» di Collin già andato in scena il 24 aprile dello stesso anno), Beethoven non fece mistero, dedicando a Collin la partitura, della sua ammirazione per un'opera che, se confrontata con il ben altrimenti significativo capolavoro di Shakespeare, ci appare di una ingenuità e una schematicità sconcertanti, tanto da chiedersi se non fossero altre, piú profonde e intime, le suggestioni a cui Beethoven si abbandonò nel comporre questa Ouverture. Se ne dovette accorgere anche Wagner il quale, in uno scritto pubblicato a Zurigo nel 1851, immaginò addirittura che l'Ouverture fosse stata composta per la tragedia shakespeariana, costruendo su tale supposizione una delle sue interpretazioni piú fantasiose e capziose: «Possiamo concepire tutte le opere sinfoniche di Beethoven come rappresentazioni di scene tra l'Uomo e la Donna, in quanto abbiamo il diritto di ritrovare l'archetipo di queste scene nella Danza, dalla quale, in realtà, è derivata la forma d'arte musicale della Sinfonia. Il «Coriolano» è una di queste scene. Tutta l'Ouverture potrebbe legittimamente essere considerata come l'accompagnamento musicale di un'azione pantomimica fondata sul contrasto tra Coriolano, immagine dell'Uomo, forza portentosa, orgoglio indomabile, e la madre e la sposa, immagini della Donna, grazia, dolcezza, tenera dignità. Noi vediamo i gesti con i quali Coriolano interrompe le suppliche femminili, le alternative del suo rimorso, del suo orgoglio, del suo furore con gli atti delle preghiere, delle suppliche della Donna, e infine le esitazioni dell'Uomo, la sua commozione e la decisione eroica di sacrificare l'orgoglio e la sua stessa vita alla patria».

Lasciando da parte il forzato tentativo wagneriano di fare di Beethoven quasi un precursore del dramma musicale, si deve riconoscere nella Ouverture del «Coriolano» una delle pagine piú esemplari del sinfonismo epico ed eroico di Beethoven, in una temperie espressiva che, come scrive Carli Ballola, «lungi dal condizionarsi agli schemi di un facile descrittivismo psicologico, scaturisce dalla mirabile identificazione delle leggi di un discorso musicale rigorosamente autonomo (quali le strutture della forma-sonata) con le leggi di quei ‘principi opposti che governano il mondo’ del pensiero kantiano». Tale clima di severa drammaticità si palesa già nell'esordio dell'opera, uno di quegli incisi plastici che fanno esclamare a una sola voce: «Ecco Beethoven!». All'irrequietudine incalzante del primo tema si contrappone il nobile lirismo, soavemente supplichevole, del secondo tema in mi bemolle; poi è tutto uno scatenarsi di contrasti e conflitti drammatici di inaudita pregnanza che concludono sull'inciso tragico dell'inizio, trascolorato, prima di spegnersi definitivamente, nel sinistro bagliore del registro grave degli archi.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Chi è vicino ai quarantanni non potrà aver dimenticato quel "Carosello" in cui, per evidente analogia con le caratteristiche del prodotto che si intendeva reclamizzare (un amaro olandese «dal gusto forte»), veniva presentato ogni volta un grande condottiero della storia nel difficile momento in cui doveva prendere un'importantissima decisione da cui sarebbe potuta dipendere la vittoria o la disfatta in battaglia, la fortuna o la rovina dello stato (inutile dire che alla fine ci azzeccava sempre). La narrazione era affidata non tanto alla voce fuori campo, ma a dei bellissimi e incisivi disegni in bianco e nero, accompagnati da una musica corrusca e carica di tensione. Chi poi avesse proprio dimenticato questo "Carosello", sicuramente ne ricorderà la forma breve, realizzata sulle prime due note di quella musica: un lungo unisono in fortissimo degli archi a schermo vuoto preparava l'esplosione di un accordo a piena orchestra che sottolineava il perentorio abbattersi su un tavolo del pugno chiuso di un armigero. Grazie a un amaro olandese dal gusto forte, l'Ouverture Coriolano di Beethoven - o almeno una sua cellula fondamentale - entrava così a far parte delle esperienze di ascolto familari a milioni di italiani.

Coriolano è il soprannome attribuito al leggendario patrizio romano Cneo Marcio (Gneo Marzio), artefice nel 493 a. C. della conquista di Corìoli, capitale dei Volsci. Esiliato da Roma dopo un fallito tentativo di farsi nominare console, Coriolano, desideroso di vendetta, si era rifugiato presso Tullio Aufidio, re dei Volsci, per guidarne l'esercito contro Roma; ma, giunto a poche miglia dalla città, fu fermato dalle parole di sua madre e di sua moglie che lo richiamarono ai valori dell'amor patrio.

La vicenda di Coriolano, narrata da Plutarco nelle Vite parallele, aveva già ispirato fra l'altro l'omonima tragedia di Shakespeare (1607-1608, propriamente The Tragedy of Coriolanus), opere serie di numerosi musicisti fra cui Cavalli (1669), Perti (1683), Caldara (1717), Graun (1749), e una coreografia di Salvatore Viganò (1804). A loro si aggiunse anche Beethoven, con questa Ouverture in do minore composta fra il gennaio e il marzo del 1807 per l'omonima tragedia scritta dal suo amico Heinrich Joseph Edler von Collin che era stata rappresentata con successo al Teatro di corte di Vienna nel 1802 e oggi è completamente dimenticata. La prima esecuzione ebbe luogo a Vienna nel marzo del 1807 nel corso di due concerti a palazzo Lobkowitz durante i quali furono presentati anche la Quarta Sinfonia e il Quarto Concerto per pianoforte e orchestra. Il 24 aprile dello stesso anno l' Ouverture, che è dedicata a Collin, fu eseguita per la prima volta in occasione di una ripresa della tragedia che l'aveva ispirata e nel 1808 fu pubblicata a Vienna come op. 62.

Nonostante il relativo successo goduto al suo apparire dalla tragedia di Collin, fu subito chiaro che la creazione di Beethoven era infinitamente superiore al dramma che pure l'aveva ispirata: E. T. A. Hoffmann, in un'entusiastica recensione del 1812, sottolineava in particolare la grandezza dimostrata da Beethoven nel riuscire a innalzare «una costruzione di grande arte» con «elementi estremamente semplici». Certamente nella vicenda dello sciagurato Coriolano, Beethoven aveva potuto trovare elementi ideali che gli erano particolarmente cari, come il confronto con la storia, la classicità e il mondo romano e il contrasto drammatico fra i sentimenti dell'uomo e il suo senso etico; questo contrasto, così come quello fra lo slancio rabbioso di un animo offeso e le voci pacificatrici e conciliatrici della madre e della moglie, sembrano nati per essere condensati nell'opposizione fra poli di una struttura in forma-sonata.

Nasce così questa straordinaria pagina al calor bianco attraversata, dopo gli impressionanti accordi in fortissimo d'apertura, da una continua tensione che si esprime con un andamento ansimante, ottenuto tramite i continui spostamenti d'accento provocati dalle sincopi e lunghe pause di silenzio utilizzate in chiave espressiva; la tensione, mitigata per pochi istanti dalla comparsa del cantabilissimo secondo tema, è accresciuta anche dalla folgorante concisione del brano, in cui ogni nota sembra essere assolutamente ineluttabile così come accade, ad esempio, nel primo tempo della coeva Quinta Sinfonia, con cui l'Ouverture Coriolano condivide la tonalità di do minore e la pregnanza dell'elemento ritmico.

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 23 Ottobre 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 8 marzo 1980
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 ottobre 2001

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Ultimo aggiornamento 28 marzo 2015