Ouverture Leonore n. 3 in do maggiore, op. 72b


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, tromba interna, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1806
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 19 marzo 1806

Scritta per la seconda versione dell'opera Fidelio
Guida all'ascolto (nota 1)

Ancor più celebre è l'ouverture Leonore, terza delle quattro che Beethoven scrisse per premetterle alla sua opera. Scartata una prima partitura a sé stante, detta poi Leonore n. 1, la Leonore n. 2 venne eseguita con la versione 1805 dell'opera; ma, in vista della revisione del 1806, l'autore sottopose a modifiche anche questa pagina, giungendo al capolavoro della Leonore n. 3, eseguita appunto con la versione 1806. Senonché nel 1814 Beethoven decise di espungere questo brano, dalle dimensioni abnormi per una ouverture operistica, e di sostituirlo con una nuova ouverture più sintetica e brillante. E tuttavia una lunga tradizione direttoriale, che risale a Hans von Bülow e Gustav Mahler, reinserisce l'ouverture all'interno dell'opera, e precisamente fra il primo e il secondo quadro del secondo atto; una scelta che viene incontro alla necessità funzionale di riempire il tempo di durata del cambio di scena, ma anche e soprattutto di far ascoltare nel corso dell'opera completa quella pagina che Beethoven aveva pensato come sintesi poetica di tutto il Fidelio e che solo in riferimento all'opera trova la sua giusta luce e comprensione.

L'ouverture, in forma sonata preceduta da una introduzione lenta, si apre con un colpo di timpano, cui segue un lento diminuendo; già questo Adagio è estremamente complesso, perché presenta una delle caratteristiche più fascinose della pagina, quella di non puntare su temi fortemente scanditi e definiti, ma su temi che nascono e finiscono in dissolvenze, in un gioco di inseguimenti e dilazioni che sembra rimandare sempre una chiara e definitiva affermazione tematica. Si fa largo così, sempre nell'introduzione, un tema esposto dai legni, che è quello dell'aria cantata da Florestano, prigioniero nel sotterraneo, all'inizio del secondo atto. Poi si inscguono flauto e violini, contrastati da un tutti orchestrale, e i legni si impegnano in una invocazione sospesa.

L'ambientazione estremamente pensosa dell'introduzione viene spezzata dal seguente Allegro, dove un tema fortemente ritmato da sincopi insistenti, esposto dagli archi in pianissimo, viene ripetuto con esaltazione da tutta l'orchestra; i corni portano a un secondo tema ascendente, lirico e contrastante, che è solo un diversivo negli intrecci ritmici provocati dal ritorno degli elementi del primo tema. Sempre le sincopi del primo tema sono sottese a tutto l'andamento dello sviluppo e alle sue peregrinazioni, che viene interrotto per due volte ravvicinate da uno squillo di tromba in lontananza; è lo squillo che, nell'opera, annuncia l'arrivo del ministro e dunque l'improvvisa soluzione della vicenda. Ma è solo una premonizione, perché il tema in sincopi riprende la sua strada (con un episodio del flauto) e giunge così ad affermarsi nuovamente e in modo più definito con l'inizio della riesposizione. Riascoltiamo quindi la parentesi del secondo tema e gli intrecci ritmici di cui si diceva. Dovrebbe seguire a questo punto la sezione della coda; ma Beethoven preferisce dilazionarla con un nuovo diversivo, il ritorno del tema dell'aria di Florestano già udito nell'introduzione lenta, cui segue l'invocazione sospesa dei legni. È una progressiva impennata dei violini e poi di tutti gli archi a condurre alla coda, che costituisce una ultima ripresa del tema scattante in sincopi, questa volta però finalmente affermato con quella piena chiarezza e determinazione che finora era mancata. La conclusione trionfale non lascia dubbi sul significato da attribuirsi alla pagina; quello di un percorso calibratissimo, dalla prigionia verso la libertà, attraverso impulsi repressi e negati che solo nella conclusione trovano lo sfogo cui tendevano sotterraneamente fin dall'inizio.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 18 ottobre 1998

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Ultimo aggiornamento 26 aprile 2013