Der glorreiche Augenblick (Il momento glorioso), op. 136

Cantata per soli, coro ed orchestra Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Testo: Aloys Weissenbach (rivisto da Joseph Carl Bernard)
  1. Coro: Europa steht - Allegro ma non troppo
  2. Recitativo e coro: O seht sie nah - Andante. Maestoso. Allegro vivace
  3. Recitativo e Aria con coro: O Himmel - Allegro. Recitativo
  4. Recitativo, cavatina e coro: Das Auge schaut - Andante. Presto. Adagio
  5. Recitativo e quartetto: Der den Bund - Allegro. Allegretto
  6. Coro: Es treten hervor - Poco allegro. Adagio. Presto
Organico: 2 soprani, tenore, basso, coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, percussioni, archi
Composizione: 1814
Prima esecuzione: Vienna, Redoutensaal, 29 Novembre 1814
Edizione: Haslinger, Vienna 1837
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Tra il settembre del 1814 e il giugno del 1815 Vienna fu la capitale d'Europa. Come tutti sappiamo, due imperatori, quattro monarchi, prìncipi da ogni nazione, ministri plenipotenziari, tra i quali primeggiava l'intramontabile Talleyrand, ambasciatori, e finanzieri, spie, poliziotti, si incontrarono in un Congresso che avrebbe dovuto ristabilire per i secoli, secondo le norme della legittimità e dell'autorità, l'ordine politico generale, che Napoleone nel decennio della sua supremazia aveva sconvolto. Allora egli sembrava esiliato e vinto (ma poco dopo rientrò in scena). La corte imperiale d'Austria, il suo governo e gli alti funzionali non si risparmiarono e nulla risparmiarono affinchè l'evento del Congresso fosse davvero grandioso e storico. Dieci mesi memorabili, per le manovre, certo, della diplomazia internazionale e dell'alta politica, ma anche per le cerimonie, le feste, i balli, gli spettacoli, i concerti, i cortei, i tornei. Era un modo, assai dispendioso, di organizzare il consenso, come si dice oggi. L'Europa legittimista per essere sicura della sua guarigione dal contagio rivoluzionario ostentava un eccesso di energie vitali, al fervore delle quali partecipò Beethoven da protagonista. E quello, tra il 1814 e il'15, fu un anno in cui la sua popolarità arrivò al culmine soprattutto, ma non solo, per le musiche che oggi ci interessano meno o per nulla. Può, dunque, meravigliarci che al clima della restaurazione antiliberale, contro la quale Byron, per esempio, scagliò ogni genere di improperi, abbia contribuito anche Beethoven. Può meravigliarci, dicevo, per l'immagine che di lui il romanticismo ci ha trasmesso, dell'artista libertario e indomito, dell'eroico innovatore che irride e sfida autorità e tradizioni. L'immagine, anche se non è del tutto ingiustificata, è però astratta, idealizzata, santificatrice, perché Beethoven aveva un suo modo, ingenuo forse, imprevedibile, perfino opportunistico, di regolare i propri interessi e di adattare i propri ideali antitirannici e patriottici: del suo patriottismo erano parte la fedeltà alla tradizione spirituale tedesca e il sentimento antifrancese, che nell'occasione del Congresso erano sentiti come ideali primari. Quindi a noi sembrano contraddizioni etiche le sue scelte di allora, le quali, essendo suggerite da un intuito superiore, finì che furono produttive nell'arte e quindi umanamente positive. Per esempio nella spinta dei successi ottenuti con le sue musiche celebrative, il 23 maggio 1814 Beethoven fece rappresentare il Fidelio nella versione definitiva e il successo fu quello che il capolavoro meritava. Poi, due mesi dopo, proprio una replica del Fidelio fu parte dei festeggiamenti in onore di Metternich che da Parigi portava a Vienna la notizia del prossimo Congresso. Già in passato Beethoven aveva accettato incarichi ufficiali per composizioni d'omaggio, come, nel 1790, quelli delle cantate in morte di Giuseppe II, fratello dell'Elettore di Colonia e Bonn, e per l'incoronazione di Leopoldo II. Era un uso dei tempi e così facevano i maggiori e i minori, Mozart, Haydn, Salieri, Spohr, Hummel, Süssmayr ecc. Ma negli anni delle guerre antinapoleoniche la produzione di Beethoven a carattere patriottico ed encomiastico si fa fitta più che in ogni altro periodo della sua vita.

Il più noto tra i lavori di questo genere, ancora oggi famoso e malfamato per i suoi effetti fragorosamente onomatopeici, è la sinfonia, o meglio il poema sinfonico (anche se il termine non era stato ancora inventato), La vittoria, di Wellington o La battaglia di Vitoria, del 1813, per due grandi orchestre e cannoni, che descrive lo scontro tra i francesi e gli inglesi a Vitoria in Spagna, eseguita tra deliranti applausi della folla (in orchestra suonavano o collaboravano agli effetti sonori, Salieri, Spohr, Moscheles, Hummel e il ventiduenne Meyerbeer). E ancora. Per il Singspiel su un insulso libretto di Georg Friedrich Treitschke, Die gute Nachricht (La buona notizia), mezzo sentimentale e mezzo patriottico, Beethoven compose la musica conclusiva per coro e basso solista "Germania, Germania": con il Singspiel si festeggiava la notizia della caduta di Parigi il 31 marzo 1814. Forse era destinato a qualche cerimonia inaugurale del Congresso il breve coro "Ihr weisen Gründer glücklicher Staaten" ("Voi saggi fondatori di Stati felici") su versi di Bernard (ma non sappiamo se e quando il brano fu eseguito). Infine, Der glorreiche Augenblick, Il momento glorioso: il momento è quello del Congresso di Vienna, della cui gloria tutti erano certi. L'incarico prevedeva un lavoro di grandi proporzioni, come poi fu, destinato a una serata musicale in onore dei sovrani ospiti. Già fissati, quindi, in anticipo i caratteri dei versi e della musica. La poesia la scrisse un medico-poeta che abitava a Salisburgo, Aloys Weissenbach, del quale Beethoven ebbe, almeno per un certo tempo, una buona opinione. Pensava, infatti, di avere da lui un libretto per la sua seconda opera lirica; ma i versi presuntuosi e scombinati della cantata gli avranno fatto mutare parere. Anzi quella poesia gli parve così prolissa, piatta, colma fino alla noia di esecrazioni di Napoleone («il mostro», «la bestia», «il Minotauro» e avanti così) che chiese all'amico Joseph Carl Bernard di risistemarla da cima a fondo. Non migliorò dall'intervento la qualità letteraria, come vedremo, ma almeno il testo ne ebbe un po' di movimento drammatico e alcune occasioni di pathos per la musica (ricalcando un errore antico qualche monografia ripete ancora oggi che Beethoven abbia adoperato la versione originale di Weissenbach).

Dicevo che lo stile era già determinato in anticipo dall'incarico. E infatti la musica della cantata (e lasciamo da parte i versi che proprio non contano) partecipa dell'allegrezza, dell'ottimismo, della devozione che dovevano essere i sentimenti artificialmente dominanti a Vienna in quei mesi e che tutti ostentavano. Come già nel Konig Stephan, la musica del Glorreiche Augenblick è beethoveniana in senso generico, è, cioè, vigorosa, solida, solenne all'occorrenza, ma priva di un suo carattere specifico e di un'intrinseca necessità espressiva. Riecheggia e anticipa molte pagine eccelse (la Terza sinfonia, la Nona, la Missa solemnis) quasi sempre da lontano, per un avvio, per un colorito, per un disegno tematico, per un insieme sonoro, ma di quelle pagine non ha mai la profondità del pensiero e dei mezzi. E musica dettata dalla poetica del sublime, che Beethoven per carattere e per mestiere, e non solo per il suo genio unico, sapeva attuare come nessun altro artista dell'epoca, senza che essa sia mossa dalla sublimità delle idee.

Nei sei numeri, o sezioni, della Cantata il coro, che è la voce dei popoli europei, e i solisti, che sono prosopopee (Vienna) e tipi allegorici (il Genio, il Condottiero delle genti, la Veggente), esprimono l'entusiasmo generale per la splendida assemblea di sovrani e per «l'Aquila bicipite / che tra fulmini e vento / ha alzato la sua gente a tanta gloria». Da immagini oracolari, spesso oscure, si levano inni ai monarchi presenti e alla loro giustizia (n. 4, essi sono «il tribunale del mondo») e canti di speranza e di pace (n. 5, con versi fiaccamente pindareggianti, «Chi fra i venti ha trattenuto il nodo, / darà sostegno a un mondo / e a un tempo nuovi, / sì che per lui cadrà la forza empia», «Verde sarà l'ulivo / con cui questo coro, che ora / fonda il nuovo edificio, / legherà le colonne d'Europa»).

Una volta che il musicista aveva accettato tanto enfatico manierismo, restavano alla musica pochi diritti, come ho detto prima. Anche i temi ben scolpiti e felici, che non sono assenti del tutto, hanno respiro corto e mancano di energia evolutiva; come accade alla melodia del violoncello, che apre la seconda sezione, o, nella terza, agli interventi del violino solista, che sono graziosi ma puramente ornamentali. Tuttavia nella quarta sezione sono ammirevoli la mobilità armonica, ritmica, sentimentale nelle 28 battute di recitativo-arioso che introducono la cavatina del soprano, una bella melodia, e la risposta intensa del coro. L'ultimo numero, il sesto, che descrive la festa della pace, le pie cerimonie, i cortei dei fanciulli, è tipico dello stile grandioso-eroico del Beethoven accademico.

Alla prima del Glorreiche Augeblick, eseguito il 28 novembre 1814 nel Redoutensaal, insieme alle repliche della Settima sinfonia e della Vittoria di Wellington (quasi due ore di musica), davanti a sovrani, principi e a una folla immensa, il successo fu strepitoso. Ma fu un successo della musica? È difficile dirlo. Nella replica del 2 dicembre la sala era vuota per metà, sì che si dovette annullare una prevista terza replica.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quando Metternich ritornò da Parigi il 18 luglio 1814 con l'annuncio della convocazione del congresso che avrebbe richiamato a Vienna i rappresentanti di tutte le nazioni d'Europa, senza discriminazione fra vincitori e vinti, fu accolto come un trionfatore, al suono della musica di Beethoven. Schierata davanti alla cancelleria, l'orchestra di corte eseguì l'ouverture di Prometeo e la sera, al Teatro di Porta Carinzia, ebbe luogo una rappresentazione del Fidelio nella nuova e definitiva versione andata per la prima volta in scena il 23 maggio precedente e rivelatasi il successo dell'anno.

In questo clima di europeismo euforico, con Vienna invasa per mesi da teste coronate (due imperatori e quattro re) e da un via vai di ambasciatori, ministri, principi con relativi seguiti (qualcosa come diecimila ospiti permanenti), con fastosi ricevimenti ogni sera per fare da contrappeso ai numerosi incontri diplomatici diurni (il congresso non si riunì mai in seduta plenaria), non è strano che un compositore politicamente impegnato come Beethoven abbia accettato di scrivere in onore degli ilustri ospiti e della città, divenuta di colpo il centro del mondo, una cantata che celebrasse quel «momento glorioso».

In un primo tempo prese in esame il testo sottopostogli dal tirolese Alois Weissenbach, chirurgo e letterato, giunto da Salisburgo, sua città di residenza, a Vienna in occasione del congresso, nella convinzione di potersi rendere utile nelle sue due qualità. Come poeta, Beethoven, che pur nutriva simpatia per quest'uomo, affetto come lui da sordità, trovò Weissenbach scalcinato. E si rivolse ad un amico giornalista, Joseph Carl Bernard - che l'anno seguente doveva diventare una delle colonne della «Wiener Zeitung» - affinchè rimaneggiasse il testo in questione, rendendolo più malleabile e atto ad essere musicato.

Weissenbach si era concentrato sulla figura del drago Napoleone finalmente schiacciato dagli eserciti alleati sotto la guida del pio imperatore Francesco, evocando il minotauro e Prometeo, in dieci strofe di quattordici versi ognuna, a rime alterne. Bernard non si limitò soltanto a rielaborare il soggetto a fondo, come afferma Schindler, ma scrisse un testo completamente nuovo, all'incirca della stessa lunghezza. Senza utilizzare neanche un'immagine di Weissenbach, eliminò drago, minotauro e Prometeo e fissò l'attenzione soprattutto su una ipotetica Europa sorta sui bastioni infranti della vittoriosa città di Vienna. La quale è elevata al rango di personaggio insieme con tre altre figure allegoriche, atte ad aprire la possibilità di recitativi, arie e pezzi d'insieme.

Tanto fumosa e turgida era la poesia di Weissenbach, quanto scopertamente encomiastica quella di Bernard, nella quale, se si tenta di abbozzare una prima immagine di Europa unita, la si pone però sotto l'egida teutonica. E Napoleone viene menzionato solo sotto l'aspetto della latinità invadente, cui il coro grida il vade retro («superba Roma, indietro!»). L'esaltazione del Kaiser, a cavallo dell'arcobaleno, e del ruolo capitale di Vienna cede alla fine il posto ad un'acclamazione al mondo intero e al suo grande momento di gloria.

Il rifacimento integrale del testo provocò un ritardo nella composizione e ripetuti rinvìi della data prevista per la presentazione ufficiale della cantata ai suoi impliciti destinatari, ossia l'imperatore d'Austria, lo zar di Russia e i re di Danimarca, Prussia, Württemberg e Baviera, che vi sono citati mediante allusioni geografiche o allegorie. Infine, il 29 novembre 1814, un martedì (la data del 27 era stata esclusa dalla censura con il curioso motivo che i puritani inglesi non si sarebbero recati a concerto di domenica), l'opera fu eseguita insieme con altri due recentissimi successi beethoveniani per grande orchestra, La battaglia di Victoria e la settima sinfonia.

Le due sale del Burgtheater, messe a disposizione dall'amministrazione municipale, rigurgitavano di una folla di seimila persone, in mezzo alle quali figuravano lo zar, la zarina, verosimilmente l'imperatore d'Austria, inoltre le granduchesse di Russia, il re di Prussia, il principe di Sicilia. Molti augusti spettatori pagarono al compositore un prezzo supplementare oltre a quello del biglietto: il più generoso fu lo zar Alessandro, che gli elargì duecento ducati e il più tirchio Federico Guglielmo III di Prussia, che si limitò ad una «mancia» di dieci. È innegabile che Il momento glorioso, come del resto Le rovine di Atene (il cui libretto servì forse a Bernard da modello), sia svantaggiato da un testo così strettamente connesso ad avvenimenti e personaggi dell'epoca, da diventare, già poco dopo il suo apparire, fuori moda e addirittura ridicolo. La prova è che, nel 1837, a soli dieci anni dalla morte di Beethoven, la partitura fu ristampata con un testo di Friedrich Rochlitz intitolato Elogio della musica: in luogo dell'encomio ai vincitori, si ha un'esaltazione dei poteri sublimi dell'arte di Euterpe, come nella Fantasia per piano, orchestra e coro.

In tempi più recenti il direttore d'orchestra Hermann Scherchen propose una quarta versione del Momento glorioso, adattando alla musica di Beethoven parole e concetti senza alcun rapporto con quelli originali, ma neppure in questo caso l'iniziativa ha potuto rialzare le sorti di un'opera comunemente ritenuta fallita. Il solo fatto di essere stata oggetto, in varie epoche, come nessun'altra creazione beethoveniana, di tentativi così complessi e faticosi di salvataggio, denota tuttavia che la musica non è priva di meriti.

n. 1. Coro. Allegro ma non troppo. L'invocazione orizzontale «L'Europa vive», che è sottolineata dal suono cupo e glorioso dei tromboni mescolati a tutte le altre componenti dell'orchestra salvo le trombe, si anima nelle prime quattro battute attraverso i successivi passaggi dinamici da forte a sforzando a fortissimo. E nella quinta misura si aggiungono le trombe per conferire all'accordo di la maggiore - la tonalità chiara e metallica della settima - uno smalto supplementare. Dopo aver proceduto per linee parallele insieme con fiati ed archi, con qualche sporadica frase a cappella quando è fatta allusione ai «secoli passati», il coro si divide nelle sue quattro famiglie, adottando un vigoroso stile fugato. Esso è in carattere con l'evocazione della figura regale, la quale, secondo il testo pomposo, avanza in groppa all'arcobaleno. E quest'ultimo è descritto da un disegno semicircolare di flauti, oboi e clarinetti, uno dei rari spiragli di pura melodia strumentale che si aprano nella solenne polifonia di circostanza. Nell'ultima parte, là dove i popoli chiedono all'Europa di rispondere al loro appello di amore, Beethoven fa uso di un tema a note ribattute lungo ed arcuato, che preannuncia, come del resto le corrispondenti parole, l'Inno alla gioia della Nona Sinfonia.

n. 2. Recitativo e coro. Andante - Maestoso - Allegro vivace. Un assolo di violoncello apportatore di una melodia estatica quanto purtroppo fugace, introduce il discorso del basso - condottiero del popolo, il quale, sul manto imperiale dell'allegoria dell'Europa, ha riconosciuto le sei corone dei regnanti presenti al congresso. La sospirosa melodia si riaffaccia, sostenuta anche dai violini, poi il recitativo perde i connotati tematici e si dipana, modulando e cambiando tempo continuamente, secondo i ben collaudati modelli dell'arioso operistico. Alle parole del tenore - genio, intento a decantare le virtù e i fasti dell'aquila asburgica, fanno riscontro cauti tocchi illustrativi, come il tremolo ascendente in crescendo ad imitazione del «volo millenario» attraverso le tempeste, quindi il coro dei popoli, che ha finalmente compreso chi è la figura dominante dell'Europa antinapoleonica esplode in un inno di tripudio in onore di Vienna, regina delle città. In questo canto collettivo, robustamente accompagnato da un'orchestra in perenne sforzando, con i fiati bene in evidenza, riemerge l'eroismo beethoveniano nella sua forma più classica e composta.

n. 3. Aria e coro. Allegro. Recitativo. Un garrulo tema violinistico tempestato di trilli commenta le parole di benvenuto pronunciate dal soprano che personifica la città di Vienna. Di ognuno dei sei sovrani vengono tessuti elogi ampollosi, in un arioso tendente sempre più al recitativo, mentre l'orchestra si inserisce di volta in volta con l'identica, possente frase di fiati e archi associati, i primi su ritmo puntato e i secondi in vertiginose sequenze. Un violino si distacca dal contesto e procede isolato con una lunga figura cadenzale in valori di croma e poi di semicroma, creando una premessa calorosa alla nobile melodia ascendente, con la quale la città, assurta a centro del mondo, invia il suo bacio a tutti i popoli.

Questi, a loro volta, attraverso il coro inneggiano alla sua fortuna con un canto pausato. Le successive, alquanto forzate allusioni politiche all'orgoglio di Roma e alla magnanimità del Kaiser, che riunisce intorno a sè in girotondo i popoli europei, si mescolano a proclamazioni di fratellanza universale, appartenenti invece alla sfera ideologica beethoveniana. Sono le stesse istanze morali che saranno alla base della Missa Solemnis e della Nona Sinfonia e che qui Beethoven, vincolato da un testo così esplicitamente celebrativo, non trasforma in compiuta materia musicale.

Nè il violino, che continua ad affiancarsi al coro e al soprano, raggiunge una dimensione melodica veramente autonoma come nel «Benedictus» della messa, nè il coro stesso, ondeggiante fra la casa d'Asburgo e l'Europa fondata sui bastioni di Vienna, riesce a sviluppare a fondo il suo canto di amore per l'umanità come nell'Inno alla gioia. E la ripetizione conclusiva del vade retro alla razza latina (tanto indegnamente rappresentata da Napoleone) contraddice un poco lo spirito europeista, pur esaltato in tutto il corso del brano, nel quale la grande orchestra beethoveniana è sempre a ranghi completi come nelle parti più infocate delle sinfonie.

n. 4. Recitativo, cavatina e coro. Andante - Presto - Adagio. Con l'apparizione della veggente, la quale, per metafore successive, proclama i partecipanti al congresso salvatori dell'Europa e li invita ad innalzare una preghiera di ringraziamento al Padre celeste, la musica si accende di una autentica emozione e l'orchestra perviene ad un discorso penetrante e liberatorio, come negli Adagi delle sinfonie.

La cavatina, termine che in Beethoven significa quintessenza dell'aria operistica ed ha un carattere eminentemente religioso (come nel caso della cavatina molto posteriore del quartetto per archi op. 130), viene intonata dal soprano nella raggiante tonalità di sol maggiore. Una modulazione a do maggiore, all'interno dello splendido tema cantabile, pare l'apertura verso orizzonti ancora più puri e profondi.

Flauti e oboi continuano la melopea, riecheggiandone la parte corrispondente alla parola «lacrima», poi lo strumentale s'infittisce e, in un crescendo spettacolare, si giunge ad un fortissimo sul quale subentra il coro. E il pianto sale, all'inizio con sforzando quasi ad ogni nota, poi più disteso e fluido, con gli archi in legato su una frase autonoma, mentre il gruppo dei fiati segue da vicino il tema delle voci. Le ultime battute, puramente strumentali, sono fra le conclusioni sinfoniche più raccolte e commosse di Beethoven.

n. 5. Recitativo e quartetto. Allegro - Allegretto. Archi in tremolo e tromboni su note lunghe fanno da preludio al recitativo del secondo soprano, al quale si avvicendano poi gli altri solisti. Ed è il primo soprano ad intonare, riprendendola dai legni, una melodia placida, che si direbbe scritta sulla falsariga di certe arie della Creazione di Haydn. L'arcaico accompagnamento in terzine si muta, all'ingresso del tenore, che propone una sua versione dello stesso tema, in un cullante, più volte ripetuto arpeggio. Basso e secondo soprano ritornano ad un melodizzare tendente al recitativo, poi il concertato prende finalmente quota e le quattro voci confluiscono in un insieme ad un tempo variato e unitario. Paradossalmente il culmine espressivo è raggiunto dove il testo si diffonde in una sperticata lode a Francesco d'Austria: qui la grande orchestra interviene in maniera massiccia, prolungando con giubilanti accordi generali l'inno al «nostro Franz», che i versi enfaticamente descrivono circonfuso di un arco di luce.

n. 6. Coro. Poco allegro - Adagio - Presto. È il pezzo più fittamente orchestrato di tutto Beethoven. Neppure nella Nona Sinfonia egli impiega un organico così numeroso, comprendente fra l'altro quattro corni, tre tromboni e l'intero apparato di strumenti alla turca, ottavino, grancassa, piatti e triangolo. Anche il coro è oceanico, essendo costituito da gruppi separati di voci femminili, voci maschili e voci bianche, queste ultime a loro volta suddivise in due sezioni. Violini, flauti e fagotti anticipano il tema, dolce e svagato, del coro di mamme venute a benedire i principi a congresso. Quasi avvertendo il grottesco della situazione, Beethoven introduce poi, negli oboi, clarinetti e fagotti, il motivo umoristico del metronomo, come all'inizio dell'«Allegretto scherzando» dell'Ottava Sinfonia. È del resto una pertinente presentazione dei fanciulli che, mediante ghirlande floreali, dovrebbero ora unire entità eterogenee come il cuore, il cielo e lo scettro. Le pause da cui è trafitta la melodia di questo duplice coro di innocenti sembrano rifletterne le perplessità.

Non meno pittoresco è il tema scandito dagli uomini con il sostegno consistente di ottoni e fagotti, mentre gli altri legni e gli archi imitano, con marziali frange di notine ornamentali, l'atmosfera della guerra. I tre cori, con i rispettivi temi, si alternano e infine confluiscono in un denso insieme di voci parallele, dal quale gli strumenti riescono ad enucleare, per brevi attimi un motivo energico, evocatore di tempi eroici.

Un incedere più accademico caratterizza il coro, che ritorna alla formazione classica a quattro voci, con esclusione di quelle bianche, per la parte conclusiva del brano e della cantata. Il nome «Vindobona», che si richiama alle origini di Vienna, alludendo forse ad una, quanto mai problematica, riconciliazione fra latinità e germanesimo, dà luogo ad un fugato con la partecipazione vistosa degli strumenti: fra questi, nelle parti interne, emergono i tromboni con un tema in valori lunghi, simile ad un corale.

Tutte le forze esecutive, compresi grancassa, piatti e triangolo, sono chiamate quindi a raccolta per inneggiare al mondo e al suo grande momento di gloria e questa universalità di pensiero e di suono anticipa l'esuberanza militaresca e la volontà disperata di accumulare il massimo dell'energia musicale, così evidenti nel finale della Nona Sinfonia.

Luigi Della Croce


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 26 Ottobre 1996
(2) Luigi Della Croce - Ludwig van Beethoven: le nove sinfonie e le altre opere per orchestra
Studio Tesi, Pordenone, 1986 - XXX, 539 p.

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Ultimo aggiornamento 19 maggio 2015