Quartetto per archi n. 1 in fa maggiore op. 18 n. 1


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro con brio
  2. Adagio affettuoso ed appasionato (re minore)
  3. Scherzo. Allegro molto
  4. Allegro
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 25 Giugno 1799
Edizione: Mollo, Vienna 1801
Dedica: Principe Franz Joseph Maximilian von Lobkowitz
Guida all'ascolto (nota 1)

I Quartetti per archi di Beethoven sono complessivamente sedici, più la Grande fuga che in origine costituiva il finale dell'op. 133. Secondo un criterio non solo cronologico, ma di valutazione critica, accettato in linea di massima dagli studiosi della musica beethoveniana, i Quartetti si possono classificare in tre gruppi distinti: i sei Quartetti dell'op. 18 (1798-1800), che risentono l'influenza del modello haydniano e mozartiano; i Quartetti del secondo periodo e della maturità, raggruppati nell'op. 59, n. 1-3, (1805-1806), nell'op. 74 (1809) e nell'op. 95 (1810); e infine gli ultimi Quartetti scritti tra il 1822 e il 1826, comprendenti le op. 127, 130, 131, 132, 133 e 135. In questi tre momenti della produzione quartettistica si riflette tutta la parabola artistica del compositore, dalla fase iniziale dell'op. 18, quando è alla ricerca di uno stile personale e si tormenta per raggiungere la più aderente espressione al proprio io interiore fino alle più ardite soluzioni armoniche e formali racchiuse nelle ultime opere cameristiche beethovernane. In più, nel Quartetto per archi, il genere che il musicista predilesse e coltivò intensamente insieme alla Sonata per pianoforte, l'artista racchiuse i suoi pensieri più intimi e riservati, così da toccare spesso la forma del soliloquio. Non per nulla Paul Bekker, uno dei più documentati biografi del maestro di Bonn, così scrive nell'esaminare la struttura e la fisionomia dei vari Quartetti, specie quelli appartenenti al cosiddetto terzo stile: «Questa musica da camera per strumenti ad arco è veramente l'asse della psiche creativa di Beethoven, intorno al quale tutto il resto si raggruppa a guisa di complemento e di conferma. Nei Quartetti si rispecchia tutta la vita del musicista, non sotto l'aspetto di confessione personale, quasi di diario, come nell'improvvisazione delle sonate, non nella grandiosa forma monumentale dello stile sinfonico, bensì nella contemplazione serena, che rinuncia all'aiuto esteriore della virtuosità e alla monumentalità delle masse sonore dell'orchestra e si limita alla forma, semplice e priva di messa in scena, di colloqui tra quattro individualità che tra di loro si equivalgono».

I sei Quartetti op. 18 furono scritti tra il 1798 e il 1800 e pubblicati a Vienna dall'editore Mollo nel 1801 con il titolo francese di "Six quatuors pour deux violons, alto e violoncello, composés et dédiés a S.A.M. le Prince régnant Franz Joseph Lobkowitz", uno dei più influenti amici del musicista, che li apprezzò molto dopo averli ascoltati, tanto da assegnare al compositore 600 fiorini annui e regalargli anche quattro preziosi strumenti ad arco: un violino e un violoncello di Guarnieri costruiti a Cremona fra il 1712 e il 1718, un secondo violino di Nicola Amati fatto nel 1667 e una viola di Vincenzo Ruger costruita nel 1690. La cronologia dei Quartetti non corrisponde però all'ordine di pubblicazione. Secondo quanto risulta dagli abbozzi oggi conosciuti, il primo ad essere compiuto sarebbe stato il terzo; verrebbero poi, il primo, il secondo, il quinto e il sesto. Alla composizione del quarto, del quale mancano gli schizzi, non si può assegnare un periodo rigorosamente preciso. Il Quartetto in fa maggiore n. 1 è improntato allo spirito settecentesco, sulla linea della tradizione di Haydn e di Mozart, pur denunciando alcuni tratti della nascente personalità beethoveniana. Una robusta quadratura caratterizza il primo tema dell'Allegro con brio, incisiva cellula di sei note indicata dal violoncello, mentre il primo violino svolge un andamento ritmico in un contesto di controllata pensosità. L'ampio sviluppo si basa essenzialmente sul primo tema che alterna nelle sue divulgazioni espressive momenti di eleganza settecentesca e di brillantezza violinistica ad altri più robusti e drammatici. Il secondo movimento Adagio affettuoso ed appassionato è ispirato, secondo lo stesso Beethoven, alla scena della tomba del Romeo e Giulietta shakesperiano. L'intensità della frase, dolorosamente ripiegata nell'ambito della tonalità minore, assume una espressione carica di pathos, a cominciare dal tema iniziale svolto dal primo violino sulla pulsazione sommessa degli altri tre strumenti. La parte centrale del secondo tema presenta sfaccettature timbriche diverse: i temi si impennano talvolta in robusti crescendo, mentre il dialogo a quattro tende ad evidenziare il primo violino e il violoncello, lasciando al secondo violino e alla viola un ruolo lievemente subordinato. Segue l'Allegro molto segnato da una vivacità di stampo haydniano. Non si tratta del minuetto tradizionale e neppure dello scherzo beethoveniano in piena regola, anche se l'insistente gioco di staccato-legato denuncia, specialmente nel Trio, accenti umoristici che diverranno più marcati in certe pagine dei Quartetti futuri. L'Allegro finale presenta una notevole spigliatezza ritmica, si irrobustisce nella decisa verticalità di passaggi all'unisono e si distende tra piacevoli armonie di settecentesca eleganza.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il gruppo dei sei quartetti op. 18 venne pubblicato nel 1801 a Vienna dall'editore Mollo. L'ordine della pubblicazione non rispettava però quello in cui essi erano stati composti; dagli studi compiuti sui quaderni di abbozzi beethoveniani si ricava che il Quartetto in fa maggiore fu scritto per secondo. Ad esso venne destinato il primo posto su consiglio, pare, del violinista Ignaz Schuppanzigh, che fu anche tra i primi ad eseguirlo. La scelta era giustificata dai motivi di immediata presa che il quartetto in questione poteva avere sul pubblico sia per la costruzione del suo primo tempo che per la drammatica atmosfera del tempo lento.

Mentre sono andati dispersi gli autografi dei sei quartetti, quello in fa maggiore ci è stato trasmesso in una versione in "bella copia" che il musicista inviò in regalo a Karl Amenda nel giugno del 1799. Due anni dopo Beethoven pregò quest'ultimo di non far circolare quell'esemplare poiché vi aveva introdotto alcune modifiche; si tratta di dettagli compositivi di un certo rilievo, anche se non modificano radicalmente l'impianto del lavoro.

La decisione di raccogliere in un gruppo di sei la sua prima opera quartettistica non era per Beethoven immotivata: il precedente illustre e immediato era infatti costituito dalle raccolte haydniane per lo più nel medesimo numero, alle quali già da allora si guardava a Vienna come ad esempi supremi in questo genere compositivo. Per quanto riguarda l'itinerario biografico beethoveniano è anche opportuno sottolineare la dedica dell'opera 18 al principe Lobkowitz, esponente di punta di quei circoli nobiliari cui il musicista giunto da Bonn si era rivolto come ai propri naturali referenti. Scopo evidente dei quartetti del 1801 era quello di dimostrare al pubblico come Beethoven si fosse pienamente impadronito della tecnica costruttiva di un genere che proprio nei lavori di Haydn e di Mozart aveva assunto un ruolo fondamentale per lo stile classico. Essi sono dunque alquanto fedeli a quella tradizione che più tardi lo stesso Beethoven avrebbe messo in crisi e risentono assai meno di apporti personali di quanto accada nelle coeve sonate per pianoforte.

Elementi di novità esistono tuttavia in particolare proprio nei primi due tempi del Quartetto in fa maggiore che apre la raccolta. L'idea principale dell'Allegro con brio iniziale sarebbe per alcuni aspetti piaciuta ad Haydn: essa non è infatti un "gesto" melodico pregnante, ma piuttosto una figura ornamentale (una "turn figure" la definisce Kerman) che consiste in una sorta di gruppetto sulla tonica fa. Il primo tempo è pressocchè interamente costruito su questo minimo materiale, sottoposto ad un incessante lavorìo armonico, melodico e ritmico, mentre spazio assai minore ha nello sviluppo la seconda idea, alla dominante, che pure ha un carattere melodico maggiormente definito. Nel corso dell'intero tempo, inoltre, lo svolgersi del discorso conosce alcune evidenti pause di un'intera battuta che ne sottolineano con forza drammatica i principali momenti.

Il successivo Adagio affettuoso e appassionato viene unanimemente considerato il miglior tempo lento dell'intera raccolta op. 18. Esso venne ispirato, a detta dell'Amenda che avrebbe raccolto una confessione in tal senso dell'autore, dalla scena presso la tomba del Romeo e Giulietta di Shakespeare (si sa che Beethoven fu uomo di profonde e diversificate letture, caso raro in quei tempi per un musicista). Ciò spiega l'indicazione agogica, vistosamente esplicita, e la drammatica perorazione che percorre il brano e che giunge al suo culmine espressivo nei passi in biscrome ormai prossimi alla conclusione (su di essi, sempre nella versione regalata ad Amenda era l'annotazione autografa "les derniers soupirs").

Dopo uno Scherzo con regolare Trio (entrambi bipartiti e con da capo) che vale a risollevarci l'animo dopo la tragedia, il quartetto si conclude con un finale, in forma di rondò-sonata che equivale, quanto a durata, ai due primi movimenti, senza ovviamente eguagliarne le pur diverse qualità compositive.

Renato Bossa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 marzo 1986
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 marzo 1993

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Ultimo aggiornamento 12 aprile 2014