Quartetto per archi n. 12 in mi bemolle maggiore, op. 127


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Maestoso - Allegro teneramente (do maggiore)
  2. Adagio, ma non troppo e molto cantabile (la bemolle maggiore)
  3. Scherzando vivace
  4. Allegro
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1823 - 1824
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 6 Marzo 1825
Edizione: Schott, Magonza 1826
Dedica: Principe Nikolas Galitzin
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I due Quartetti presentati nel concerto odierno appartengono all'ultimo periodo della produzione beethoveniana e vengono classificati come "opere tarde", un concetto non privo di fraintendimenti. Gli studiosi, infatti, non sono concordi nell'analisi, e se alcuni parlano di estrema soggettività (evidente nell'enfasi lirica di molti temi), altri riscontrano un ripiegamento nell'oggettività, caratterizzato dal ricorso a sofisticate tecniche polifoniche e contrappuntistiche. Con estrema lucidità, Dahlhaus afferma che «la modernità delle opere tarde, correlato dell'assenza di una collocazione precisa nel tempo, è anticipatrice. Ma esse non fondano una tradizione, di cui sarebbero i primi documenti, e non mettono in moto un progresso nel senso comune del termine. La loro influenza [...] ha invece inizio dopo un intervallo che separa l'epoca della loro nascita da quella della loro appropriazione. [...] E la modernità dell'"opera tarda" non consiste nel fatto che anticipa un pezzo di futuro: la modernità di Bach, Beethoven e Liszt è stata scoperta solo dopo che il futuro che essa anticipava era divenuto da tempo presente». L'ambivalenza, il ricorso a strutture non più evidenti, l'indeterminatezza dei riferimenti melodici, la «spezzettatura rapsodica della superficie» sono dunque le caratteristiche precipue dell'ultima produzione di Beethoven. La successione delle idee, dei temi, delle armonie, segue un filo narrativo diverso rispetto al passato: si ha l'impressione più di un percorso psicologico che non di una "forma" così come ce l'ha consegnata la storia. «Il compositore ci fa partecipi dell'atto creativo; ci introduce nel laboratorio delle sue idee» (Sciarrino) e la nostra adesione, come ascoltatori, dovrà essere dunque diversa, attenta ma soprattutto libera da schemi formali e di giudizio, così da lasciar irrompere la musica così com'è, viva, cangiante, emozionante.

Circa dodici anni separano il Quartetto op. 95 dall'ultima produzione per archi (le opere 127, 132, 130 - da cui poi ebbe origine la Grande fuga op. 133 - 131 e 135), e lo stimolo fu esterno. Il principe Nikolas Galitzin (un violoncellista dilettante, ammiratore di Beethoven), in una lettera del novembre 1822 da Pietroburgo, chiedeva infatti al compositore se avesse voluto scrivere «uno, due o tre nuovi quartetti». Questi furono composti nell'arco di tre anni secondo un ordine diverso rispetto a quello con cui sarebbero poi stati pubblicati:

quartetto anno di composizione pubblicazione
op. 127 tra il 1822 e il 1825 marzo 1826
op. 132 tra il 1824 e il luglio 1825 settembre 1827
op. 130 agosto-novembre 1825 maggio 1827

Se dunque il rinnovato impegno nel campo della musica da camera fu apparentemente casuale, con l'op. 127 si aprì una stagione nuova e fondamentale nella produzione di Beethoven che ha consegnato alla storia un patrimonio artistico così nevralgico da divenire il "sole" del nostro sistema musicale. Come notava Jorge Luis Borges, del resto, «ogni artista crea i suoi precursori. La sua opera modifica la nostra concezione del passato, come modificherà il futuro».

La serie di accordi (Maestoso) con cui si apre il Quartetto in mi bemolle maggiore op. 127 ha qualcosa di grandioso, una sonora fanfara che sottolinea la tonalità d'impianto e assorbe energia dalla serie di sforzando che colmano le prime sei battute. Non si tratta del "solito" adagio che precede l'esplosione dell'allegro; è come se le parti si fossero invertite e, mentre la zona lenta risulta incisiva e conclusa in se stessa, il tema dell'Allegro si muove in modo estremamente lirico, come mai era accaduto prima in un quartetto beethoveniano. Tre importanti elementi si contendono il territorio dell'Allegro: la melodia (violino primo), un cantus firmus in modo parallelo (violoncello), il ritmo sincopato di violino secondo e viola, il tutto in una atmosfera sempre p e dolce che accentua il contrasto con l'aggressiva solennità dell'apertura. Il consueto percorso tematico e armonico viene spezzato da due violente interruzioni, richiami diretti (anche se tonalmente eccentrici) del Maestoso iniziale; l'effetto sulla struttura generale del primo movimento è quella di due "ferite", inferte al senso formale dell'ascoltatore che rimane come spiazzato. A colpirci, anche se inconsciamente, è inoltre il continuo mutare delle armonie che sembrano ormai svincolate da qualsiasi schema, guidate da una serie di relazioni latenti che dobbiamo postulare, ma il cui significato ci è sconosciuto.

Nel secondo movimento stupisce l'estrema pacatezza con cui viene trattato il tema che emerge a poco a poco dal registro grave del violoncello per poi sostanziarsi nel violino e quindi ritornare al violoncello. Esiste una grande quantità di abbozzi per questa melodia che appare così spontanea e pura, e ciò non deve stupirci perché spesso in Beethoven la musica più straordinaria è quella che ha subito un lavorìo estenuante. Ci troviamo di fronte ad un tema con variazioni che formano una sorta di A-B-A così suddiviso:

A Tema e variazioni I e II
B variazione III (si riconosce il profilo del tema ma immerso in un'atmosfera tonalmente diversa: mi maggiore rispetto a mi bemolle maggiore)
A variazioni IV, V e VI + coda

Beethoven alterna variazioni di tipo ornamentale-virtuosistico a vere e proprie manipolazioni del materiale originario; se la prima variazione è quella formalmente più complessa, la seconda risulta più semplice e quasi "leggera". Nella terza, il tempo più lento e semplificato e la lontana tonalità trasformano il tema in una sorta di inno sostenuto da lenti accordi, mentre nella quarta assistiamo ad una ripresa del tema anche, e soprattutto, dal punto di vista tonale. La quinta variazione conferma il profilo tematico, immerso però in una tonalità minore, e nella sesta il primo violino si fa protagonista con un ricamo di veloci note che poi dilagano in tutte le voci. La coda, annunciata da un improvviso e prolungato silenzio, frena il ritmo incalzante della sesta variazione e funge da ricapitolazione dell'intero secondo movimento, assai complesso ed originale.

Se lo scopo di Beethoven era quello di creare con il terzo tempo (Scherzando vivace) un forte contrasto con i movimenti precedenti, l'obiettivo è stato pienamente raggiunto. Al centro della tensione di questo lavoro ciclico è infatti un movimento di danza esplosivo, ricco di energia, con un inizio fugato che attacca al violoncello al quale risponde la viola con il soggetto all'inverso, il tutto ripetuto, in eco, dal secondo e primo violino. Energia pura si sprigiona dal primo inciso ritmico che diventa poi ossessiva ripetizione, nonché dalla sezione centrale (Presto), che trasforma un'elegante melodia del violino primo in un pretesto per pesanti sforzati che marcano in modo indelebile lo scorrere del tempo.

Nel quarto movimento sembrano dimenticate le emozioni del primo, i "bagliori sovraterrestri" del secondo, il vigore fantasioso del terzo; la "lotta psicologica" delle precedenti sezioni si placa, e temi di ascendenza haydniana, semplici e quasi popolari, si distendono nello spazio della nostra memoria. Certo non tutto è così ovvio; frequenti mormorii (trilli e veloci note ribattute) ed una lunga ed elaborata coda, invitano a tener ancor desta la nostra attenzione.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il gruppo degli ultimi quartetti si apre con un lavoro, il Quartetto in mi bemolle maggiore opera 127, che rispetta nella sostanza l'organizzazione in quattro movimenti ereditata dalla tradizione e presenta una complessiva unità di ambientazione espressiva, improntata a un radioso lirismo. Nel primo movimento troviamo il primo esempio della organizzazione formale costruita su regole autonome. Il movimento si avvale di un «Maestoso» che, con i suoi densissimi accordi sforzati, funge da introduzione lenta al seguente «Allegro»; ma questo «Maestoso» riappare imprevedibilmente anche in seguito, alla fine dell'esposizione e alla metà dello sviluppo, e costituisce di fatto l'unico elemento "oppositivo" del movimento. Infatti nell'«Allegro» non si può parlare di una vera e propria dialettica tematica, l'elaborazione tematica agisce secondo un flusso continuo, e sono piuttosto gli spostamenti del piano tonale a donare rinnovata varietà all'idea ritmica di base.

Fulcro del Quartetto è però l'«Adagio, ma non troppo e molto cantabile», uno dei più sublimati e contemplativi tempi lenti dell'ultimo Beethoven, che assume la forma del tema con sei variazioni.

Il tema di berceuse viene esposto dal primo violino, sull'accompagnamento degli altri strumenti, con interventi cantabili del violoncello; nella prima variazione si impone la densa polifonia di tutti gli strumenti; nella seconda («Andante con moto») viola e violoncello accompagnano i giochi di intrecci dei due violini; nella terza («Adagio molto espressivo») si torna al lirismo del primo violino; nella quarta («Tempo I») le melodie di violino e violoncello si stagliano sull'accompagnamento insistito degli altri strumenti; nella quinta diviene protagonista il ritmo di berceuse; nella sesta le sestine del primo violino passano poi agli altri tre strumenti e scivolano infine nella coda; il tutto seguendo un processo per cui il tema viene progressivamente "trasceso" nelle peregrinazioni di una fantasia visionaria. Lo «Scherzando vivace» che segue è percorso dalle figurazioni spigolose di un ritmo di base, «alla francese», più volte interrotto dalle sezioni di «recitativo» degli strumenti gravi; si inserisce un «trio» di condotta rapida e aerea. Un vigoroso unisono apre il «Finale», in forma sonata; il motivo arpeggiato e insistito del primo violino si rivela l'elemento più importante del movimento, nel quale si afferma comunque anche un secondo tema che ha movenze di marcia; è però il fittissimo ordito polifonico ad imporsi nelle sue continue trasformazioni; una coda («Allegro con moto») con liquide figurazioni di terzine trasforma e stempera l'incisività del tema iniziale, riaffermando quella ispirazione lirica che segna l'intera partitura.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 24 Maggio 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 gennaio 1994

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Ultimo aggiornamento 15 dicembre 2013