Quartetto per archi n. 16 in fa maggiore op. 135


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegretto
  2. Vivace
  3. Lento assai, cantante e tranquillo (re bemolle maggiore)
  4. Grave ma non troppo tratto (fa minore), Allegro
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1826
Prima esecuzione: Vienna, 23 Marzo 1828
Edizione: Schlesinger, Berlino 1827
Dedica: Johann Nepomuk Wolfmayer
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'op. 135, nel panorama degli ultimi cinque quartetti (op. 127, 130, 131, 132, 135, più la Grande Fuga), è sembrata di respiro meno ampio e di minore complessità. Si dimentica però che questo Quartetto (scritto sei mesi prima di morire) offre un clima di serenità quasi contemplativa che è caratteristica dell'ultima produzione: la Missa Solemnis e la Nona Sinfonia in particolare. Aleggia inoltre nel Quartetto un messaggio filosofìco ed umano che, anche se oscuro, non possiamo ignorare; si tratta dell'epigrafe musicale (probabilmente da non eseguire) posta all'inizio del Grave: Muss es sein? Es muss sein! (Deve essere? Deve essere!). Possiamo far nostra (senza spiegazioni) questa epigrafe, come il protagonista del romanzo di Kundera L'insostenibile leggerezza dell'essere, oppure considerarla una "verità", un percorso della volontà umana che Beethoven ci vuole indicare come ultimo monito della sua esistenza. L'analisi della partitura, se non la soluzione, ci offre però il senso di questo dover essere e cioè la capacità di controllo della forma che diviene assoluta. L'Allegretto che apre il Quartetto, nel suo caratteristico gioco di domanda (viola) e risposta (violino primo e poi gli altri), si presenta con un rigore architettonico esemplare. Beethoven economizza le presenze e le assenze degli strumenti, calibra i registri dal grave, al centro, all'acuto, proporziona le modulazioni, ottimizza, insomma, il mondo del quartetto. Solo dopo ripetuti ascolti ci si rende conto che non siamo di fronte alla semplicità ma alla perfezione, e non una perfezione ideale (riferita a modelli esterni) bensì quella raggiunta da Beethoven attraverso 16 quartetti. In questo senso, più che dar conto dei singoli materiali impiegati, vale la pena di sottolineare che in questo primo movimento si può toccare con mano (ovvero ascoltare) il concetto di forma astratta, ossia lo schema intellettuale su cui si basa il pensiero del compositore. Traspare dalle battute il significato ultimo della musica per Beethoven, inteso non in senso filosofìco ma proprio come schema di funzionamento. A ben guardare (o a ben sentire!) questo movimento appaga la nostra sete di conoscenza del metodo di composizione di Beethoven, un metodo straordinario specie in riferimento al problema della forma che è fondamentale per un'arte che si svolge nel tempo.

Il materiale usato per il secondo movimento (Vivace) è estremamente essenziale, quasi "povero", e soltanto il leggero ritmo sincopato offre un appiglio di curiosità. Lo scopo di tanta semplicità è di dar spazio ad una vivacità armonica che va da semplici scarti cromatici a vere e proprie modulazioni di grande impatto drammatico. Beethoven fa anche largo uso di effetti coloristici giustapponendo zone in pianissimo e fortissimo, e abbassando talvolta l'intensità fino al ppp.

Rigore e semplicità sono i punti cardinali del terzo movimento (Lento assai, cantante e tranquillo) costruito sulla forma A-B-A, che contrappone il primo tema cantabile e melodioso al secondo, reso frammentario da continue pause. Come per il primo movimento è facile confondere la perfezione della sintassi e la severità della forma con una generica semplicità; anche qui, allora, bisognerà ricordare che tanto più è semplice la struttura compositiva tanto più è difficile il padroneggiarla, come fa l'autore, calibrando battuta dopo battuta tutto il materiale musicale.

L'ultimo movimento è il più difficile da interpretare: i due Allegri sono costruiti sul tema del Es muss sein! introdotti dai due Gravi Muss es sein?, due mondi apparentemente estranei legati solamente da una relazione intervallare (terza discendente e quarta ascendente nel Grave e l'inverso nell'Allegro). L'uso massiccio di pause spezza ancora di più la già frammentaria atmosfera, e tutto sembra un lungo ripetersi dell'epigramma musicale iniziale. Come lì si contrapponevano due mondi, così nel corso dell'ultimo movimento si alternano i temi e le armonie; è comunque straordinario il forte senso unitario che emana dalla musica come a ricordarci che l'epigrafe, anche se divide il mondo in due parti, riguarda lo stesso universo.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo due affreschi smisurati e per certi versi "mostruosi" come la Grande Fuga e il Quartetto in fa maggiore opera 135, un sorprendente ritorno a una composizione non solo di dimensioni piuttosto contenute, ma anche di articolazione apparentemente consueta: quattro movimenti (forma sonata, scherzo, tempo lento, finale) di contenuto "leggero"; insomma una sorta di ritorno al passato, quasi in funzione rassicurante, dopo tanti impervi sperimentalismi. Eppure è proprio nel primo tempo dell'opera 135, «Allegretto», che possiamo cogliere quella proliferazione e perdita di funzione degli elementi tematici che costituisce, di fatto, proprio la negazione di quel ritorno al passato. Subito all'inizio si presentano, giustapposte, molte differenti idee; una frase interrogativa spezzata fra gli strumenti, un severo unisono, più oltre un arpeggio ascendente contrappuntato da terzine; ma non c'è conflitto, quanto piuttosto l'illuminazione da diverse prospettive della medesima intenzione espressiva. Lo sviluppo si basa su entrambi i principali gruppi tematici; una breve coda chiude la pagina, che sembra ispirarsi all'amabilità e alla concisione degli ultimi Quintetti di Mozart.

Segue uno scherzo «Vivace» aereo e trasparente, animato da spostamenti ritmici e improvvise sospensioni, con un trio che vede le improvvise scalate solistiche del primo violino. Il movimento lento («Lento assai, cantante e tranquillo») è, con la levigata tornitura del suo tema e la scelta dei registri opachi, una pagina di concentrata meditazione; si articola in tre sezioni, con una breve sezione centrale in minore, dal fraseggio spezzato, e una ripresa intensamente fiorita.

Quanto al finale, reca in epigrafe sulla partitura il tema dell'introduzione («Grave») e il suo rovescio, il tema dell'«Allegro», con sotto le parole «Muss es sein? Es musssein!» («Deve essere? Deve essere!»). Si tratta del materiale tematico e delle parole di un canone inviato, qualche mese prima della stesura dell'opera 135, a un "dilettante" di violino, per invitarlo ad indennizzare con una cospicua somma di denaro il violinista Ignaz Schuppanzigh, detentore dell'esclusiva per l'esecuzione del Quartetto opera 130, esclusiva che il dilettante aveva deliberatamente violato. Dunque un aneddoto giocoso, che informa del suo contenuto l'intero ultimo tempo. L'introduzione lenta («Grave ma non troppo tratto», la domanda) si prospetta come meditativa e drammatica, con i suoi ritmi insistiti e le armonie dissonanti. Brusco contrasto quello dell'«Allegro» (la risposta), dove le varie idee melodiche si saldano grazie alla trasparenza e alla levità della scrittura. Il «Grave» riappare nello sviluppo, ma il Quartetto scivola poi verso una conclusione brillante ed umoristica, con un sorprendente pizzicato e una rapida chiusa; è il congedo sorridente del maestro dall'universo sfingeo degli ultimi quartetti, come anche dalla sua intera parabola compositiva.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 20 Ottobre 1995
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 gennaio 1994

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Ultimo aggiornamento 4 aprile 2013