Quartetto per archi n. 2 in sol maggiore op. 18 n. 2


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro
  2. Adagio cantabile (do maggiore)
  3. Scherzo. Allegro
  4. Allegro molto, quasi Presto
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1798 - 1800
Edizione: Mollo, Vienna 1801
Dedica: Principe Franz Joseph Maximilian von Lobkowitz
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1798, un anno dopo la composizione dei Quartetti op. 76 di Haydn, Beethoven iniziava i primi abbozzi di quelli che sarebbero diventati i sei Quartetti op. 18, terminati nel 1800 e pubblicati nel 1801. Precedono i Quartetti op. 18, nel catalogo beethoveniano, i generi del trio per pianoforte (op. 1, del 1793-94), del trio per archi (op. 9, del 1796-98), della sonata per pianoforte (op. 2, del 1794-95), della sinfonia (del 1799-1800), del concerto (op. 15 del 1798). Non è certamente un caso che quello del quartetto fosse l'ultimo grande genere strumentale affrontato dal compositore che si era prepotentemente affermato nella Vienna di fine secolo come il più autentico erede di Mozart e Haydn. Il genere del quartetto era considerato il più complesso e nobile fra quelli strumentali. La splendida fioritura quartettistica di Haydn e Mozart aveva già portato il genere a una perfezione formale e a una complessità strumentale che rendevano insieme temibile e inevitabile il confronto.

Data l'ambiziosità dell'obiettivo, più che a esibire le sue capacità di "innovatore" il compositore si impegnò a mostrare di saper seguire le regole del "ben comporre". Di qui anche la scelta di Beethoven, autore già di opere rivoluzionarie come le molte sonate pianistiche o le Sonate op. 5 per violoncello e pianoforte, di guardare al passato per le sue prime prove quartettistiche. Non dunque verso la recentissima ricerca coloristica dell'op. 76 di Haydn si volse l'autore, e nemmeno verso la perfezione formale dei Quartetti "Haydn" di Mozart, ma piuttosto verso la solidità costruttiva dei quartetti di Haydn degli anni Settanta del secolo, e verso la cantabilità dei Quartetti "Prussiani" di Mozart; dunque verso una scrittura complessivamente meno sofisticata. Con il gruppo dei sei Quartetti op. 18 insomma il compositore segnò la sua dipendenza e insieme la sua autonomia da questi modelli, che vengono rielaborati con l'esuberanza propria del giovane Beethoven, che implica la generosità e l'accumulo quasi pletorico dei materiali tematici, la tendenza al contrasto come principio formale.

La tonalità di sol maggiore, propria del Secondo Quartetto della raccolta, è spesso impiegata da Beethoven per situazioni scherzose e di capriccioso umorismo. Anche l'Allegro iniziale del Quartetto non fa eccezione, svolgendosi in una dialettica di garbati dialoghi che gli attribuì l'appellativo, invero poco felice, di "quartetto dei complimenti"; così il primo tema si articola in tutta una serie di semifrasi sospirose e il secondo non contraddice questa ambientazione. Tutto il movimento vede il prevalere del fraseggio del primo violino, anche se non mancano momenti di scrittura più complessa, come il mirabile sviluppo, che scivola impercettibilmente nella ripresa. Come tempo lento troviamo un Adagio cantabile in tre sezioni A-B-A: una contemplativa melodia del primo violino, cui si contrappone un fittissimo Allegro animato da corse di semicrome; la riproposta della melodia violinistica è riccamente fiorita. Il modello haydniano è particolarmente evidente negli ultimi due movimenti; uno Scherzo brillantissimo e arguto, con un Trio ancora quasi interamente dominato dal primo violino; e un finale dal breve tema "popolare" intonato dal violoncello cui rispondono tutti gli strumenti. Questo refrain si alterna con episodi complessi ma non nettamente contrapposti, secondo una logica di grande scorrevolezza.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 marzo 1995

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Ultimo aggiornamento 28 luglio 2013