Quartetto con pianoforte in mi bemolle maggiore, op. 16a

Trascrizione del Quintetto op. 16
Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Grave
  2. Allegro ma non troppo
  3. Andante cantabile (si bemolle maggiore)
  4. Rondò. Allegro ma non troppo
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: 1796
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto op. 16 per pianoforte, violino, viola e violoncello è una versione elaborata dallo stesso Beethoven del Quintetto op. 16 per pianoforte, oboe, clarinetto, corno e fagotto, che fu composto tra il 1796 e il 1797 ed eseguito a Vienna il 6 aprile 1797 con l'autore al pianoforte, nel corso di un concerto tenuto dal violinista Ignaz Schuppanzig. Il Quintetto, dedicato al principe Joseph Schwarzenberg, fu pubblicato dall'editore Mollo di Vienna nel 1801 ed è più conosciuto del Quartetto op. 16, la cui data di nascita dovrebbe essere contemporanea a quella del Quintetto, del quale rispetta sostanzialmente la forma e la struttura, in sintonia spirituale con il Quartetto con pianoforte K. 452 del 1784 di Mozart, particolarmente prediletto da Beethoven per il suo ammirevole equilibrio melodico e ritmico.

Il Quartetto che viene eseguito stasera, allo stesso modo del Quintetto da cui deriva, racchiude lo stile del primo Beethoven, sensibile alle convenzioni della società viennese del tempo, e rivela una serenità senza nubi nella sua franca e aperta cantabilità, quale espressione di un estroverso ottimismo giovanile. Infatti i brani con accompagnamento del pianoforte, insieme ai sestetti, ai settimini e agli ottetti, avevano le caratteristiche della musica di intrattenimento e si rivolgevano ad un pubblico per così dire familiare e non pagante (i primi concerti a pagamento, i cosiddetti Dukaten-Konzerte, cominceranno a Vienna intorno al 1815). Per tale ragione questo tipo dì musica mirava al puro divertimento e non mostrava tra le sue pieghe un discorso troppo innovatore. Del resto, sia il Quintetto op. 16 che il Settimino op. 20, l'altro pregevole lavoro dello stesso periodo, aprirono a Beethoven le porte della società viennese intellettualmente brillante, che partecipava, alla vita dei salotti mondani e del teatro d'opera. Siamo ancora lontani dalle significative esperienze della sinfonia e delle robuste sonate per pianoforte, ma questo non vuol dire che in tali composizioni non ci sia già il segno della personalità di un artista che avrebbe riempito del suo nome la storia della musica.

Il primo tempo, Grave, del Quartetto, avviato da accordi contrappuntati del violino e del pianoforte, immersi in uno stato d'animo di fiduciosa attesa, sfocia in un piacevole e sorridente ritmo (Allegro ma non troppo), in cui gli strumenti si amalgamano fra di loro con naturalezza di espressione e in un'altalena tematica di felice inventiva. L'Andante tocca il momento lirico più puro e fantasioso della composizione: il pianoforte espone la frase principale e su di essa si snodano, come un albero fiorito, le variazioni degli archi, senza scadere nel facile sentimentalismo. Il Rondò è punteggiato da una vivacità e da una freschezza melodica molto gradevoli all'ascoltatore. Qui, più che altrove, Beethoven rievoca il paradiso perduto di una civiltà musicale al tramonto, quando l'artista era chiamato a divertire, con suoni spumeggianti e ariosi, una società aristocratica per censo ed educazione intellettuale, ben lontana dai problemi della sopravvivenza di tutti i giorni.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composta tra l'inizio del 1796 e la fine del 1797, l'opera 16 di Beethoven apparve nel 1801, a Vienna, presso l'editore Mollo in duplice versione: come Quintetto per pianoforte, oboe, clarinetto, corno e fagotto, e come Quartetto per pianoforte e archi. Alla doppia stesura non dovettero essere estranee ragioni editoriali. Pure, l'opera 16 rimase e rimane una delle opere favorite del perìodo giovanile di Beethoven. Il primo a riservarle una netta preferenza fu l'autore, che amava suonarla in pubblico (ovviamente come pianista). Successivamente la critica ha insistito nel giudicare il lavoro come il riflesso di uno dei rari momenti di beatitudine e di serenità nella vita burrascosa di Beethoven. Più pertinente il giudizio di Carli Ballola, che ne parla come dell'espressione «di un breve, felice periodo di irresponsabilità stilistica» prima del momento in cui si dovevano ergere «le barriere di filo spinato della Patetica e del largo e mesto della Sonata op. 10 n. 3». Ovviamente l'irresponsabilità stilistica consiste in una totale e gioiosa adesione ai modelli consolidati, qual è ravvisabile nella giovinezza di tanti altri musicisti. E difatti l'opera 16 di Beethoven costituisce una specie di esplicito omaggio a Mozart, presente non soltanto come modello (con il Quintetto K. 452), ma anche con precisi riferimenti tematici. Pedanti commentatori potrebbero districare reminiscenze del «Flauto magico» o del «Don Giovanni» nei tre tempi della composizione beethoveniana e altri potrebbero constatare, con piacere o rammarico - a seconda dei punti di vista - un influsso italiano. Certo l'opera 16 è di quelle che sarebbero piaciute all'abate Carpani, essendo - come il Settimino - scritte prima che Beethoven si mettesse al cimento di diventare «il Kant della musica». Dunque un'opera tutta da gustare, soprattutto per la grazia dell'andante e per il sapore di festa campestre che anima il rondò, la prima meglio messa in luce nella versione quartettistica, il secondo in quella per quintetto. Certo un'opera insolita nel catalogo di Beethoven, dove non mancano altre parentesi di gaiezza spensierata, ma raramente così felicemente risolte.

Bruno Cagli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 27 novembre 1981
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 febbraio 1977

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Ultimo aggiornamento 17 gennaio 2016