Quartetto per pianoforte in mi bemolle maggiore, WoO 36 n. 1


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Adagio assai. Allegro con spirito (mi bemolle minore)
  2. Tema e variazioni. Cantabile
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1832
Guida all'ascolto (nota 1)

Prima di impegnarsi intensamente e definitivamente nella composizione del quartetto per archi, in cui racchiuse i suoi pensieri più intimi e gelosamente custoditi, tanto da toccare spesso la forma del soliloquio, Beethoven scrisse anche quartetti con pianoforte che rispondevano a certe esigenze musicali ed esecutive della società tedesca della fine del Settecento. Infatti, mentre i quartetti per archi erano considerati lavori difficili e complessi, così da richiedere la presenza di musicisti professionisti, i quartetti con pianoforte o anche i quintetti con pianoforte erano classificati come un genere di minore importanza, perché rispondevano ad uno stile di conversazione musicale più semplice, più familiare e senza troppi problemi di impegno artistico. La stessa struttura formale e il numero dei tempi riflettevano la diversità di questi componimenti rispetto al quartetto per archi; questo ultimo si articola sempre in quattro o più tempi, a differenza del quartetto con pianoforte che ne ha al massimo tre e qualche volta due. Ciò sta a significare che questo tipo di composizione ubbidiva ad alcune regole ben precise dettate dal carattere amabile e mondano della musica, suonata abitualmente nei salotti della nobiltà e dell'aristocrazia del tempo.

Non per nulla Beethoven, man mano che si distacca spiritualmente e fisicamente da questa società e afferma con energia e prepotenza la sua personalità, non tornerà più all'esperienza del quartetto con pianoforte, se si esclude la rielaborazione del Quintetto per fiati op. 16 come quartetto per pianoforte e archi, e si dedicherà con indefessa passione allo studio del quartetto per archi, che egli predilesse e coltivò ininterrottamente insieme alla sonata per pianoforte. E questa occasione di valutare e conoscere meglio le possibilità espressive del quartetto per archi gli fu offerta negli anni giovanili trascorsi a Bonn, quando frequentò la casa del principe Lichnowskj ed ebbe modo di ascoltare il Quartetto Schuppanzigh che suonava spesso musiche di Haydn e di Mozart. Non a caso nel primo dei tre quartetti con pianoforte, in mi bemolle maggiore, si avverte la presenza della Sonata per violino e pianoforte in sol maggiore K. 379 di Mozart.

Anche se non fu precoce in fatto di composizione come Mozart, Beethoven scrisse tra i dodici e i quattordici anni le Variazioni su una marcia di Dressier per pianoforte, tre Sonate per pianoforte e un Concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte. A quindici anni compose tre Quartetti per pianoforte, violino, viola e violoncello, che non vennero pubblicati subito e apparvero in edizione a stampa solo nel 1828, presso l'editore Artaria di Vienna. Non essendo stati classificati da Beethoven nel gruppo delle sue opere, i tre Quartetti furono elencati nella sezione «Opere senza numero di opera» (Werke ohne Opuszahien) del fondamentale catalogo beethoveniano Kinsky-Halm, con il numero d'ordine 36; per questo motivo sono conosciuti come Quartetti WoO 36 n. 1 2 e 3.

Nel suo primo Quartetto con pianoforte Beethoven adotta lo schema formale della composizione in due tempi, con un adagio introduttivo abbastanza ampio e rivolto ad affermare la tonalità fondamentale di mi bemolle maggiore, con il pianoforte in evidenza, anche se il violino svolge un ruolo importante. L'Allegro è impostato secondo la forma-sonata (esposizione, sviluppo, riesposizione) e segue quei criteri di dialettica strumentale che avranno poi la massima espansione nel Beethoven maturo. Nel secondo tempo il musicista sceglie la forma del tema con variazioni. Il tema cantabile è esposto dal pianoforte e accompagnato dagli archi in maniera schematica. Ogni strumento è protagonista delle prime quattro variazioni: nella prima il pianoforte, nella seconda il violino, nella terza la viola, nella quarta il violoncello. La quinta e la sesta variazione mirano ad esaltare il virtuosismo del pianista; quindi il tema viene ripreso in una strumentazione diversa da quella iniziale, cioè con gli archi non più in funzione di accompagnamento. Dopo una breve coda brillante, il secondo movimento si conclude inaspettatamente in pianissimo.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 19 maggio 1978

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Ultimo aggiornamento 31 dicembre 2011