Serenata in re maggiore per flauto, violino e viola, op. 25


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Entrata. Allegro
  2. Tempo ordinario d'un Minuetto
  3. Allegro molto (re minore)
  4. Andante con variazioni (sol maggiore)
  5. Allegro scherzando e vivace
  6. Adagio
  7. Allegro vivace
Organico: flauto, violino, viola
Composizione: 1801
Edizione: Cappi, Vienna 1802

Vedi al n. Op. 41 la trascrizione per flauto e pianoforte
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Serenata in re maggiore op. 25 per flauto, violino e viola è opera della giovinezza di Beethoven e si colloca come data di nascita tra il 1796 e il 1797, insieme alla Serenata in re maggiore op. 8 per violino, viola e violoncello e ai Trii per violino, viola e violoncello, op. 3 in mi bemolle maggiore e op. 9 n. 1 in sol maggiore, n. 2 in re maggiore e n. 3 in do minore. Dopo questa esperienza, che coincide con il primo periodo di soggiorno del compositore a Vienna, Beethoven abbandona la forma del trio e si orienterà verso il quartetto per archi, dove raggiunse risultati di notevole livello artistico e di più alta completezza stilistica. Ciò è documentato da una lettera del 1801 inviata dallo stesso musicista al violinista Karl Amenda, in cui è detto con chiarezza: « Sto imparando a comporre correttamente musica per quartetto», senza aggiungere altro; si sa però che il musicista studiava la tecnica del quartetto con Emanuel Forster, un compositore da lui molto stimato per serietà e preparazione. Questo non significa che l'elaborazione di un trio sia stata per lui meno impegnativa di quella di un quartetto, anche se quest'ultimo genere di musica da camera costituiva una scelta più ambiziosa per un'artista come Beethoven che desiderava misurarsi con i grandi esempi forniti da Haydn e da Mozart in questo specifico campo creativo. Quello che si può dire, però, è che il trio, sia per la sua struttura che per la qualità stessa della musica, si avvicina di più alla forma del divertimento e pone minori problemi di approfondimento tecnico e di equilibrio espressivo rispetto al quartetto, considerato il momento più alto della composizione cameristica. Infatti i Trii dell'op. 3 e dell' op. 9, oltre alle Serenate dell'op. 8 e dell'op. 25, riflettono una piacevole e disincantata musicalità, all'insegna di quello stile di conversazione semplice e amabile, tipico di tanta produzione settecentesca. Per rendersene conto basta ascoltare con l'animo sgombro da problemi e da preoccupazioni spirituali la Serenata op. 25, dove tutto scorre con facilità e freschezza melodica in un gioco di armonie e di idee strumentali appartenenti alla migliore tradizione della musica pre-romantica. Certamente, anche in questo caso è presente e affiora con contorni netti la personalità di Beethoven, come nello spigliato e robusto Allegro molto del terzo movimento, nell'arioso e lucente Andante con variazioni (del resto, si sa, la variazione è uno dei punti di forza e di più spiccata originalità dell'arte beethoveniana), nel teso e slanciato Allegro scherzando e vivace del quinto movimento, nel pensieroso, ma non dolente, Adagio, fino a toccare nell'Allegro conclusivo una varietà di accenti di cordiale e sano buonumore, nell'ambito di una fanciullesca discorsività espressiva, resa pungente e leggera dalle fioriture di colore un pò virtuosistico del flauto.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La tradizionale partizione in una mezza dozzina di movimenti che configura la Serenata come una Suite o una Partita, si riscontra nella Serenata op. 25 in re maggiore per flauto, violino e viola composta tra il 1796 e il 1797, pubblicata nel 1802 e riplasmata un anno più tardi come Serenata, per piano e flauto op. 41. Insieme ad una prima Serenata per violino, viola e violoncello che Beethoven pubblicò nel 1796 come sua opera ottava, questa Serenata viene annoverata tra i lavori beethoveniani che maggiormente risentono degli influssi di Haydn e Mozart mantenendosi in un clima prettamente settecentesco. Il primo dei sei movimenti della Serenata è un Allegro intitolato Entrata. Lo comincia il flauto con un delicato, ma incisivo motivo da fanfara che viene ripreso dagli altri strumenti e subito sottoposto ad una specie di analisi tematica che indica già chiaramente quale sarà la tecnica dello sviluppo che Beethoven prediligerà nelle sue opere più mature. Ad una doppia esposizione di questo tema, segue l'esposizione, ugualmente duplice, di un secondo tema in sol maggiore. I due temi non s'intrecciano o si contrappongono dialetticamente come in un tempo di Sonata, ma si giustappongono come in un movimento, di Suite.

La seconda parte è designata come Tempo ordinario d'un Minuetto. Un Trio assai sviluppato intramezza due repliche successive del Minuetto. La terza parte si svolge in un tempo qualificato come Allegro molto. Il ritmo in tre ottavi con frequenti accentuazioni in controtempo, conferisce al brano il carattere d'uno Scherzo. Una sezione in re minore vi si alterna con una parte in maggiore e si conclude con una breve Coda. Il quarto tempo è un Andante con Variazioni. Le Variazioni, in numero di tre, sono del tipo che può definirsi "ornamentale". Più che mutare le strutture intrinseche del cantabile tema in sol maggiore, esse ne presentano delle varianti arricchite di abbellimenti, passi e arpeggi di ogni sorta. In una Coda il tema viene ripreso in una forma analoga a quella originaria trasposta all'ottava superiore. Degno di nota il partito che Beethoven trae in questo Tema dalla scrittura per doppie corde degli strumenti ad arco ottenendo delle sonorità che danno l'impressione che, in certi momenti, l'ascoltatore si trovi davanti ad un quartetto d'archi il quale s'accompagna al flauto. Il quinto tempo, Allegro scherzando e vivace, segna un ritorno al clima del terzo tempo. Il carattere del Finale è chiaramente indicato dal titolo Allegro vivace e disinvolto. L'andamento brillante di questo Rondò si trasforma nel ritornello conclusivo in un Presto la cui sfrenata allegria non troverà più seguito nell'opera beethoveniana. Beethoven saprà certamente scrivere ancora della musica "allegra", ma con uno sforzo di volontà e dunque senza la spontaneità e la reale "disinvoltura" di questo Finale.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 15 Gennaio 1982
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 15 gennaio 1970

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Ultimo aggiornamento 8 febbraio 2013