Settimino per fiati ed archi in mi bemolle maggiore, op. 20


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Adagio. Allegro con brio
  2. Adagio cantabile (la bemolle maggiore)
  3. Tempo di Menuetto
  4. Tema. Andante con variazioni (si bemolle maggiore)
  5. Scherzo. Allegro molto e vivace
  6. Andante con moto alla Marcia. Presto
Organico: clarinetto, corno, fagotto, violino, viola, violoncello, contrabbasso
Composizione: 1799 - 1800
Prima esecuzione: Vienna, National Hoftheater, 2 Aprile 1800
Edizione: Hoffmeister, Lipsia 1802
Dedica: all'imperatrice Maria Teresa
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Secondo quanto Carl Czerny - musicista amico ed allievo di Beethoven - ebbe modo di riferire ad Otto Jahn, il grande biografo mozartiano, sembra che Beethoven in età matura mostrasse un insofferente distacco nei confronti del Settimino in mi bemolle maggiore op. 20, fino «a non poterlo più sopportare e ad adirarsi del successo che esso riscuoteva universalmente». Relativamente al successo, è indiscutibile che il Settimino acquistò una grande celebrità già subito dopo la sua creazione. Beethoven si applicò alla composizione fra la fine del 1799 e l'inizio del 1800; dopo una esecuzione privata in casa del principe Karl Philipp Schwarzenberg, la prima esecuzione pubblica ebbe luogo il 2 aprile 1800 presso lo Hofburgertheater di Vienna, nel corso di un concerto organizzato dal compositore a proprio beneficio, e nel quale fu presentata anche la Prima Sinfonia.

Straordinaria fu la diffusione editoriale della composizione, più che nella veste originale nelle numerose trascrizioni, autorizzate e non. L'edizione a stampa fu realizzata in parti staccate dall'editore Hoffmeister nel 1802; e già allora Beethoven raccomandò all'editore di realizzare una trascrizione per quintetto con flauto, destinata al mercato dei dilettanti, che «me ne fecero già proposta e vi sciamerebbero attorno come insetti e abboccherebbero». In seguito fu lo stesso autore a realizzare una trascrizione per pianoforte, clarinetto (o violino) e violoncello, dedicata al suo medico personale, Johann Adam Schmidt, e pubblicata nel 1805 a Vienna dal Bureau d'arts et d'industrie come op. 38. Per tacere delle numerose trascrizioni per gli organici più diversi realizzate piratescamente da editori spregiudicati. Altre circostanze testimoniano dell'immutato favore goduto dal brano nel corso del secolo. Spunti tematici della partitura furono ripresi da compositori come Bellini e Donizetti in partiture come Norma e La Favorita. Ancora Wagner in una sua novella giovanile ("Una visita a Beethoven") descrisse una scena di musicanti girovaghi che eseguivano il Settimino in aperta campagna.

Non stupisce insomma che l'autore di partiture rivoluzionarie come le Sonate per violoncello op. 5 e la Sonata per pianoforte op. 13, che avevano dischiuso nuove prospettive alla creazione musicale e che pure venivano accolte con sgomento e scetticismo dai contemporanei, manifestasse insofferenza verso la diffusione di un'opera così indissolubilmente legata al passato. Il Settimino, infatti, è forse il lavoro più compiuto e perfetto del Beethoven "settecentesco"; laddove questo aggettivo andrà inteso non tanto in senso cronologico (per quanto la data del 1800, che vide la nascita del lavoro, possa essere intesa come un discrimine nell'attività del maestro) bensì di canoni estetici. Si tratta infatti di un brano che risponde in pieno a tutti i criteri della musica di "intrattenimento", quali erano stati codificati da una lunga e illustre tradizione di Serenate, Divertimenti, Cassazioni nel corso di un mezzo secolo. Lo stile "retrò" della partitura, è peraltro del tutto volontario, finalizzato a conquistare quel successo di pubblico di cui l'ingrato compositore, immemore dei non disprezzabili guadagni dovuti al brano, si lamentava.

Di qui il ricorso ai canoni dell'intrattenimento. In primo luogo l'organico che includeva non solo gli archi (violino, viola, violoncello, contrabbasso) ma anche i fiati (clarinetto, fagotto e corno) poneva automaticamente la composizione su un piano di musica meno "nobile", più semplice tecnicamente e concettualmente. Ancora verso la fine del XVIII secolo, infatti, strumenti come oboe e fagotto, ancorché diffusissimi presso tutte le istituzioni orchestrali, avevano delle potenzialità tecniche limitate e una gamma sonora contenuta; il clarinetto era poi ancora lontano da una vasta diffusione, il corno, ancora per un lungo periodo, del tutto privo di pistoni. Gli strumentisti che affrontavano il repertorio per fiati erano spesso dei servitori con precarie cognizioni tecniche, e andavano faticosamente in cerca di un autentico "status" professionale. Di qui la mancanza, nella letteratura con fiati, di quella complessa elaborazione che contraddistingueva invece la letteratura riservata alla "nobile" famiglia degli archi, in favore di una pronunciata cantabilità. Ma anche nel numero di sei movimenti il Settimino si richiama poi alla tradizione del Divertimento, che allineava una serie di tempi fra loro contrastanti, fra i quali non mancavano i ritmi di danza (Minuetto e Scherzo) e spesso anche il tema con variazioni, formula considerata decorativa e disimpegnata.

Il Settimino di Beethoven riprende tali stilemi con un mirabile dosaggio di tutti gli ingredienti dell'intrattenimento puro, trattati con perfetta sapienza tecnica, squisito gusto del disimpegno, deliberata voglia di "piacere". L'introduzione lenta che apre il primo movimento propone già violino e clarinetto come strumenti-guida, in un Adagio di succinta ma densa costruzione. Si passa così all'Allegro con brio, in forma sonata, aperto da un motivo ritmicamente scattante e scorrevole, esposto dal violino e ripreso dal clarinetto; il secondo tema non si pone in conflitto, ma in perfetta continuità con la prima idea, e la logica del movimento risiede così nel garbato dialogare fra i vari strumenti, in un clima di spensierata melodiosità. Non a caso la breve sezione dello sviluppo punta non già sulla tecnica di elaborazione del materiale, ma sulle variazioni coloristiche dei due temi principali. Segue un Adagio cantabile, anch'esso in forma sonata, dove il clarinetto presenta tornite e levigate linee melodiche, riprese da violino e fagotto; non mancano anche qui i giochi timbrici, con la contrapposizione di archi e fiati e l'emergere a tratti dei vari strumenti in funzione solistica; e tutto il movimento va in cerca di quelle atmosfere soffuse che caratterizzano gli adagi delle serenate di Mozart.

Celeberrimo è il Minuetto, che riprende il secondo tempo della Sonata per pianoforte op. 49 n. 2; vi si affaccia - anche nelle fioriture di corno e clarinetto che impreziosiscono il Trio - quel gusto del manierismo che diventerà uno stilema nel Beethoven maturo. Come quarto movimento troviamo una serie di cinque variazioni, basate su una melodia che è probabilmente una canzone popolare del basso Reno; le variazioni si sviluppano seguendo una logica decorativa, che pone in risalto di volta in volta uno strumento o un gruppo di strumenti; non manca, in penultima posizione, una variazione nel modo minore. Aperto dal corno, lo Scherzo deve il suo carattere brillante principalmente al ritmo danzante e al fraseggio spezzato fra diversi cori strumentali; nel Trio emerge la melodia di valzer del violoncello. Il finale si apre nuovamente con una breve introduzione lenta, che questa volta ha il carattere severo di una marcia funebre, per accentuare il contrasto con la sezione successiva; segue infatti un Presto in forma sonata, percorso da una incessante propulsione ritmica, dove i due temi principali hanno il medesimo carattere giocoso; nello sviluppo, quasi interamente in minore, si stagliano serrati inseguimenti contrappuntistici; una elegante cadenza solistica del violino si inserisce prima della ripresa, e una coda brillantissima conclude il movimento e il Settimino, riaffermando lo studiato vitalismo di questo Beethoven "ancien regime".

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il lavoro che stasera viene eseguito per primo appartiene ad un Beethoven che alcuni critici indicano come "minore" e che altri, addirittura, definiscono "prebeethoveniano", essendo opera composta alla fine del Settecento, e cioè negli anni di "noviziato" del musicista. In quel periodo (1792-1797), a Vienna, il giovane Beethoven si è sbizzarrito sulle più diverse combinazioni e mescolanze strumentali componendo, fra l'altro, il Duetto per due flauti, il Quintetto per oboe tre corni e fagotto, il Trio per due oboi e corno inglese op. 87, il Quintetto per pianoforte oboe clarinetto fagotto e corno op. 16, la Serenata per flauto violino e viola op. 25, il Sestetto per due corni e quartetto d'archi op. 81/b, il Rondino per due oboi due clarinetti due fagotti e due corni, il Sestetto per due corni due clarinetti e due fagotti op. 71, l'Ottetto per due oboi due clarinetti due corni e due fagotti op. 103 (e non inganni il numero d'opus di qualche lavoro, assegnato molto più tardi rispetto all'anno di composizione).

Di poco posteriore (1799-1800) è il Settimino op. 20 (per clarinetto corno fagotto violino viola violoncello e contrabbasso) che però mantiene atmosfera e motivazioni identiche a quelle dei lavori citati. L'atmosfera è quella già mozartiana e tutta settecentesca di Serenate Notturni Divertimenti; le motivazioni nascono da una Vienna che si diletta di "far musica" e specialmente musica per fiati, considerata di ottimo intrattenimento e di piacevole passatempo negli ambienti nobili e di censo elevato della capitale imperiale.

E Beethoven, attratto anche dalle sonorità dei "fiati", scrive di queste musiche che non hanno, naturalmente, valore di "messaggio" ma denotano purtuttavia il piacere dello sfruttamento delle risorse idiomatiche e decorative che ogni strumento può offrire nelle varie combinazioni. Piacere che nasce anche dalle felici condizioni di spirito del giovane compositore dal carattere allegro gioviale ed esuberante, pronto allo scherzo, alla battuta e lontano, ancora assai lontano, da quell'immagine convenzionale di un Beethoven sempre ed inesorabilmente corrusco drammatico infelice alla quale ci ha abituati tanta letteratura, e non soltanto iconografica.

Dedicato "A Sua Maestà Maria Teresa, Imperatrice Romana, Regina d'Ungheria e di Boemia" ed eseguito in forma privata a Palazzo Schwarzenberg (lo stesso nel quale era stata eseguita due anni prima "La Creazione" di Haydn e dove pare che Beethoven rispondesse alle lodi dei convenuti dichiarando "Questa è la mia Creazione"), il Settimino ebbe la sua prima ufficiale, insieme alla Prima Sinfonia, in un concerto del 2 aprile 1800, con un clamoroso successo. Successo che si mantenne sempre tale e che collocò il lavoro fra le più amate opere di Beethoven al punto che l'Autore, in un secondo tempo, indispettito dall'incomprensione con la quale venivano accolte le sue nuove composizioni ritenute sempre inferiori al Settimino, giunse a detestare il felice lavoro giovanile.

Il Settimino, almeno fino a tutto l'Ottocento, ebbe eccezionale fortuna anche in Italia, dove fu apprezzato fra l'altro da musicisti come Bellini (che si ricordò dell'"Adagio cantabile" nel duetto della Norma: "In mia mano alfin tu sei") e Donizetti (che ebbe presente il "Presto" finale nel duetto "Fia vero?" della Favorita). La critica moderna considera il Settimino opera giovanile e di transizione, ma lo stile concertante, i brevi passaggi virtuosistici concessi al violino, le melodie spesso di sapore popolare, la grazia e la semplicità delle armonie, la ricchezza e la freschezza delle idee musicali, rendono questo lavoro una perfetta, anche se non eccelsa, sintesi di un mondo e di una civiltà ormai decisamente avviati al tramonto.

Il primo movimento inizia con una Introduzione (Adagio) che prepara l'irrompere di un gioioso "Allegro con brio" nel quale il violino propone un tema saltellante accolto, svolto e ripreso da tutti e concluso con effetti quasi caricaturali dai fiati.

L'"Adagio cantabile" è la pagina più affascinante del Settimino per l'intensa melodia iniziale, esposta dapprima dai fiati e ripresa poi con straordinaria purezza espressiva dal violino; l'intero movimento si snoda all'insegna di una tenera e amabile cantabilità.

Il "Tempo di Minuetto", il cui tema era già stato usato da Beethoven nel Minuetto della Sonatina per pianoforte op. 49 n. 2 (1796), è tutto garbo e grazia settecentesca, capolavoro di limpida eufonia.

Il quarto movimento, "Andante", si sviluppa su un Tema con cinque Variazioni nelle quali, con inesauribile inventiva, viene attuato un geniale sfruttamento dei diversi timbri strumentali.

Lo "Scherzo", con i richiami accentuati del corno e le imitazioni degli archi, ci riporta ad una scena di caccia, serena festosa spensierata, nella quale il delizioso Trio sembra adombrare una pausa di riposo (quasi una conviviale sosta).

Il sesto ed ultimo movimento, dopo un breve "Andante" che si sforza di essere cupo, si conclude con un "Presto" percorso da fresca, viva felicità ritmica e nel quale trova posto anche una breve esibizione virtuosistica del violino.

Salvatore Caprì

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

È noto che la produzione per strumenti a fiato di Beethoven appartiene in generale alla «prima maniera» della sua creatività, inauguratasi a Bonn e proseguita a Vienna nei trent'anni iniziali circa dell'esistenza, anni non solo di studio e di preparazione, in quanto Beethoven, pure in età matura, era solito tornare su singole frasi e su lavori interi della giovinezza per procedere a rielaborazioni e nuove versioni, in vista della stampa della musica o di manifestazioni di particolare solennità. Va tenuto presente inoltre l'influsso di Haydn e di Mozart, specie in rapporto all'ambiente culturale e sociale del Settecento che prediligeva in sommo grado un certo genere compositivo - Divertimenti, Serenate, Marce, Ländler, ecc. - caratterizzato dalla determinante presenza degli strumenti a fiato, particolari eventi «all'aperto», nelle corti aristocratiche o nei giardini pubblici. Elementi peculiari di tale genere musicale erano la successione di movimenti, in media da tre a sette, variamente alternati e con ritmi contrastanti, la scorrevolezza melodica e la luminosa semplicità delle armonie (dal momento che la prima destinazione di tali lavori era il mero svago dell'ascoltatore), la composizione su commissione per i luoghi più disparati (ora come «Tafelmusik» nella sala di un palazzo nobiliare o arcivescovile, ora in un teatro, ora appunto all'aperto, con un'interscambiabilità di luogo d'esecuzione a seconda della reperibilità o meno dei suonatori in una città anziché in un'altra). Nell'età dell'Illuminismo, le musiche all'aperto per strumenti a fiato presupponevano che gli esecutori, appunto perché in prevalenza dovevano «rimanere fuori, sotto le finestre o tra gli alberi, fossero sempre più primitivi dei suonatori di strumenti ad arco; per lo meno Mozart li considerò tali e infatti a quei tempi era assai più facile passare da servitore a suonatore di corno che a violinista» (Einstein).

A Bonn la musica di Mozart costituiva la vera passione dell'Elettore arciduca Maximilian Franz, e Beethoven, acceso da quel confronto, s'applicò con assiduità, prolungatasi anche nei successivi anni viennesi dal 1794 al 1800, a una similare produzione per strumenti a fiato, il cui precedente, scritto appunto al tempo del soggiorno a Bonn, fu l'Ottetto del 1792, meglio conosciuto nella rielaborazione d'autore del 1795 in Quintetto d'archi op. 4.

Il vertice espressivo però della musica beethoveniana per strumenti a fiato (in cui si annoverano anche un Rondino in mi bemolle maggiore, un Duetto in sol maggiore, Tre duetti in do maggiore, tutte del 1792, un Trio in do maggiore del 1794, un Sestetto in mi bemolle maggiore e una Serenata in re maggiore del 1796, Otto variazioni in do maggiore del 1797, una Marcia in si bemolle maggiore, Tre Equali e un Adagio) è fornito però dal Gran Settimino in mi bemolle maggiore per clarinetto, corno, fagotto, violino, viola, violoncello e contrabbasso op. 20, composto nel 1799 ed eseguito per la prima volta in forma privata nel palazzo del principe Karl Philipp zu Schwarzenberg e in pubblico alla prima Accademia viennese a beneficio dell'autore il 2 aprile 1800, assieme alla Prima sinfonia. Gli strumentisti di quel concerto all'Imperiai Regio Teatro di Corte erano di primissima qualità e rispondevano ai nomi di Schuppanzigh, Schreiber, Baer, Dietzel, Schindlecker, Nickel e Matauschek: anche per merito loro, il successo fu subito entusiastico, come attestato da una cronaca dell'«Allgemeine Musikalische Zeitung» che giudicò il Settimino «scritto con moltissimo gusto e originalità». La dedica era a Maria Teresa, seconda moglie dell'imperatore Francesco II, appassionata di musica e cantante dilettante - per la quale Haydn compose la Theresien-Messe. A differenza di Beethoven, che dichiarò a Czerny di «non poter soffrire il suo Settimino, risalente a giorni in cui non sapeva inventare», il lavoro piacque al pubblico moltissimo, sì da persuadere l'autore a indirizzare all'editore Hoffmeister & Kühnel di Lipsia la viva raccomandazione di una sollecita stampa, anche in trascrizione per diverso organico, ad uso di quanti «ne fecero già proposta e vi sciamerebbero attorno come insetti e vi abboccherebbero», com'è rinvenibile in una lettera dell'anno seguente. A testimonianza della larghissima diffusione e del successo del Settimino infatti fa fede un passo di una novella giovanile di Wagner, Una vìsita a Beethoven, ove s'immagina che il protagonista, nel compiere un lungo viaggio a piedi attraverso la Germania, la Boemia e l'Austria per giungere a Vienna a conoscervi Beethoven, imbattutosi nei pressi di un piccolo borgo in un gruppo di musicanti girovaghi, s'unisca a loro per suonare il Settimino «là, sul margine di una via maestra della Boemia, sotto il cielo aperto, con una purezza, una precisione, una profondità di sentimenti tali, che ben raramente è dato trovarle nei più celebri virtuosi! Grande Beethoven - conclude lo scrittore - fu veramente un rito degno del tuo genio!».

Nel Settimino ormai il primitivo influsso mozartiano è rintracciabile prevalentemente nell'euritmia dello schema formale mentre il lessico compositivo s'avvia ad affrancarsi dalla convenzionalità del retaggio musicale settecentesco, specie nella ricchezza degli elementi concertanti. Strutturato in sei movimenti, il Settimino è stato ritenuto la «summa» della prima maniera bèethoveniana e fu ammirato già nel primo Ottocento in Italia da operisti come Rossini, Bellini e Donizetti, «i quali due ultimi se ne ricorderanno nel duetto 'In mia mano alfin tu sei' della Norma e nel duetto 'Fia vero? lasciarti' della Favorita, riecheggianti rispettivamente i temi principali dell'Adagio cantabile e del Presto Finale» (Carli Ballola).

La successione dei vari movimenti di cui si compone il lavoro si apre con un Adagio introduttivo, nel quale oltre ad adombrare lo spunto tematico del successivo Allegrio con brio, viene preannunziato nella parte dei fiati un ritmo puntato che, ritornando in seguito sia nel Minuetto sia nell'Andante introduttivo al Finale, costituisce una sorta di nodo focale della composizione. Dopo una cadenza conclusa da un breve volteggio del violino s'inizia l'Allegro, costruito come una successione di archi rampanti (slancio del primo tema) fronteggiati dal baluardo dei ritmi esatti del secondo tema. L'Adagio cantabile è prossimo al Larghetto della Seconda sinfonia, rispetto al quale risulta meno complesso anche se percorso da più dolci e sottili venature di malinconia. Interessanti in particolar modo sono le distinte espressioni degli strumenti a fiato: dolce e calorosa nel timbro del clarinetto, idilliaca nel fagotto, nostalgica e triste nel corno. Importante è poi l'episodio centrale con l'entrata del tema in do maggiore e il suo graduale dissolvimento, dopo la modulazione in minore, in voci più oscure, sino al ritorno del tono d'impianto nella riesposizione. Il nucleo tematico del Minuetto ha origine dal citato ritmo puntato dell'Introduzione all'Allegro iniziale: è quasi identico al Minuetto della Sonata per pianoforte op. 49 n° 2 con i medesimi caratteri nel profilo ritmico, nell'espressione e nel colorito, seppur con tratti più energici e marcati in questo tempo del Settimino. Una canzone popolare renana avrebbe fornito lo spunto all'Adagio. Secondo la consuetudine tipica del genere della Serenata o del Divertimento, il tema va incontro ad alcune variazioni che fanno prevalere di volta in volta vari strumenti o gruppi strumentali: così, se nella prima variazione il trio d'archi è impegnato in un leggero movimento contrappuntistico, nella seconda prevale il violino con le sue fioriture, nella terza si evidenzia specialmente il canto del clarinetto e del fagotto mentre nella successiva, in minore, si sente emergere la voce del corno; l'ultima variazione arricchisce di preziosi abbellimenti la riproposta del tema, riflesso poi in un breve gioco di immagini frammentate. Lo Scherzo, secondo una maniera che sarà poi tipica dei movimenti analoghi delle prime Sinfonie beethoveniane, suddivide fra gli strumenti la frase fondamentale. Nel Trio la melodia, modellata su un motivo di valzer, viene affidata al violoncello. Dopo il breve Andante con moto (alla marcia), ove si profila nettamente il ritmo puntato del Minuetto, subentra il Presto conclusivo che esula del tutto dalla forma del Rondò per attenersi al tracciato della forma-sonata, facendo rilevare uno spirito non dissimile da quello del movimento iniziale, quanto rinforzato e accresciuto nello slancio e nella forza espressiva.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 Aprile 1995
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 marzo 1987
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 30 maggio 1982

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Ultimo aggiornamento 5 aprile 2017