Sonata per pianoforte n. 2 in la maggiore, op. 2 n. 2


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro vivace
  2. Largo Appasionato (re maggiore)
  3. Scherzo. Allegretto
  4. Rondo
Organico: pianoforte
Composizione: 1794 - 1795
Edizione: Artaria, Vienna, 1796
Dedica: Franz Joseph Haydn
Guida all'ascolto (nota 1)

Le tre Sonate per pianoforte dell'op. 2 furono pubblicate a Vienna da Artaria nel marzo del 1796 e costituiscono le prime composizioni in cui si afferma e si dispiega la forte personalità del musicista. Secondo Carli Ballola, esse sono, per così dire, il "manifesto" dello stile che il musicista ha conquistato sullo scorcio del XVIII secolo e di cui si servirà per parecchi anni: il cosiddetto "primo stile" beethoveniano, secondo la risaputa (ma non per questo meno rispondente a un'innegabile realtà) classificazione inaugurata dal musicologo Lenz. Anzitutto c'è da rilevare un aspetto formale non secondario: queste Sonate si articolano in quattro movimenti, al contrario di quelle abitualmente ideate in tre movimenti da Haydn, Clementi e Mozart. Ciò significa che per la prima volta le Sonate per pianoforte assumono un andamento più ampio e più vario rispetto alla classificazione in uso nel Settecento, anche se successivamente Beethoven ritornerà alla Sonata in tre tempi e addirittura in due tempi, naturalmente con un maggiore approfondimento sotto il profilo dello sviluppo tematico e armonico. Un altro elemento da tener presente in queste Sonate dell'op. 2 è l'allargamento e il potenziamento della forma-sonata, con riferimento alla struttura dinamica e ritmica e al gioco dialettico delle modulazioni, tese ad evidenziare un discorso più denso e corposo, secondo un pianismo dai risvolti psicologici meno legati ad un gusto salottiero.

Anche in questo caso, come per altri generi musicali, ad esempio i Trii, i Quartetti, e le Sinfonie, Beethoven ha tenuto conto dell'esempio di Haydn e di Mozart e della civiltà musicale del suo tempo, ma questo non significa che il giovane compositore sia stato un fedele ripetitore di stilemi altrui. Anzi, a detta del già citato Carli Ballola, c'è poco o nulla di mozartiano nell'op. 2 «dalla massiccia scrittura pianistica che si rifa essenzialmente al "moderno" Clementi (il quale, come ben sappiamo, non godeva affatto dell'ammirazione di Mozart) e in cui la pletorica abbondanza delle idee, i rigorosi sviluppi, il gusto per la trovata eccentrica e capricciosa sono al polo opposto dell'essenzialità e della "normalità" mozartiane. Quanto ad Haydn, dedicatario dell'op. 2, egli aveva compreso benissimo che Beethoven non teneva affatto ad essere considerato suo discepolo, come è dimostrato dall'atteggiamento di diffidenza e di ironica sufficienza mantenuto dal vecchio maestro nei confronti del giovane collega, al quale non rispamiò frecciate e sgarbi, come quello di restituirgli il fascicolo delle Sonate sentenziando che "l'ingegno non mancava, ma bisognava ancora istruirsi"».

Sin dal primo movimento (Allegro vivace) la Sonata in la maggiore, ritenuta la migliore delle tre dell'op. 2, rivela un piglio sostenuto ed energico con il secondo tema disteso su un largo arco di modulazioni di fervida tensione lirica, secondo un procedimento compositivo preferito da Beethoven. Il Largo appassionato è una pagina intrisa di nobile e pensosa spiritualità, dalle sonorità così scavate e suggestive nella disposizione timbrica da far pensare ad una adagio orchestrale. Questo è il punto più alto della Sonata che prosegue con uno Scherzo brillante e dagli umori saporosi e si conclude in modo gaio e piacevole, con una cordiale baldanza giovanile non priva di accenti misuratamente virtuosistici.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 gennaio 1986

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Ultimo aggiornamento 12 gennaio 2012