Sonata per pianoforte n. 27 in mi minore, op. 90


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Mit Lebhaftigkeit und durchaus mit Empfindung und Ausdruck (Con vivacità ma sempre con sentimento ed espressione)
  2. Nicht zu geschwind und seht singbar vorzutragen (Non tanto mosso e molto cantabile): mi maggiore
Organico: pianoforte
Composizione: 1814
Edizione: Steiner, Vienna 1815
Dedica: Conte Lichnowski
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Con le due Sonate op. 53 e op. 57, nate fra il 1803 e il 1805, consapevole di avervi compendiato il respiro sinfonico e il carattere plastico della Sinfonia Eroica, Beethoven sembrava aver esaurito, o quanto meno accantonato, il suo interesse per lo strumento più importante del secolo; e non scrive più Sonate fino al 1809 quando l'editore Breitkopf si fa avanti con una richiesta: «non amo dedicare molto tempo alle Sonate per pianoforte solo, però gliene prometto qualcuna», sarà la risposta del musicista che sceglierà poi un nuovo tono espressivo, una nuova impostazione tecnica, lasciando alle op. 53 e 57 un evidente primato. Codeste novità si riassumono nel fatto che Beethoven intuisce i terrestri umori di quella sensibilità romantica che stava venendo a maturazione: c'è un non so che di Schubert in queste nuove Sonate; la pretesa tecnica diventa meno esigente, il tematismo meno tagliente, il tratto si fa più borghese, spesso amabile, l'istinto costruttivo più minuto, pronto ad indugiare su particolari secondari: già le tre Sonate del 1809-10, le op. 78, 79 e 81a, sono indicative in tale senso, ma i caratteri si precisano ancora con la Sonata op. 90, scritta nel 1814 dopo una nuova astinenza dalla produzione per pianoforte solo (circostanza rilevata dalla "Wiener Zeitung" del 9 giugno 1815).

Nel 1814 Beethoven partecipava a quella fase di patriottismo molto sentita a Vienna dopo la caduta di Napoleone (la sinfonia La vittoria di Wellington op. 91 dell'anno prima era stato il suo contributo più saliente) e nell'op. 90 usa per la prima volta le indicazioni dinamiche dei rispettivi movimenti in lingua tedesca; tuttavia, oltre all'orgoglio nazionale, in un'opera la più lontana pensabile dall'eloquenza, agiva appunto quella temperie romantica che gli faceva ritenere i vecchi termini italiani (allegro, andante ecc.) buoni al più per l'inquadramento dinamico generale, preferendo quindi la lingua madre per tutto ciò che attiene l'anima della composizione (tuttavia un "dolce" e un "teneramente" si insinuano di soppiatto nel secondo movimento, a confermare un clima espressivo già compiutamente realizzato dal puro dettato musicale). Uno dei primi recensori dell'op. 90 (sul'"Allgemeine Musikalische Zeitung" del 1816) giudicherà la Sonata, come una delle più «semplici, ricche di melodia, piene d'espressione, di chiarezza e di dolcezza» fra tutte quelle di Beethoven, molto opportunamente citando quali precorritrici di tali caratteri le due Sonate op. 14; in realtà, il primo movimento (tradotto in italiano: "Con vivacità, ma sempre con sentimento ed espressione") colpisce soprattutto per la riduzione della drammaticità sonatistica a forme brevi e concise, oltre che per una scrittura cangiante, talvolta economica, poco "pianistica" nella sua essenzialità; gli attributi di dolcezza e amabilità celebrati dai primi recensori aderiscono invece perfettamente al secondo movimento ("Non tanto mosso e molto cantabile") in mi maggiore e in forma di rondò: finali di questa sorta, dal tempo moderato e dalla cantabilità distesa, sono presenti nella creatività beethoveniana fin dalle Sonate op. 7 e op. 22; ma qui questo tipo si perfeziona in affettuosità e interiorità e l'analogia tematica con il Rondò di Schubert in la maggiore per pianoforte a quattro mani è la spia migliore della sua straordinaria novità sentimentale.

La Sonata op. 90 è dedicata al principe Moritz Lichnowsky per ringraziarlo della pena che si era dato nell'ottenere una ricompensa a Beethoven per l'omaggio della Vittoria di Wellington al principe reggente inglese; del principe Lichnowsky aveva fatto scalpore a Vienna il suo secondo matrimonio con una cantante del Teatro and der Wien; secondo Schindler, ma con poco fondamento, la Sonata op. 90 rifletterebbe questa vicenda, dai contrasti matrimoniali fino alla sospirata gioia familiare.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le 32 Sonate per pianoforte, pubblicate fra il 1796 e il 1823, accompagnano con regolarità Beethoven nell'intero arco della sua attività compositiva e costituiscono quindi un laboratorio d'osservazione (o meglio d'ascolto) privilegiato per seguire gli sviluppi nel suo modo di utilizzare le caratteristiche timbriche, dinamiche e meccaniche di uno strumento ancora in evoluzione. Ma questa sperimentazione sonora in Beethoven si affianca a una ricerca formale che investe la struttura, il numero e la disposizione dei movimenti di una sonata.

Fino al 1805 Beethoven non ha praticamente mai smesso di scrivere sonate e in poco più di un decennio ne ha composte e pubblicate 23. Quasi ognuna di queste sonate dà un proprio contributo originale alle sue ricerche: l'op. 13, le due sonate "quasi una fantasia", l'op. 28, l'op. 31 n. 2, la Waldstein, l'Appassionata sono solo alcuni esempi scelti tra quelle più note. Terminata l'Appassionata Beethoven per la prima volta interrompe la sua produzione sonatistica per un periodo abbastanza lungo: dopo circa quattro anni di silenzio - durante i quali vedono la luce, fra l'altro, la Quarta, la Quinta e la Sesta Sinfonia, il Quarto e il Quinto Concerto per pianoforte e quello per violino e i Quartetti Rasumovskij - fra il 1809 e il 1810 nascono le sonate op. 78, op. 79 e op. 81a.

Una nuova pausa, durata anch'essa quattro anni - in cui nascono la Settima e l'Ottava Sinfonia, il Trio "Arciduca" e la Sonata per violino e pianoforte op. 96 - viene interrotta, nell'estate del 1814, dalla composizione della Sonata in mi minore op. 90.

In questa affascinante sonata Beethoven per la prima volta utilizza unicamente il tedesco per le didascalie dei movimenti, sforzandosi di indicare all'esecutore non solo lo stacco dei tempi ma anche l'approccio interpretativo fondamentale di ciascun movimento: "mit Empfindung und Ausdruck" ("con sentimento ed espressione") il primo, "sehr singbar" ("molto cantabile") il secondo; e insiste particolarmente su questa espressiva cantabilità, che potrebbe far pensare a Schubert, soprattutto nel secondo movimento, in cui ricorrono, con una frequenza insolita per lui, due indicazioni, questa volta in italiano: dolce e teneramente.

Non è invece la prima volta che Beethoven compone una sonata in due soli tempi: senza considerare le due Sonate facili op. 49, lo ha già fatto nel 1804 con la Sonata op. 54 e nel 1809 con la Sonata op. 78, una delle sue preferite.

Ma nel corso dell'Ottocento gli interpreti non apprezzarono particolarmente l'intimismo - nelle dimensioni e nei contenuti - della Sonata op. 90, non riuscendo a farlo coincidere con l'immagine titanica e volitiva che di Beethoven si aveva in quegli anni: i primi a eseguirla in pubblico con una certa frequenza furono soltanto Anton Rubinstein e poi Sergei Rachmaninov. E' anche grazie a interpreti come loro se noi oggi possiamo apprezzare nella giusta luce il tenero intimismo e la serena cantabilità («l'humus liederistico» per dirla con Giovanni Carli Ballola) di questa sonata che prepara la strada agli ultimi cinque capolavori beethoveniani del periodo 1816-1822.

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 13 maggio 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 ottobre 1992

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Ultimo aggiornamento 13 marzo 2014