Sonata per pianoforte n. 4 in mi bemolle maggiore, op. 7


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro molto e con brio
  2. Largo, con gran espressione (do maggiore)
  3. Allegro
  4. Rondò. Poco allegretto e grazioso
Organico: pianoforte
Composizione: 1796
Edizione: Artaria, Vienna, 1797
Dedica: Contessa Anna Luise Barbara Keglevics von Buzin
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Alla metà degli anni Novanta del 1700, il venticinquenne Beethoven era già un protagonista della vita musicale viennese; le sue doti eccentriche di pianista e improvvisatore lo avevano imposto presso le élites culturali della capitale; le lezioni di composizione prese da Haydn erano state proficue più per il confronto con la personalità del vecchio autore che per gli esiti strettamente compositivi, e forse il giovane allievo salutò con sollievo la partenza per Londra del maestro nel 1794. Ad ogni modo non era certo un omaggio formale la dedica ad Haydn delle prime Sonate per pianoforte composte da Beethoven, le tre Sonate op. 2. L'omaggio infatti valeva a rivendicare una continuità stilistica con l'illustre predecessore; Haydn, però, non era mai stato un pianista di professione, e le sue Sonate pianistiche erano principalmente destinate al vasto mercato dei "dilettanti", i rampolli dei ceti alti per i quali la musica era parte integrante del progetto formativo. Anche a questo si deve il carattere prevalentemente decorativo ed intrattenitivo del pianismo haydniano.

Tuttavia un'enorme distanza separa le Sonate pianistiche di Haydn dalle prime composizioni di Beethoven in questo genere. Le Sonate del giovane Beethoven infatti si contraddistinguevano per due caratteristiche: la difficoltà tecnica, che ne precludeva a priori la diffusione presso i dilettanti e ne indicava i veri destinatari in musicisti e intenditori, e l'impianto in quattro movimenti, evitato sia da Haydn che da Mozart. Beethoven rendeva insomma la Sonata un genere di grandi ambizioni, pienamente accostabile per dignità al Quartetto e alla Sinfonia, i generi più illustri e complessi della civiltà del classicismo.

A distanza di un anno e mezzo dall'opera 2, nell'ottobre 1797, l'editore Artaria dava alle stampe la Sonata in mi bemolle maggiore op. 7, da poco terminata. Isolata fra i due grandi cicli dell'opera 2 e dell'opera 10, questa Sonata mira ad un potenziamento delle precedenti esperienze, e si riallaccia in particolare, per il carattere, alla seconda Sonata del primo ciclo.

L'iniziale Allegro molto e con brio, in particolare, amplia ancora di più le prospettive della costruzione, con una accumulazione di idee principali (gli accordi discendenti e la successione di terzine per il primo tema, una sorta di Corale per il secondo) e secondarie, che è un tratto peculiare degli anni giovanili del maestro, e che appare qui poco meno che pletorica. Di vaste dimensioni sono soprattutto le sezioni di esposizione e riesposizione del materiale, in confronto alle quali è quasi esiguo lo spazio dello sviluppo.

Il Largo, con gran espressione (in do maggiore) è una pagina solenne, con due sezioni esterne che procedono in modo assorto e frammentario; queste incorniciano una sezione centrale (in la bemolle) che sfrutta la stessa tecnica (accordi appoggiati sorretti dal basso staccato) dell'op. 2 n. 2.

Lo scorrevole Allegro che segue è interessante soprattutto per la sezione centrale, un succedersi di rapidi arpeggi spezzati che mirano alla macchia timbrica.

Il Rondò finale, Poco allegretto e grazioso, è fra i più riusciti del suo genere, per il carattere del refrain (lunga melodia discendente su pedale ribattuto di dominante) e il calibrato impianto, che vede un solo couplet, il secondo, nettamente contrastante. C'è già, in questo Rondò, quella perfetta costruzione che attribuisce a ogni riapparizione del refrain una sorta di valore aggiunto, che non è dato solo dalle variazioni ornamentali, ma dalle differenti strumentazioni del tema, protagonista di una sorta di "viaggio" espressivo ed emotivo; è questa la tecnica che porterà, attraverso gli esiti più disparati, fino al Rondò della Sonata op. 90.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composta nel 1796 e pubblicata nel 1797, la Sonata in mi bemolle risale ai tempi della gaia vita viennese. Beethoven è alloggiato dal principe Lichnowsky, ed è già l'idolo musicale dell'aristocrazia, il primo Allegro prefigura, nel fluire gioioso delle immagini, alternato al cantabile romantico della seconda idea. Il vigore fantastico della Waldstein-Sonate. Il Largo cede alla retorica del cantabile, e la melodia dilaga oltre la forma strofica del Lied; riprende fiato quando la cadenza parrebbe condurla al riposo. La espansione affettiva si concreta in una scrittura pianistica a grandi contrasti dinamici, che si direbbe prefigurino i timbri dell'orchestra. Il secondo Allegro è il primo modello compiuto di Scherzo beethoveniano. La sezione principale ne presenta la caratteristica discorsività, il gioco di domande e risposte articolato sulle cellule ritmiche elementari. Il Trio in minore, una sequenza di accordi spezzati a terzine, funge da contrasto. Il Rondò rimanda agli incanti del giovane romantico, con un ruggito nel couplet centrale in do minore, ed un colpo di genio nella introduzione della coda: una ripresa oscura in si maggiore, che nel modulare al mi bemolle darà all'instaurarsi della tonalità principale una ineffable euforia. Secondo una tradizione che risale ai tempi di Beethoven, la Sonata è definita «l'amorosa».

Gioacchino Lanza Tommasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 novembre 2006
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 28 marzo 1973

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Ultimo aggiornamento 26 giugno 2015