Sonata per pianoforte n. 5 in do minore, op. 10 n. 1


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro molto e con brio
  2. Adagio molto (la bemolle maggiore)
  3. Prestissimo
Organico: pianoforte
Composizione: 1795 - 1798
Edizione: Eder, Vienna 1798
Dedica: Contessa Von Browne
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Prima Sonata dell'opera 10 adotta la stessa tonalità di do minore della Sonata K. 457 di Mozart, verso la quale mostra qualche debito, come nell'intonazione iniziale dell'Allegro molto e con brio; questo movimento mostra un passaggio graduale dalla drammaticità del primo tema alla limpida melodia su basso albertino del secondo, procedimento che assume nella ripresa nuove implicazioni espressive grazie alle modulazioni continuamente cangianti; lo sviluppo segue l'ambientazione prevalente del movimento, ma, dopo un richiamo iniziale al primo tema, è tematicamente autonomo. Anche l'Adagio molto ha una impostazione mozartiana, con una tenera melodia a quattro voci che viene variata nell'accompagnamento ad ogni riapparizione (nella ripresa e nella coda). Il breve Finale, Prestissimo, è in forma sonata, e si basa sulla netta contrapposizione dei due temi, una melodia all'unisono, frammentaria e sussurrata, e una trasformazione di questa in senso affermativo, con un forte profilo ritmico; il brevissimo sviluppo è basato unicamente sul primo tema; la conclusione, preceduta da una pausa di sospensione, è, nella sua studiata semplicità, fra le soluzioni più interessanti dell'intera Sonata.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composte nel 1797, un anno prima della svolta decisiva rappresentata dalla «Patetica», le tre sonate op. 10 videro la luce nel settembre dell'anno seguente, per i tipi dello Eder, in Vienna.

La prima, in do minore, esce anche meno delle compagne dallo schema tradizionale.

Piuttosto breve, punta su una essenzialità di discorso che le precedenti sonate (le tre dell'op. 2 e Top. 7) non dimostrano a questo grado. Per la prima volta nella serie delle sonate pianistiche, qui Beethoven elimina minuetto o scherzo, concentrando la sua dialettica, esemplarmente, in uno schema triadico.

Fu subito criticata, dai recensori contemporanei, la decisa ruvidezza che si equivocò per sciatteria. In realtà, l'Allegro molto e con brio contrappone i due temi nel più deciso dei modi: il tema ritmico, vigorosamente puntato, contrasta con il melodico, cui peraltro la costante legatura del terzo valore sul primo della battuta seguente dà un leggero senso di inquietudine, che certo dovette riuscire sgradito ad orecchie formatesi su Haydn e Mozart.

Anche più beethoveniano l'Adagio molto, per il quale i confronti d'obbligo col Mozart della Sonata K. 457, anch'essa nella stessa tonalità «drammatica», sono più che mai sfocati. Anche nell'uso largo di tratti ornamentali, Beethoven è più preoccupato dell'increspatura generata dall'introduzione improvvisa di valori più brevi che dalla necessità di legarli col resto, e non manifesta la fluidità dei passi mozartiani analoghi.

Il divario, che è già fin qui notevole, si accentua nel Finale. Il tema è un inciso, quasi una sigla, di massima pregnanza. La violenza delle scalette, la forza delle ottave, il drammatismo delle ottave spezzate, sotto cui canta il tema alla mano sinistra, sono cose nuove, di una scrittura arruffata e patetica. Anche più nuova l'interruzione del flusso rapido per due battute, adagio, verso la fine, in una contrapposizione tagliente di pianissimo misterioso e forte risoluto, quale anticipo minimo della sonata che si fonderà essenzialmente su tale artificio, la 31 n. 2.

Mario Bortolotto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 22 Novembre 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 13 maggio 1971

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Ultimo aggiornamento 6 giugno 2013