Benché trattate con sufficienza dai compilatori dei «cataloghi ragionati» delle opere beethoveniane e trascurate, per la loro relativa facilità, dai concertisti, ad un alto livello stanno le due «piccole» Sonate op. 14, pubblicate nel 1799. Beethoven stesso dovette tenerle in gran conto, se in una pagina dei quaderni di conversazione del 1823 si dilunga a illustrarne la struttura e le caratteristiche stilistiche ed espressive a Schindler, richiamando l'attenzione di questi suoi «due principi» (ossia, il «principio d'opposizione» e il «principio implorante») presenti nell'op. 14, come «nella parte centrale [del primo tempo] della Patetica». Per facilitare la comprensione di tali concetti che, a quanto pare, riuscivano ardui non soltanto a Schindler («Migliaia di persone non lì afferrano affatto», dice infatti, quasi per scusarsi della sua poca perspicacia, il famulus del maestro), Beethoven era ricorso come già per il Largo dell'op. 10 n. 3, ad una immagine di efficace immediatezza, paragonando le due Sonate a «un dialogo tra un uomo e una donna, tra un amante e la sua amica». E in realtà, nei primi movimenti delle due Sonate op. 14, la dialettica tra i due temi fondamentali, se può sembrare meno appariscente, proprio per questo risulta più sottile e approfondita.
Ciò è vero soprattutto per la prima di esse, in mi maggiore, nel cui Allegro le idee sbocciano (spontaneamente l'una dall'altra in un clima di ininterrotto incanto melodico e di raccolta intimità cameristica e il cui soave Allegretto centrale, in mi minore, con la consolante carezza del Trio in do maggiore, sembra presagire Schubert. Altro elemento preschubertiano di quest'opera, sotto molti aspetti unica, è l'assenza, nel primo tempo, di un vero sviluppo sostituito da un episodio lirico a sé stante e privo di qualsiasi relazione tematica col resto del brano.