Sonata per violino e pianoforte n. 10 in sol maggiore, op. 96


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro moderato
  2. Adagio espressivo (do minore)
  3. Scherzo. Allegro (sol minore)
  4. Poco Allegretto
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1812
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 29 Dicembre 1812
Edizione: Steiner, Vienna 1816
Dedica: Arciduca Rodolfo
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'op. 96 è la decima e ultima delle Sonate per violino e pianoforte di Beethoven. Interrotta dopo il primo tempo nel 1810, fu portata a termine nel 1812 e il 20 dicembre di quell'anno se n'ebbe la prima esecuzione in casa del principe Lobkowitz, interpreti l'Arciduca Rodolfo e il violinista francese Rode, la presenza del quale a Vienna si vuole sollecitasse Beethoven a finire più rapidamente il lavoro. Le doti di questo, uno dei più celebrati concertisti dell'epoca, sembrano inoltre trasparire dalla tecnica ad alto livello richiesta specie dal quarto tempo. Mentre del nessun sacrificio che ne venne alla supremazia degli interessi d'ordine compositivo attestano i tratti che distinguono la decima Sonata.

Più ampia delle precedenti, lontana dalla Stimmung drammatica della Sonata a Kreutzer, essa s'avvicina piuttosto sotto il punto di vista formale all'ideale di unità perseguito dal pressoché contemporaneo Quartetto Op. 95. Salvo a differenziarsi anche da questo a causa del carattere di un'ariosa serenità senza nubi. Tanto compiutamente espresso da indurre D'Indy a collocare l'op. 96 nel novero degli esempi di quel che potè l'amore della natura nella cosiddetta seconda maniera di Beethoven. E quindi, ad istituire un parallelo con la Sinfonia Pastorale.

Già nell'Allegro moderato la dialettica del primo tempo di sonata non ha il rilievo consueto; sfumandone i termini, le idee si concatenano l'una all'altra nello svolgersi di un discorso disteso, confidente, che appena increspa l'eco di motivi marziali. A sua volta l'Adagio espressivo in forma di Lied, intriso di melodia, traduce il tempo d'abitudine consacrato alle gravi meditazioni nel quadro di un idillio agreste. Indi, a simiglianza appunto della VI Sinfonia, l'Adagio si salda immediatamente allo Scherzo, Presto, mediante l'irrompere di vividi ritmi, alquanto rudi nella prima parte del tempo, illeggiadriti e quasi cittadini lungo il Trio. Ma nessuna tempesta interviene qui a fugarli. Il Poco Allegretto finale può quindi prescindere dall'atto di gratitudine e invece prolungare l'assaporamento della situazione felice, prendendo norma dal tema che l'enuclea per il carattere spigliato delle variazioni successive, e contrastatarvi soltanto con un episodio Adagio dalla quieta dolcezza. Poi, conclusa questa parentesi, il ritorno al tempo 1° vede il tema stimolare nuovamente il brioso incalzare delle ultime tre variazioni.

Emilia Zanetti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con Mozart, in piena età classica, il genere della sonata per violino e pianoforte cessa di presentarsi come un gioco formale in cui la questione è il prevalere virtuosistico dell'uno o dell'altro strumento, ma si offre invece all'esperienza del compositore come un mezzo espressivo particolarmente incisivo: rapido, essenziale, non "secco" come la scrittura solistica, ma neppure "ridondante" come quella orchestrale. Beethoven porta ancora più in là questo carattere, integrando in modo nuovo i livelli dell'espressività e del virtuosismo, dunque un aspetto "arcaico" e uno "moderno" del linguaggio che unisce in duo il violino e lo strumento a tastiera. Nelle sue prime Sonate per violino e pianoforte, pubblicate nel 1799 (op. 12), aveva affidato al pianoforte un ruolo preponderante, riservando al violino per lo più un compito di ripieno. Successivamente, in piena coerenza con un'evoluzione stilistica che riguarda la sua musica a più ampio raggio, Beethoven mostrò anche nel campo della Sonata per violino e pianoforte la tendenza a trattare l'insieme strumentale come un organismo completo, dotato di un suo carattere e di un suo amalgama complessivo, nel quale trovano spazio melodie lunghe, irregolari, cantabili, spesso risultanti da un mosaico di idee minori contenute all'interno di quelle stesse melodie, e passibili di autonomo sviluppo in un lavoro di elaborazione addirittura miniaturistico. Gli strumenti sono tessere essenziali e non semplici accessori di questi mosaici: se in epoche precedenti era consueta la pratica di adattare al duo o al trio lavori nati per altre destinazioni strumentali, con Beethoven la musica tiene conto dello specifico carattere degli strumenti e non accetta facili trasposizioni. Per lui, scrivere un brano per violino e pianoforte significa valorizzare al massimo grado il dialogo fra i due strumenti, come pure esasperarne i contrasti, far sì la relazione fra i due protagonisti di una composizione possano esservi occasioni di litigio o di riconciliazione, di competizione o di dialogo.

Naturalmente questa è l'acquisizione ultima delle sonate di Beethoven, è la caratteristica che si ritrova in massimo grado nella Sonata a Kreutzer, l'op. 47, o nell'ultimo dei suoi lavori dedicati a questa formazione, l'op. 96. Questa viene scritta nel 1812, dunque dieci anni dopo la Sonata a Kreutzer e nel pieno di un periodo di trasformazione di cui la Sonata op. 96 rappresenta un singolare contrappeso. Anche se non si può parlare di un vero e proprio ritorno ai modelli del passato, infatti, Beethoven compie un passo indietro rispetto all'acceso sperimentalismo della Sonata a Kreutzer e costruisce una composizione improntata essenzialmente a criteri di regolarità e chiarezza espositiva. L'Allegro moderato iniziale, per esempio, osserva alla perfezione le proporzioni classiche, avendo come unico elemento inconsueto il trillo interrogativo dei due strumenti proprio in apertura di brano. La rapsodicità di questo inizio si trasmette come impressione anche ai temi esposti successivamente, per quanto in essi non vi sia nulla di improvvisativo e domini anzi un rigoroso schematismo. Più libero l'Adagio espressivo, con la splendida melodia del pianoforte raccolta poi dal violino e sviluppata in una serie di quattro episodi musicali che disegnano progressivamente la fisionomia di un Lied. Lo Scherzo è agitato, come di consueto, ma è meno irregolare di altre pagine beethoveniane e ha piuttosto il suo unico motivo di originalità nel passaggio alla tonalità di sol minore, momentaneo rabbuiamento dell'impostazione armonica della composizione. Senza molto discostarsi dalla tradizione, nel Poco Allegretto conclusivo Beethoven mescola la forma del rondò e quella del tema con variazioni. Beethoven vi lavora dando sfogo a tutto il virtuosismo della sua capacità di elaborazione e costruendo con questo finale il movimento senza dubbio più interessante dell'intera Sonata.

La prima esecuzione di quest'opera ebbe luogo a Vienna il 29 dicembre del 1812 nel palazzo Lobkowitz, con Pierre Rode violinista (pensando alle sue doti tecniche ed espressive Beethoven aveva scritto questo brano) e con al pianoforte l'Arciduca Rodolfo, il più illustre allievo di Beethoven. È significativo notare che se da un lato, nel corso dell'Ottocento, la Sonata a Kreutzer ha avuto una vasta fortuna letteraria e ha conosciuto anche tentativi di trascrizione orchestrale (da Eduard Marxsen, il maestro di Brahms, a Ciaikovksij), la Sonata op. 96 è stata invece quella prediletta dagli interpreti di maggior prestigio, da Joseph Joachim, che la suonava in coppia con Brahms, allo stesso Rudolph Kreutzer, che invece guardava con un certo sospetto la Sonata a lui dedicata. È il sintomo della preferenza attribuita all'equilibrio rispetto alla destabilizzazione, alla perfezione formale rispetto alla rottura, della forma. Ed è un segno di come l'arte di Beethoven, per quanto universalmente amata ed apprezzata, fosse in realtà avvertita come qualcosa di rivoluzionario anche molto al di là dell'epoca in cui era stata scritta e dovesse attendere ancora molto tempo prima di essere definitivamente assimilata dalla cultura musicale europea.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 19 Aprile 1963
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 dicembre 2004

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Ultimo aggiornamento 22 maggio 2013