Trio per pianoforte n. 4 in si bemolle maggiore, op. 11


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro con brio
  2. Adagio (mi bemolle maggiore)
  3. Allegretto con variazioni
Organico: pianoforte, clarinetto (o violino), violoncello
Composizione: 1797
Edizione: Mollo, Vienna 1798
Dedica: Contessa Maria Wilhelmine von Thun
Guida all'ascolto 1

Il Trio in si bemolle maggiore op. 11, anche se composto inizialmente per pianoforte, clarinetto e violoncello, fa parte integrante dei Trii per archi e pianoforte, in quanto il violino divenne quasi subito l'alternativa ufficiale al clarinetto. Il noto studioso beethoveniano Riezler pone l'accento sulla "banalità" di questo Trio poiché, a suo avviso, dimostrerebbe «soltanto la sua bravura... la perfezione delle forme esteriori e la piacevole naturalezza melodica». Un siffatto giudizio negativo scaturisce dal confronto con la produzione più matura del compositore e non rende giustizia al valore intrinseco del Trio che possiede, invece, i tratti distintivi della produzione giovanile di Beethoven. Il Trio fu composto nel 1798 ed è formato da tre tempi.

Nell'Allegro con brio che apre la composizione il primo e il secondo tema dell'esposizione riflettono il contrasto abituale della musica dell'epoca tra un esordio marziale e affermativo e una risposta dal carattere più cantabile. Secondo una tradizione consolidata (Haydn) il passaggio dalla tonica (si bemolle maggiore) alla dominante (fa maggiore) avviene attraverso la dominante della relativa minore (re), un espediente che, nonostante l'uso frequente in questo genere di musica, crea un disorientamento nell'ascoltatore; da un lato aumenta la sorpresa tematica e dall'altro segnala il sopraggiungere di qualcosa di nuovo (la seconda idea, appunto). Lo sviluppo, piuttosto breve, concede ampio spazio al pianoforte che utilizza ripetutamente gli accordi spezzati fino alla ripresa, che si presenta perfettamente simmetrica all'esposizione.

Nell'Adagio l'esordio è affidato al violoncello nel registro acuto in modo da favorire la cantabilità del tema, sapientemente studiato nei rapporti tra suono e respiro (pausa). Beethoven anticipa, qui, certi stati d'animo della musica schumanniana, specie nel trattamento del pianoforte utilizzato in tutta la sua estensione, dinamica e di registro.

L'Allegretto finale è formato da una serie di variazioni il cui tema (preso da una famosa opera comica del tempo, L'Amor marinaro di Joseph Weigl, 1797) ispirò anche autori come Hummel e Paganini. La prima e la seconda delle nove variazioni presentano gli strumenti separatamente (prima il pianoforte e poi violoncello e violino), quasi che Beethoven volesse far ascoltare le qualità dell'organico prima di reimmeggersi nell'equilibrato gioco a tre.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 1)

Il Trio op. 11 per pianoforte, violino e violoncello venne scritto da Beethoven fra il 1797 ed il 1798. L'indicazione strumentale sul frontespizio dell'edizione a stampa reca la dicitura «per clarinetto o violino»; anche se è più frequente, in concerto e in disco, la versione col clarinetto, quella che presentiamo, col violino, non è priva di fascino e interesse. Pagina serena e scorrevole, articolato nei canonici tre movimenti, il Trio op. 11 si apre con un Allegro con brio tematicamente molto compatto e privo di contrasti interni, prosegue con un Largo centrale molto lirico, dove spicca il timbro caldo del violoncello, e termina con un piroettante Tema con variazioni, omaggio beethoveniano a una melodia all'epoca molto popolare.

Il primo movimento prende le mosse con un energico "gesto" musicale: tre note lunghe che salgono cromaticamente seguite da un arpeggio staccato discendente. Beethoven gioca sull'ambiguità del cromatismo, a metà tra le tonalità di si bemolle maggiore e quella di sol minore. Più cantabile appare il tema secondario, giocato in dialogo prima fra violoncello e violino, poi fra pianoforte e violino. Alcuni accordi del pianoforte, misteriosi e tonalmente ambigui, preparano il secondo tema, esposto dal violino e ripreso dallo stesso pianoforte; poi, prima di giungere alla coda dell'esposizione, i tre strumenti si abbandonano a un episodio dalla scrittura brillante e virtuoslstica, pieno di gioia di vivere. Lo sviluppo si apre coi misteriosi accordi del pianoforte e prosegue con l'elaborazione dell'arpeggio discendente del primo tema, che circola fra i tre strumenti in progressioni modulanti, scandite ritmicamente dal tappeto di semicrome del pianoforte. La ripresa corre regolare fino alla coda conclusiva.

Il Largo centrale è una pagina di intensa cantabilità, nella quale i timbri caldi di violoncello e violino si fondono magistralmente con gli avvolgenti arpeggi del pianoforte. Il tema principale viene affidato dapprima al violoncello, sostenuto dai delicati accordi del pianoforte, poi al violino, arricchito dalle imitazioni del pianoforte e dagli arpeggi del violoncello. La quiete musicale viene meno soltanto nel breve episodio centrale in mi bemolle minore, ma è solo un attimo; il ritorno del tema principale, che chiude la pagina, è timbricamente magico: il canto è ora al violoncello, sostenuto dal controcanto del violino e dal rigoglioso accompagnamento del pianoforte (arpeggi, ottave spezzate).

L'ultimo movimento è costituito da un Tema con variazioni dal carattere brillante e virtuosistico. Il tema è quello dell'aria "Pria ch'io l'impegno" tratta dall'opera di Joseph Weigl L'amore marinaro, ossia il Corsaro, rappresentata a Vienna nel 1797. Era un'aria così celebre a quel tempo che il Trio op. 11 di Beethoven è conosciuto anche col nome di "Gassenhauer Trio", dove con Gassenhauer si intende una canzone da hit-parade. Ed effettivamente il motivo di Weigl, semplice ma efficace, è accattivante ed entra immediatamente nelle orecchie dell'ascoltatore. All'esposizione del tema seguono poi nove variazioni; la prima è affidata al pianoforte solo, la seconda invece è condotta in imitazione fra violoncello e violino. La terza variazione, forte con fuoco, è impetuosa e virtuosistica, mentre la quarta, in minore, è giocata su delicati accordi del pianoforte cui rispondono mestamente violino e violoncello. Torna la scrittura brillante nella quinta variazione, dominata dalle impetuose scale in ottava del pianoforte, mentre nella sesta variazione il tema viene "spezzato" fra i tre strumenti che lo ripresentano a singhiozzo. Ritroviamo lo spirito eroico beethoveniano nella settima variazione, ancora in minore, coi drammatici salti d'ottava del violoncello e del violino sopra gli insistiti accordi in ritmo puntato del pianoforte. L'ottava variazione è meravigliosamente calda e cantabile nelle voci del violino e del violoncello; l'ultima riprende il tema originale e lo arricchisce con lunghi e gioiosi trilli del pianoforte sopra le vivaci imitazioni fra i due archi. Il finale è un Allegro che riprende il tema di Weigl in un saltellante e spensierato ritmo ternario.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

Il Trio op. 11 di Beethoven, dedicato alla contessa Von Thun, fu stampato nel 1798, cioè a distanza di tre anni, dalla pubblicazione del primo gruppo di tre Trii. A quel tempo si erano già manifestati i primi sintomi della malattia all'udito che doveva segnare d'una impronta tragica tutta la sua vita ulteriore (nel testamento del 1802 Beethoven dice infatti che il male era già in atto da sei anni). Ma fin dall'inizio egli aveva trovato la forza di reagire alle avversità del destino e già nel 1796 si può leggere sul suo taccuino: «Coraggio! Malgrado tutte le debolezze del corpo, il mio genio trionferà... Venticinque anni! Eccoli, venuti!... Bisogna che quest'anno stesso l'uomo si riveli tutto intero».

Da tali premesse affettive risulterà la tensione dialettica che informa tante musiche della sua prima maturità e che erompe per la prima volta nella terza Sonata per pianoforte e sopratutto nella Patetica. In queste opere si sente che la gioia in cui si risolve la vicenda musicale non è uno spontaneo dono della sua natura o della grazia, ma il frutto d'una dura lotta, d'una conquista propiziata dalllntervento decisivo della volontà. Ma accanto a tali opere, per alcuni anni ancora Beethoven comporrà delle musiche intimamente serene, che sembrarlo appartenere ad un suo tempo interno anteriore alla presa di coscienza della *sua drammatica condizione.

Tali sono infatti il sorridente Settetto (1800) e la limpida Prima Sinfonìa (1800), e tale è anzitutto il presente Trio, che il Buenzod, cita appunto tra le «musiche più felici» di Beethoven.

Composto in doppia versione (il violino può sostituirsi al clarinetto), il Trio s'apre con un motivo che anticipa un poco il tema della Sonata per pianoforte e violoncello op. 69, ma che nei suoi sviluppi assume degli aspetti che presagiscono il lirismo schubertiano. La scrittura pianistica, in certi punti assai densa, acquista nella parte centrale dell'Adagio ampiezze orchestrali e si sostanzia di accenti e inflessioni che precorrono ugualmente «il romanticismo post-beethoveniano» (Bruers). Il tono generale di questo meraviglioso tempo lento è improntato a quella sublime intensità espressiva, a quella solennità che ha fatto dire giustamente al Torrefranca: «L'intonazione chiesastica.... è una caratteristica italiana che ritornerà nel Beethoven, del quale gli Adagio sono tanto profondi di significato perchè sostenuti da un alito di religiosità. La Sonata da chiesa s'è fusa con quella da camera in un tutto che rivive insieme l'aspirazione al divino e la volontà di vita, trasfondendole a vicenda l'una nell'altra». L'ultimo tempo è costituito da una serie di Variazioni sopra un tema tratto dall'opera L'Amore Marinaro (ovvero Il Corsaro per amore) di Joseph Weigl, un compositore nato in Ungheria nel 1766 e morto a Vienna nel 1846, che fu condiscepolo di Beethoven da Albrechtsberger e Salieri. L'opera in questione era stata rappresentata a Vienna nell'ottobre 1797, e fu l'editore Artaria che chiese a Beethoven di scegliere il motivo dell'Aria Pria che io l'impegno, come tema per le Variazioni con le quali si conclude questo Trio. Secondo la testimonianza di Carlo Czerny, Beethoven si rammaricò in seguito di non aver completato il lavoro con un finale susseguente alle Variazioni. Comunque il Trio non dà affatto l'impressione d'essere monco o incompiuto e le nove variazioni sul tema leggiadro e spiritoso del Weigl, lo concludono più che degnamente, costituendo un saggio estremamente interessante di quella che sarà la formidabile arte della variazione di cui Beethoven darà ancora tante prove in seguito. La prima variazione è scritta per pianoforte solo e più che una variazione in senso stretto è una liberissima cadenza dove - il tema è già completamente travolto e assorbito nel mondo proprio di Beethoven, al punto da non conservare che una sua vaga impalcatura armonica. Nella seconda variazione il pianoforte tace e solo i due archi eseguono una breve frase ripetuta in stile imitativo, dove lo spunto iniziale ha già acquistato una nobiltà d'espressione di cui il temino di Weigl non sembrava di certo capace di rivestirsi. Dopo una terza variazione attaccata dai tre strumenti «con fuoco» e con energia veramente beethovehiana, la quarta traspone il tema in minore e lo configura come un dialogo, sommesso, ma patetico, tra il pianoforte e i due strumenti a corda. La quinta variazione (Maggiore) si presenta quasi come un «Corale figurato», dove il pianoforte circonda con rapide scale gli accordi strappati del violino e del violoncello. Nella sesta variazione un delizioso ingranaggio per controtempi tra il piano e gli altri due strumenti riporta il discorso alla spigliatezza e allo spirito del tema, prima che nella settima Beethoven lo volga nuovamente in minore, ritmandolo nel modo più marcato e plasmando la linea degli archi in modo che essa assume significati di gesti e d'interiezioni. Nell'ottava variazione nuovamente in tono maggiore, è un'ampia voluta melodica sostenuta dolcemente dagli archi, sovrasta contrappuntisticamente il rude basso del pianoforte. La nona e ultima è una variazione doppia: ad una prima parte che esordisce con un ampio e vigoroso, canone proposto dal pianoforte (che circonda poi la sua prosecuzione svolta dagli archi con una luminosa cascata di trilli e arabeschi), segue, un vivace Allegro, che conclude il Trio nel modo d'una spigliata Tarantella di esuberante vitalità.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 269 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 1 dicembre 1952

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Ultimo aggiornamento 25 marzo 2016