7 Variazioni in mi bemolle maggiore per violoncello e pianoforte, WoO 46

sul tema "Bei Männern, welche Liebe fühlen" dell'opera "Die Zauberflote" di Wolfgang Amadeus Mozart

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: 1801
Edizione: Mollo, Vienna 1802
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Composte nel 1801 e pubblicate a Vienna nel 1802 con dedica al conte Johann Georg von Browne, le Variazioni Wo O 46, lavorate con estrema cura e, si sarebbe detto un tempo, con estrema "distinzione", sembrano a noi, nel contesto dell'opera di Beethoven, un controsenso. Lo schema architettonico non presenta le novità delle Variazioni Wo O 45, l'invenzione di situazioni contrastanti non è così felice come nelle Variazioni op. 66, il linguaggio non è lontano da quello dei kleine Meister, dei piccoli maestri viennesi che dall'infinito della classicità stavano ricavando lo spazio del Biedermeier. A parer nostro comincia a delinearsi qui il concetto di Variazione come parodia stilistica: parodia, intendiamo, nel senso di ricreazione basata sull'analisi e sulla catalogaziene di stili ormai oggettivati, non nel senso di deformazione ironica o grottesca. La parodia giocherà un ruolo di grande rilievo nel lavoro culminante di Beethoven nel campo della Variazione, le Variazioni su un Valzer di Diabelli op. 120. Ma nelle Variazioni Wo O 46 Beethoven non sembra avere piena coscienza delle potenzialità della parodia, e solo nella terza Variazione - sempre a parer nostro - riesce a definire la ricreazione stilistica in maniera veramente compiuta.

L'ultima Variazione dell'op. 66, come abbiamo detto, era amplificata. Dopo l'ultima delle Variazioni Wo O 46 Beethoven apre una Coda che inizia in do minore e che si sviluppa ampiamente, con aperture stilistiche verso il mondo delle Sonate op. 30 per pianoforte e violino che non si erano notate nel corso dell'opera. Molto mondana è la conclusione, con un teatralissimo effetto di allontanamento contraddetto da due clamorosi accordi finali.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Già autore di due importanti sonate per violoncello e piano - le due dell'opera 5 - Beethoven, tra il 1796 e il 1801, scrisse per gli stessi strumenti tre serie di variazioni. Per una di esse scelse un tema dal «Judas Makkabäus» di Händel, mentre per le altre due adottò temi del «Flauto Magico» e precisamente l'aria di Papageno nel secondo atto e il duetto Pamina-Papageno nel primo. Queste ultime variazioni furono probabilmente scritte nel 1801 e comparvero presso l'editore Mollo l'anno seguente. Scopo dell'opera è mettere in luce la bravura di qualche virtuoso, e vi si ammira, pur nei limiti di una composizione decisamente minore, la sagacia nello sfruttamento delle risorse del violoncello. Il tema è esposto già in una variante canonica, mentre le prime due variazioni si addentrano sempre più in brillanti arabeschi. Per contrasto la terza variazione è spiccatamente melodica e prepara la quarta che ha accenti drammatici. Ancora in contrasto tra loro sono la vivace quinta variazione e la sesta dai toni pacati e contemplativi. Infine la settima variazione, allegro non troppo, viene seguita da una coda che è di per sé il pezzo più lungo della composizione. Si può dire che soltanto in questa coda Beethoven si appropri del tema mozartiano e ne estragga un materiale del tutto personale e lo animi con una grande foga inventiva.

Bruno Cagli

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Composte probabilmente in concomitanza con una rappresentazione viennese del Flauto magico nel 1801, e pubblicate l'anno successivo a Vienna dall'editore Mollo con la dedica al conte Johann von Browne, altro protettore del giovane Beethoven, queste Variazioni sono ben lontane dal clima delle Sonate op. 102, riportandoci decisamente nel cuore della 'prima maniera': quelle delle Sonate op. 5 e degli altri due cicli di Variazioni. Anche rispetto a lavori coevi d'altro genere, esse si mantengono su un piano più disimpegnato: non troviamo molto, in esse, che le apparenti a pagine come la Prima o la Seconda sinfonia, che sono giusto di questi anni, o alle Sonate per pianoforte opp. 27, 28 o 31. Tuttavia in questo ciclo, forse il più interessante fra i tre, si comincia a constatare un atteggiamento verso la Variazione che supera, in qualche modo, i limiti stilistici e tecnici che condizionavano questa forma nei termini di una musica d'intrattenimento, per proporsi come opera di originale intervento creativo, anche sul piano dell'espressione. Il motivo, di grazia semplice e celestiale, del duetto fra Pamina e Papageno nel secondo atto del Flauto magico attraversa in breve spazio vicende tutt'altro che scontate: i due strumenti vi dialogano con succosa ricchezza di scambi, configurando la definizione di un rapporto timbrico ed espressivo quanto mai fecondo, che dimostra la consapevolezza ormai acquisita da Beethoven, dopo quattro prove successive, delle possibilità offerte da questa formazione. Sicché in esse si dovrà ravvisare la migliore premessa dei risultati, senz'altro incomparabilmente maggiori, che il compositore avrebbe raggiunto sette anni dopo con la grande Sonata op. 69.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 1 febbraio 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 febbraio 1977
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentono,
Firenze, Teatro della Pergola, 1 giugno 1988

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Ultimo aggiornamento 31 marzo 2016