Nella produzione pianistica beethoveniana le composizioni in forma di variazione sono ventuno e alcune di esse hanno raggiunto, al di là di certi limiti dettati da un preciso schema formale, un'ampiezza di costruzione e una compiutezza espressiva tali da aprire nuovi sviluppi a questo particolare tipo di discorso musicale. Basti ricordare le trentadue Variazioni in do minore, le quindici Variazioni in mi bemolle maggiore con la fuga in cui appare il tema finale dell'«Eroica» e le poderose e architettoniche trentadue Variazioni in do maggiore su un valzer di Diabelli op. 120, in cui da una piccola cellula tematica si dischiude tutto un mondo interiore nei suoi contrastanti aspetti psicologici. Naturalmente le Dodici Variazioni non toccano lo stesso livello, pur rivelando una notevole freschezza di invenzione. Si tratta di un'opera giovanile composta nel 1796, durante il primo periodo del soggiorno viennese di Beethoven, ed è molto vicina come data di nascita e gusto pianistico alle Variazioni su temi di Paisiello, alle Variazioni sul «Menuett à la Viganò» (dal balletto «Le nozze disturbate» di J. Haibel) e alle prime quattro sonate per pianoforte op. 2 e op. 7.
Ricavate da un tema del balletto «Das Waldmädchen» del violinista austriaco di origine boema P. Wranitzky, le Variazioni furono scritte in origine per clavicembalo o pianoforte e dedicate dal ventiseienne autore alla contessa A. M. von Browne. E' vero che esse risentono dell'esperienza salottiera viennese e denotano alcune caratteristiche haydniane dello stile del primo Beethoven, ma non si può negare che da un tema semplice e dalla cadenza elegante, risolto ora con accenti delicati e cantabili ora con ritmi brillanti e scanditi, il musicista non sia riuscito a raggiungere momenti di personale caratterizzazione, come nella sesta variazione dagli accordi sognanti e malinconici, come nella decima dall'andamento serio e pensoso e nella dodicesima dal pigilo sostenuto e ricco di slancio.
Ennio Melchiorre