Duetto n. 7 in mi bemolle maggiore per due violini "La bona notte", G 62


Musica: Luigi Boccherini (1743-1805)
  1. Amoroso (mi bemolle maggiore)
  2. Rondò: Allegretto (mi bemolle maggiore). Allegro (do minore)
  3. Minuetto: Sostenuto (mi bemolle maggiore) - Trio (do minore)
  4. Presto assai (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 violini
Composizione: 1766 circa
Edizione: inedito

Attribuzione incerta
Guida all'ascolto (nota 1)

Nota della redazione
Riportiamo qui di seguito il commento di Mario Rinaldi che pur essendo fortemente datato, è di estemo interesse. Il programma di sala dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia è del 1963 e da allora molte cose sono cambiate. Pina Carminelli è scomparsa nel 1993 dopo aver curato l'edizione critica delle opere di Boccherini e la sua diffusione in concerto. Il commento al brano si trova nella parte finale del testo.

Il primo musicologo che suscitò interesse sul nome di Luigi Boccherini (nato a Lucca nel 1743 e morto a Madrid nel 1805) fu Louis Picquot, che pubblicò nel 1851 a Parigi un lavoro sul maestro toscano, ristampato a cura del De Saint-Foix nel 1930. Ma la valutazione del compositore non risultò del tutto esatta, tanto è vero che Fausto Torrefranca, proprio in quello stesso anno, pubblicava importanti osservazioni nel suo volume «Le origini italiane del Romanticismo musicale», mettendo in rilievo alcuni aspetti del musicista - in particolare quello pianistico - che per tanto andava considerato un precursore di Mozart, a maggior ragione del Clementi. Il Torrefranca insisteva nella sua tesi, analizzando l'opera V del maestro lucchese, pubblicata a Parigi nel 1768 e dedicata a Mad.rne Brillon de Jouy. Tutto qui l'interesse del compianto musicologo? No davvero, ed egli lo fece comprendere con queste righe: «Boccherini lo studieremo a suo tempo, quando avremo raccolto di lui il maggior numero di opere possibile». E sappiamo infatti che egli, negli ultimi anni della vita, lavorò sul Quartetto boccheriniano.

Fausto Torrefranca si stupiva che tanto autore fosse stato così trascurato dagli storici della musica - dimenticando forse un po' troppo i lavori del citato Picquot, del Cerù, dello Sohletterer, del Malfatti, del Sondheimer e del Bonaventura - dopo le numerose attestazioni sul compositore fatte nel primo Ottocento. Si stupiva perchè considerava il Boccherini «un punto obbligato di passaggio» imposto dall'opera ancora sconosciuta. Si meravigliava, perchè il compositore risultava due volte spregiato: in vita, esule e avvilito dalla corte spagnola, in morte quale vittima della storiografia tedesca. Quest'ultima tesi fu quella affrontata in pieno dal musicologo, storico «nazionalista» per eccellenza. Ed egli aveva in buona parte ragione, perchè le derivazioni dalle scuole di Haydn e di Mannheim apparivano, già nel 1930, piuttosto discutibili. Perchè? Lo stesso Torrefranca lo palesò in modo assai chiaro affermando che tra l'op. 1 e l'op. 11 dovevano essere compresi quattro libri di Quartetti terminati ancor prima del viaggio a Parigi (1768). Dunque precedenza anche sul Sammartini, le cui prime Sonate a quattro risalgono al 1766-67. «Nessun autore, intorno al 1760-65, - sottolinea il musicologo - è così vicino alla musicalità dell'opera tedesca quanto il Boccherini». Dunque priorità italiana. In quanto ad accuratezza di scrittura, c'è da osservare che il maestro lucchese amasse l'impiego delle notazioni dinamiche, tanto è vero che nelle sue musiche del 1766, epoca della composizione dei primi Quartetti, già usava le espressioni: crescendo, forte, maestoso, soave, dolcissimo, tenuto ecc.

Non ostante tutte le osservazioni intelligenti e le affermazioni di notevole importanza di vari musicologi, la vera resurrezione di Luigi Boccherini si ebbe nel 1949, sei anni prima che il Torrefranca spirasse, quando il musicologo lavorava attivamente alla sua pubblicazione sul Quartetto. Auspice di questa resurrezione è stata la violinista Pina Carmirelli, la quale, nel presentarsi con il «Quintetto Boccherini», complesso da lei fondato, avvertiva:

«E' noto che il tanto geniale autore lucchese fu l'ideatore della tipica e tanto efficace formazione del quintetto; non altrettanto noto è il fatto che egli compose, durante la sua travagliata vita, oltre 150 Quintetti che costituiscono (insieme a quasi altrettanti Quartetti e Trii d'archi) il nucleo più importante della sua monumentale produzione. Di questi Quintetti solamente pochissimi sono pubblicati in edizioni moderne e reperibili, cosicché la massima parte di essi sono praticamente sconosciuti. Recentemente uno di noi ha avuto l'eccezionale fortuna di poter reperire e acquistare a Parigi la collezione completa di tutte indistintamente le prime edizioni dei suddetti Quintetti (fine del '700 e primi anni dell'800), collezione di una rarità bibliografica e di una importanza musicale eccezionale. Una prima lettura di molti di essi ci convinse che il loro valore artistico non è affatto inferiore a quello dei pochissimi del Boccherini che sono noti, anzi abbiamo constatato che la massima parte di quelli che sono del tutto sconosciuti rappresenta un blocco di autentici capolavori, non inferiori a quelli dei grandi autori tedeschi, dei quali il Boccherini è stato anzi in molti casi un genialissimo precursore. Colpiti da quella che è stata per noi una rivelazione, abbiamo senz'altro deciso la costituzione del nostro complesso, il quale avrà appunto come suo compito principale l'esecuzione e la rivalutazione di questo nostro grandissimo autore. Dato che una delle caratteristiche più singolari di queste musiche boccheriniane consiste nella loro estrema varietà di forma e d'invenzione (pur attraverso la sua costante e tanto inconfondibile personalità), ci proponiamo di eseguire preferibilmente programmi di sole musiche di Boccherini, scelte prevalentemente fra quelle del tutto sconosciute, pur non escludendo l'esecuzione di Quintetti di altri grandi autori (Haydn, Mozart, Schubert, Mendelssohn, ecc.) suoi contemporanei o successori».

Al Boccherini si doveva la forma piena del Quartetto modernamente intesa e quella del Quintetto, in quanto al suo tempo era decaduto il basso continuo per l'importanza assunta dalla viola e dal violoncello. Realizzate quattro - e poi cinque - parti reali, sviluppata la tematica, vivificata la polifonia, raggiunta una snellezza e vivacità che nessuno, nè in Italia nè in Germania, aveva ancora raggiunto, Boccherini considerò il discorso musicale qualche cosa di più di una regola tecnica; lo considerò un vero e proprio «ragionamento» tra le parti. In virtù di tutto ciò, la stessa ritmica veniva a prendere un aspetto nuovo, anzi rappresentava una delle caratteristiche personali dell'autore.

A Madrid Boccherini ebbe riconoscimenti notevoli. Federico Guglielmo di Prussia, nel 1787, gli conferì il titolo di «compositore di corte». Ma la morte del monarca segnò anche l'indifferenza generale per il musicista, che morì povero nella capitale spagnola. Eppure aveva composto 2 Ottetti, 16 Sestetti, 125 Quintetti per archi, 12 Quintetti con pianoforte, 18 Quintetti per archi e flauto (o oboe), 102 Quartetti, 60 Trii per archi, 39 tra Sonate e Duetti, 4 Concerti per violoncello, 20 Sinfonie, un'opera dal titolo «La Clementina» e altra musica profana e religiosa. Cifre definitive? Non è possibile affermarlo, dal momento che spesso si rintracciano nuovi manoscritti. Rivalutazione completa? E come sarebbe possibile affermarlo dal momento che di tutti i suoi Quintetti circa 90 sono inediti? Importante è constatare che la serie dei suoi Quintetti ebbe inizio nel 1771 con l'op. n. 10. La passione di Boccherini nel dar risalto ad ogni strumento impiegato, è documentata da un ricordo storico: quello della fondazione, dopo il viaggio compiuto a Roma, di un complesso quartettistico - in quella Roma in cui vibrava ancora l'aria corelliana - composto da Cambini, Nardini, Manfredini e da lui medesimo, così come ricorda il Cambini stesso. E Cambini volle ben precisare che se il complesso eseguiva davvero pagine di Haydn e di Boccherini, le prime non erano che le vecchie Sinfonie a quattro, mentre le seconde erano veri e propri Quartetti. Per accertarsene basterà rileggere il numero 47 dell'«Allgemeine musikaliske Zeitung» del 1804. Fu precisamente a Parigi che il maestro cominciò a stampare le sue musiche d'insieme che donò poi, a Madrid, a don Luigi principe delle Asturie e che inviò quindi in omaggio a Federico II di Prussia.

Dopo la scoperta dei Quintetti, Boiccherini non è più, per l'esteta, lo stesso personaggio di un tempo. La sua autorità è enormemente aumentata e spostamenti non piccoli, nella grande scena della storia, dovranno subire in sede critica le composizioni di Tartini, Latiila, Stamitz, Giardini, Sammartini, Giordani e Cambini. Il tempo è ormai maturo per fissare questi capitoli storici, perchè - lo affermò il Sondheimer - la nuova dialogica strumentale boccheriniana appare «il più importante fatto dell'arte moderna», ponendo anzitutto a base del discorso dei pensieri, sui quali in seguito si potè erigere l'edificio architettonico della forma. Una allusione su tali possibilità formali si era già fatta, a Roma, in Arcadia, a proposito delle Sonate a quattro (op. 1, 2, 3 e 4) di Arcangelo Corelii (1681-1694).

L'editore di fiducia del Boccherini a Parigi era il Pleyel. Fu questo editore-musicista a incitare il maestro di Lucca a scrivere con minore severità, ma con maggior fretta e con più ampie concessioni per il pubblico grosso. Evidentemente il Pleyel voleva sfruttare in modo eccessivo la prodigiosa ispirazione del Boccherini. Ma il compositore italiano, con una famosa lettera in data 18 marzo 1799, rispondeva in tal modo: «Sono quarant'anni che sono scrittore e non sarei Boccherini se avessi scritto come voi mi consigliate. Non si può mantenere il vostro consiglio, cioè la facilità e brevità: in questo caso addio modulazioni e intreccio delle idee prescelte. Non v'è cosa peggiore che legare le mani a un povero autore, cioè mettere limite all'idea e immaginazione di questo, assoggettandolo a precetti». Ma, per mostrarsi accondiscendente, Boccherini promise al Pleyel che d'ora in avanti avrebbe scritto «due» composizioni secondo il suo stile e «quattro» secondo i consigli dell'editore. Però, a dire il vero, tali composizioni, scritte per il comune gusto delle folle, non sono capitate sotto gli occhi degli studiosi. Esistono davvero o è giustificato pensare che il musicista si beffò dell'editore?

Il Duetto notturno in mi bemolle maggiore «La buona notte» è una composizione senza data, senza numero d'opera e rimasta inedita. Essa non è citata nemmeno nell'elenco delle opere redatto dall'autore. Due copie sono state rintracciate nel Fondo Noseda della Biblioteca musicale del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano e nella Biblioteca della Basilica di «Sant'Antonio» a Padova. Nella copia padovana manca la parte del secondo violino e il Minuetto non corrisponde a quello della copia ambrosiana. Si è dovuta perciò scegliere questa ultima per offrire una composizione più completa e più vicina alle intenzioni dell'autore.

Mario Rinaldi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 maggio 1963

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 24 gennaio 2015