Sestetto n. 4 in fa minore per archi, op. 23 n. 4, G 457


Musica: Luigi Boccherini (1743-1805)
  1. Allegro moderato (fa minore)
  2. Minuetto con moto (fa maggiore) - Trio (si bemolle maggiore)
  3. Grave assai (si bemolle minore)
  4. Finale: Allegro ma non presto (fa maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, 2 violoncelli
Composizione: 1776
Edizione: Sieber, Parigi, 1780 circa (come op. XXIV n. 5)
Guida all'ascolto (nota 1)

Se è difficile individuare un processo di sviluppo coerente nell'opera di Boccherini, imputabile al suo isolamento in terra spagnola, è però possibile riconoscere in alcuni compositori dell'epoca le matrici del suo linguaggio. Ricordiamo i nomi di Sammartini e Nardini, oppure di Gossec e Schobert, anche se in realtà Boccherini è sempre estremamente eccentrico, rispetto ai coevi. Convivono nel suo linguaggio modelli standard della musica da camera italiana (con il violino sempre in evidenza) e frequenti eccezioni come l'uso del violoncello nel registro acuto e con uno stile melodico particolarmente ornato. Certo Boccherini era un virtuoso del violoncello, ma anche la tecnica strumentale di violino e viola è complessa, e ciò si spiega con il fatto che il compositore scriveva per sé e per i suoi amici virtuosi, tenendo presente più la pratica del fare che non i modelli da seguire. Composto nel 1776, il Sestetto op. 23 n. 4 fa parte di un gruppo di sei Sestetti definiti dallo stesso autore come «opera grande», ossia una composizione di ampie dimensioni, di solito in quattro movimenti. Rientra tra le prime opere che videro la luce durante il soggiorno del compositore ad Arenas de San Pedro (nella provincia di Avila, 1776), la residenza in cui l'infante di Spagna Don Luis, reo di essersi innamorato e di aver sposato una donna di ceto inferiore, venne "esiliato" con famiglia e seguito. La dimora era un'isola di pace e svaghi artìstici, luogo ideale per la crescita e la maturazione del compositore che, ancor prima della grande produzione viennese (soprattutto in campo sinfonico), ci offre già un mondo musicale di grande complessità e raffinatezza. Ad esclusione di una composizione di dubbia autenticità, i sei Sestetti dell'op. 23 rappresentano l'unico gruppo di composizioni di Boccherini per sestetto di soli archi. Nella scrittura si nota una predilezione per lo stile "concertante", dove tutti gli strumenti dialogano senza prevaricazioni. Tra gli elementi che contraddistinguono i suoi processi compositivi, uno in particolare colpisce l'ascoltatore, ed è il ritmo sincopato, ossia quel modo di far procedere la musica spostando gli accenti dal tempo forte della battuta a quello debole: si mantiene così la vitalità dell'accompagnamento e la melodia acquista una particolare energia nervosa.

Raramente si ha la "fortuna" di ascoltare i Sestetti di Boccherini e non sappiamo se ciò sia dovuto alla scarsa diffusione del genere (e all'eccezionalità di trovare un gruppo di esecutori all'altezza), o ad un implicito giudizio negativo della storia sul loro valore. In effetti il sestetto si pone in una posizione particolare, al confine com'è tra musica da camera e sinfonia, ed è diffìcile stabilire qual è il rapporto tra questa formazione e i quartetti o i quintetti, oppure con la sinfonia. Tutto ciò si traduce in una difficoltà di analisi proprio perché incerto è il "luogo di nascita" (esiste una forma mentis per il sestetto?) e la destinazione (la camera o la sala da concerto?). A tutto ciò si aggiunge la personalissima adesione del compositore alle forme cosiddette classiche che risultano dunque trasformate ed originali. Dove in Haydn l'armonia assolve ad una precisa funzione costruttiva, le modulazioni in Boccherini hanno un valore di breve durata e non sono cariche di quella tensione che invece è caratteristica del classicismo. Il ritmo, che solitamente sorregge un preciso arco melodico, nel nostro compositore non si condensa in formule "tematiche", è invece cangiante, ricchissimo di moduli. Boccherini evita così i contorni netti sia nel campo dell'armonia che in quello della melodia e del ritmo; «la logica sottesa non è quella razionale del Settecento, ma non c'è ancora un vero e proprio preromanticismo nel senso di una concezione drammatica del discorso musicale. La logica unitaria dei sestetti boccheriniani è di indole fantastica, e procede quindi secondo i principi irrazionali dell'accostamento analogico e della ripetizione-ricordo» (Salvetti).

Nel primo tempo (Allegro moderato) la scrittura strumentale, dall'equilibrio fonico sempre mutevole, asseconda l'indicazione «soave e appassionato» che sembra essere il "sentimento" costante di tutto il movimento. Il Minuetto che segue, pur offrendo per la sua natura uno schema più netto e razionale, è interpretato secondo percorsi desueti e fantasiosi che talvolta possono lasciare lo spazio per veri e propri "a solo" degli strumenti (come nel Trio). Nel terzo movimento (Grave assai) è la tonalità che gioca il ruolo principale: Boccherini scrive, ad inizio di partitura, «dolcissimo», e senza dubbio il "calore" del re bemolle maggiore (come pure del relativo minore) conferisce a questa sezione del Sestetto una qualità particolare, un "affetto" malinconico. Nel Finale (Allegro ma non presto) il ritmo torna a dettare le regole di comportamento delle sei parti: gli accenti sono distribuiti in modo imprevedibile, così da evitare qualsivoglia rigidità dei contorni. Boccherini sfrutta minuziosamente le possibilità di combinazione offerte dai sei strumenti: si va dal contrasto tra acuto e grave, a giochi imitativi solamente all'acuto o al grave, oppure si ricorre alla "violazione" delle regioni del violino da parte di viole e violoncelli. Il compositore usa sovente il raddoppio (all'unisono o all'ottava) degli strumenti, riducendo così formalmente le parti in gioco. Non si tratta però di un impoverimento della scrittura perché, anzi, ora il canto ora il basso armonico vengono così sottolineati, come posti sotto una lente d'ingrandimento sonoro.

Fabrizio Scipioni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 febbraio 1996

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Ultimo aggiornamento 26 marzo 2014