Otto Klavierstücke (Pezzi per pianoforte), op. 76


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)

Parte I:
  1. Capriccio - Un poco agitato (fa diesis minore)
  2. Capriccio - Allegretto non troopo (si minore)
  3. Intermezzo - Grazioso (la bemolle maggiore)
  4. Intermezzo - Allegretto grazioso (si bemolle maggiore)
Parte II:
  1. Capriccio - Agitato ma non troppo presto (do diesis minore)
  2. Intermezzo - Andante con moto (la maggiore)
  3. Intermezzo - Moderato semplice (la minore)
  4. Capriccio - Grazioso ed un poco vivace (do maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1879
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal del Conservatorio, 4 gennaio 1880
Edizione: Simrock, Berlino, 1879
Guida all'ascolto (nota 1)

Pur basandosi su una tesi controversa e piena di insidie, anche nel caso di Brahms è invalsa l'abitudine di suddividere la sua produzione in vari «periodi» (questione che ha fatto versare fiumi di parole anche nella critica beethoveniana). Uno stralcio in proposito dal testo di Schmidt: «Le composizioni per pianoforte di Brahms si possono riferire a tre periodi nettamente distinti: il primo, caratterizzato dalle Sonate giovanili, si chiude nel 1854. Il compositore si dedicò quindi al genere della variazione, attorno al quale lavorò costantemente per nove anni. La terza fase inizia - come si può rilevare dal catalogo che lo stesso Brahms redasse - nel 1878. A partire da quell'epoca egli compose - in campo pianistico - esclusivamente "brani lirici" isolati, che vennero raggruppati, in mancanza di definizioni migliori, nella categoria di "pezzi per pianoforte". Brani che si possono considerare omologhi strumentali dei Lieder». Ma Schmidt aggiunge però: «È probabile che, nel caso dell'Op. 76 e delle raccolte di "Charakterstücke" Op. 116 - Op. 119, Brahms vi abbia incluso progetti precedenti: le date non devono quindi indurre a pensare che fra le Variazioni giovanili e gli ultimi lavori vi sia stato un vuoto assoluto di quindici anni».

Con l'Op. 76, la prima importante raccolta di «Klavierstùcke», si entra dunque nell'ultimo periodo creativo di Brahms. Il pianoforte che torna in scena è un pianoforte «nuovo», accompagnato da una «nuova» Stimmung - tutti i critici concordi nel parlare di svolta, di cambiamento di rotta, di conquista fondamentale: un pianoforte che si nutre di poesia assoluta, indifferente ad occasioni esteriori; un pianoforte che influenzerà la produzione collaterale e che diverrà, negli ultimi anni, portavoce dei messaggi più personali ed intimi dell'autore (nelle tante sfumature scoperte nei testi: «intimismo elegiaco», «isolamento riflessivo», «lirismo introspettivo», «confessione personale», «erramento sentimentale»), A tali sfumature psicologiche corrispondono altrettante definizioni scelte dai commentatori, utili a chiarire i contorni di tali brani: «Monologe», «Stimmungsbilder», «Moments musicals», «Albumblätter», «Lyrische Stücke». Si tratta di pezzi che costituiscono - come scrive Martinotti - «un diario spirituale, una raccolta di notazioni personali e segrete, di stati d'animo dibattuti tra slanci velleitari, tristezza domestica, tra grigiore nostalgico e struggente delicatezza»; pagine che rifuggono da emozioni ben definite e trovano la loro vocazione in una pudica riservatezza. Sul piano della forma Brahms abbandona le trame classiche, come pure quelle logore del romanticismo di maniera; sul piano dei timbri richiama le sfumature buie delle opere giovanili; a livello di tecnica compositiva l'autore privilegia una prosa libera, distesa, «economica», nella quale prende importanza il principio della cosiddetta «variazione sviluppante». Nonostante certe analogie di fondo, non vi è nulla delle «miniature» del primo Ottocento (di Schubert, Schumann, Mendelssohn o Chopin) e nemmeno dei fragili balbettii di compositori tipo Kirchner, «abile miniaturista musicale, sognatore di piacevoli fantasticherie, ma irrimediabilmente consegnato a posizioni di epigono, privo di autonomia creativa» (Bussi).

Necessaria a questo punto un'anticipazione sulle classificazioni che Brahms adotterà per questi brani pianistici: pur nella consapevolezza che i titoli siano «forme vuote» e non corrispondano più alla concezione d'origine. Tra le formule ricorrenti: le Rapsodie (in realtà pagine poco rapsodiche in quanto a libertà strutturale); gli Intermezzi, brani generalmente lenti, che privilegiano una dimensione meditativa; e i Capricci, rapidi ed estrosi - capricci dell'invenzione, non del virtuosismo - il cui carattere notturno, tormentato, a volte sinistro, richiama il tono delle Ballate giovanili. «Siamo ancora, - confermano i critici, - nell'universo di Theodor Storm o di Friedrich Hebbel». Musica della memoria dunque.

Qualche riga sull'Op. 76. La raccolta nasce nel 1878, negli stessi mesi del Concerto per violino Op. 77, in quel paradiso trovato a Pörtschach, sul lago di Worth in Carinzia: luogo effettivamente benedetto, se si pensa che nell'estate precedente a Pörtschach Brahms aveva composto la Seconda Sinfonia ed un'infinità di pagine vocali.

La raccolta pianistica è costituita da otto brani. Pare che Brahms, in un primo momento, avesse pensato a un titolo generale più oscuro («Aus aller Herren Landern», cioè «Ai Signori della Terra») per ripiegare poi su quello generico di «Pezzi per pianoforte»: una sorta di Suite ideale in cui ogni brano, completamente autonomo, si aggancia a quello vicino grazie ad una rete di affinità o contrasti (agogici, ritmici, dinamici, tonali).

Il Capriccio n. 1 è basato su un unico tema, incredibilmente fertile: tentato da mille suggestioni musicali (Chopin e Mendelssohn soprattutto), viene trattato con un'abilità contrappuntistica che ha sbalordito ogni commentatore. Un caposaldo brahmsiano, in effetti, dove la scienza del contrappuntista si unisce al talento dell'improvvisatore e alla sensibilità del poeta. Questo Capriccio venne offerto a Clara per il suo cinquantaduesimo compleanno (la quale - capricciosa - lo trovò «orrendamente difficile»). Il brano n. 2, uno dei più noti del compositore, è invece apprezzato per un taglio amabile e affettuoso, che si delinea attraverso vari momenti, momenti di gioco, di scherzo, di sperimentazione intellettuale, di abbandono melodico. Poi due Intermezzi: il n. 3, trasparente ed essenziale, fa scoprire timbri preziosi e colori raffinati, sino a lasciare «un'emozione allucinata» (indimenticabile quell'accompagnamento che ricorda il liuto); il n. 4, pur nella sua riservatezza, è animato da singolare fluidità: ricco di ombre e di variegature, si abbandona alla fine ad un canto spianato e commosso.

A questo punto la «pagina-chiave» della raccolta: il Capriccio n. 5 - cosi teso da sconfinare in una specie di Scherzo (scontato il riferimento a Beethoven) - in cui la violenza emotiva del passato è dominata da mano sicura: «contrasti, sovrapposizioni, perturbazioni, sincopi, equivoci, irregolarità, contrazioni, espansioni», questi gli elementi che secondo Bussi lo caratterizzano.

Altri due Intermezzi. Il n. 6, pur aprendosi con una melodia apparentemente serena e sognante, trasmette in verità un indefinibile malessere. Rinuncia, solitudine e rimpianto sembrano esserne le premesse; inquietudine e disagio il risultato: il tutto sottolineato da quell'instabilità ritmica prediletta da Brahms (addirittura tre metri sovrapposti: un ritmo di 2/4, una «pulsazione» in 6/8 e terzine di crome). L'Intermezzo n. 7 si avvicina di nuovo al clima delle Ballate: nella grandezza misteriosa del suo primo motivo e nella delicatezza appannata della seconda idea, interrotta da continui sospiri, si riascolta davvero il respiro delle antiche leggende del Nord.

Dopo un lungo percorso si approda cosi al Capriccio finale, che ripropone il tono sciolto della pagina d'inizio: un brano dal profilo di «studio» o di «toccata», anche perché mancano temi ben definiti. Affascinante la cangiante ricchezza di questa importantissima pagina l'episodio centrale, con i suoi densi accordi-arpeggi, testimonia un eccezionale potere comunicativo; la Coda mostra invece la poesia e la tenerezza di cui l'autore è capace. Il Capriccio è stato considerato un «piccolo capolavoro» per l'invenzione fuori dal comune e per le soluzioni armoniche decisamente ardite (e tipicamente «fine secolo», aggiunge Tranchefort).

Prima esecuzione pubblica dell'Op. 76 a Berlino, 29 ottobre 1879, per merito del «paladino brahmsiano» Hans von Bülow, celebre direttore d'orchestra e pianista.


(1) Amedeo Poggi e Edgar Vallora - Brahms. Signori il catalogo è questo! - Giulio Einaudi editore, Torino, 1997

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 15 settembre 2019