Quartetto per pianoforte n. 2 in la maggiore, op. 26


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro non troppo (la maggiore)
  2. Poco Adagio (mi maggiore)
  3. Scherzo. Poco Allegro (la maggiore).Trio (fa maggiore)
  4. Finale. Allegro (la maggiore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: 1860 - 1861
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 29 Novembre, 1862
Edizione: Simrock, Bonn, 1863
Dedica: Elisabeth Rösing
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La produzione degli anni giovanili di Brahms è dominata dalla presenza del pianoforte, sia da solo sia inserito in complessi cameristici; prima di affrontare il grande repertorio sinfonico, il compositore esplorò tutte le possibilità "orchestrali" del suo strumento preferito, conferendogli un ruolo decisamente predominante. Tratto comune, infatti, alle tre composizioni della sua musica da camera dedicate al desueto organico del concerto odierno (Quartetto in sol minore op. 25, in la maggiore op. 26 e in do minore op. 60) è il trattamento privilegiato del pianoforte rispetto agli archi che al confronto appaiono meno ricchi di sonorità e possibilità espressive. Il percorso musicale di Brahms non fu dei più facili poiché, dalla morte di Schubert, il genere cameristico si era quasi eclissato e fu lui a doverne risvegliare lo spirito (certamente una grande responsabilità). C'era stata molta musica da camera ma non si erano più raggiunti quegli ideali classici elevati che rimandavano alla produzione beethoveniana; Brahms sentiva fortemente quell'eredità e si adoperò a rigenerarla per il secolo successivo. L'estrema abilità di trattare forme classiche aprendole a nuovi orizzonti è forse la testimonianza più evidente (insieme a molte altre) di quello che Arnold Schönberg riconosceva nel suo saggio Brahms il Progressivo (contenuto nel volume Stile e Idea), e cioè che il compositore «il classicista, l'accademico, fu un grande innovatore nella sfera del linguaggio musicale», quindi non un epigono ma un "rigeneratore" dei modelli classici. (Per inciso, ricordiamo che il maestro della dodecafonia rese omaggio al valore della musica brahmsiana realizzando, nel 1937, una trascrizione orchestrale, proprio del primo Quartetto in sol minore op. 25 per pianoforte e archi). Nel corpus della produzione brahmsiana le composizioni giovanili sembrano sovrapporsi: l'impressione è che il compositore getti sul pentagramma tutto ciò che gli passa per la testa rimandando ad un secondo momento il processo di elaborazione. Le idee avevano così il tempo di sedimentare e Brahms vi ritornava negli anni successivi accogliendo anche i suggerimenti degli amici, tra cui Clara Schumann e il violinista Joseph Joachim. Dopo il Quartetto op. 25 (una lunga gestazione, tra il 1857 e il 1861), Brahms era consapevole delle proprie possibilità e il Quartetto op. 26 (composto nel 1861) è proprio al bivio tra modernità e passatismo, carico com'è di elementi arcaicizzanti che rimarranno nella cultura musicale contemporanea. Il vigore giovanile sta lasciando il terreno alla disciplina del lavoro compositivo, la forma appare più convenzionale (senza accezioni negative) e la temperatura meno accesa, mentre il fascino del lavoro sta nella variazione e nella permutazione del materiale tematico, apparentemente inesauribile. L'elemento più interessante nel primo movimento (al di là della bellezza intrinseca degli spunti melodici) è proprio il modo in cui il compositore utilizza i temi nella sezione centrale. Spogliato d'ogni consistenza melodica e armonica, il ritmo del primo tema si ripresenta nello Sviluppo, un ricordo quasi spettrale e inconsistente. Da qui prende l'avvio un nuovo mondo sonoro decisamente più drammatico per via delle originali tonalità affrontate e per la densità della scrittura pianistica. È questa dunque la visione di Brahms riguardo alla forma-sonata, un'architettura rispettata dal compositore che però non poteva ignorare le profonde modifiche apportate dai romantici alla struttura di base; in particolare la sua operazione si concentra su tutti i punti di snodo (eredità beethoveniana), nel tentativo di annullare le cesure e gli stacchi tra le varie parti del movimento. In questo, quindi, osserviamo Brahms impegnato a calare nelle severe forme classiche una sensibilità fatta di sottigliezze e di malinconie tipiche di fine secolo.

Originalissima la struttura del secondo tempo (Poco Adagio) formato da sezioni stilisticamente diverse e apparentemente senza connessioni, legate però da quella urgenza espressiva che è tipica della fervida mente brahmsiana. L'inizio è dei più semplici, con una melodia dalle linee chiare ed essenziali; a poco a poco, annunciata da un piccolissimo inciso di due note per grado congiunto, ci troviamo in una regione completamente diversa sia armonicamente sia come genere. Il pianoforte, nel registro grave, si scioglie in lunghi arpeggi che fanno pensare ad un Improvviso, ad una Fantasia, generi abituali nel Romanticismo che qui assumono un sapore più forte perché posti a contrasto con quell'inizio così classico. Nell'ultima parte del movimento i due mondi finiranno per sovrapporsi in quella sintesi straordinaria tra l'aspetto colto e razionale della poetica del compositore e quello più rapsodico e immaginifico. Anche nello Scherzo si ripropone il dualismo tra modernità e tradizione; la macrostruttura fa riferimento ad un Minuetto proveniente direttamente dal Settecento (sembra di intravedervi il Minuetto del Quartetto op. 76 n. 3 per archi di Haydn), ma i materiali impiegati sono più strutturati e la scrittura si raggruma intorno ad armonie ambigue cui gli strumenti offrono tutta la loro partecipazione, liberi finalmente di dialogare in un tessuto più polifonico rispetto agli altri tre movimenti.

Il Finale. Allegro che conclude il Quartetto ha una forma regolare e rimanda a quei finali con atmosfere popolari e ritmi quasi di danza familiari ad Haydn (con le debite differenze nel trattamento, possiamo anche pensare al Rondò alla Zingarese che concludeva il precedente Quartetto con pianoforte n. 1 op. 25). Il percorso armonico è così semplificato che risultano predominanti le caratteristiche ritmiche, in particolare la sincope della prima parte dell'inciso tematico; il semplice spostamento d'accento dal tempo forte a quello debole della battuta è sufficiente ad imprimere all'Allegro un'irruenza espressiva naturale, quasi ingenua, che poi scomparirà nella successiva produzione di Brahms, decantata dall'esperienza e dalla sapienza compositiva. Non c'è solo il ritmo in questo ultimo movimento ma è certo in contrasto all'energia iniziale che emergono alcuni momenti apparentemente statici, con lunghi accordi, in cui il compositore concentra le tensioni armoniche; queste vengono risolte senza misteri, in direzioni note ad un orecchio ottocentesco che vi avrebbe percepito, però, l'approssimarsi della fine del vecchio concetto di tonalità.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Quartetto in la maggiore op. 26 è un'opera dalle ampie proporzioni e dalla grande ispirazione. L'enorme massa di materiale musicale di cui si sostanzia questa pagina viene organizzata, variata e sviluppata da Brahms con grande maestria e con una fluidità subito evidente al primo ascolto.

Equilibrio, serenità e dolce raccoglimento emergono fin dal primo movimento, Allegro non troppo: il primo tema, dolce e sereno, viene annunciato dal pianoforte e subito ripetuto dagli archi uniti. Il secondo tema, lirico e sognante, precede un nuovo appassionato spunto melodico del violino; la coda dell'esposizione viene di fatto annunciata dal terzo tema, un motivo ritmico e dal carattere di marcia presentato da violino e viola seguiti dal pianoforte. Lo sviluppo si apre con un serrato dialogo fra violoncello e violino, seguito da quello fra pianoforte e archi basato sul primo tema. Un drammatico episodio in imitazione fra archi compatti e pianoforte conduce all'appassionata ripetizione del tema di marcia. Regolare la ripresa seguita da una coda serena e distesa, nella quale dominano elementi motivici del primo tema.

Il Poco Adagio è senza dubbio il centro emotivo dell'intero Quartetto; il suo tema principale, sognante e nostalgico, viene esposto dal pianoforte sopra un delicato movimento in crome degli archi con sordino; quasi improvvisamente Brahms gli fa seguire un episodio contrastante basato su misteriosi arpeggi del pianoforte una corda. Tipicamente brahmsiana è invece la romantica frase del pianoforte in progressione ascendente che precede l'episodio centrale di sviluppo, aperto da una specie di corale (solo archi) e proseguito dal canto del pianoforte sorretto ritmicamente dagli archi. La ripresa vede scorrere tutti i temi precedentemente esposti; notevole è l'ultima ripetizione del tema principale, presentato dall'intero quartetto in una meravigliosa veste timbrico-sonora.

Lo Scherzo non ha nulla della veemenza quasi aggressiva di molte pagine brahmsiane ma è basato su due temi tranquilli: il primo, morbido e sinuoso, viene presentato dagli archi soli e poi ripetuto dal pianoforte; il secondo, gioioso e saltellante, è proposto dal pianoforte e ripreso poi da violino e violoncello. La coda dello Scherzo è basata su elementi del tema principale che si combinano in una precipitosa frase conclusiva. Il Trio ha un fascino un po' rustico di certe pagine haydniane e presenta due temi: nel primo alle pesanti ottave del pianoforte rispondono gli archi compatti, nel secondo udiamo invece un delicato richiamo di caccia affidato agli archi.

Energico, trascinante e ricco di inventiva melodica, il Finale ha un tema principale pieno di contagiosa vitalità ritmica seguito da un'idea secondaria dallo slancio ascendente. Il secondo tema, più introverso e chiuso del precedente, è seguito da un'intensa idea melodica del pianoforte. Una terza idea tematica, lirica e meditativa, precede la coda dell'esposizione, che si spegne cullandosi in pianissimo, per poi d'improvviso accendersi nella ripresa del tema principale. Un episodio centrale di sviluppo, che si basa sull'elaborazione in progressione dell'incipit del tema principale, porta direttamente alla ripresa di tutti i temi precedenti; da segnalare una sorta di incantata e dolcissima ninna nanna costituita dal pizzicato di viola e violoncello sopra il movimento melodico ripetuto del violino e i delicatissimi accordi del pianoforte.

Alessandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 18 Aprile 1997
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 260 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 24 luglio 2011