Quartetto per pianoforte n. 3 in do minore, op. 60


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro non troppo (do minore)
  2. Scherzo. Allegro (do minore)
  3. Andante (mi maggiore)
  4. Finale. Allegro comodo (do minore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: 1855 - 1875
Prima esecuzione: Ziegelhausen (Heidelberg), 18 Novembre 1875
Edizione: Simrock, Berlino, 1875
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I tre Quartetti con pianoforte di Johannes Brahms op. 25 in sol minore, op. 26 in la maggiore e op. 60 in do minore giungono al termine del suo periodo Sturm und Drang e all'inizio del suo personale "classicismo" nel quale pur mantenendo la divisione fra le varie sezioni della forma-sonata, ammorbidisce e fluidifica i contrasti tematici attraverso l'elaborazione progressiva del materiale musicale.

La composizione del Quartetto in do minore op. 60 ebbe inizio intorno al 1855, quando l'amico e mentore Robert Schumann accusava gli atroci tormenti della malattia mentale che l'avrebbe di lì a poco portato alla morte. Insoddisfatto della sua opera e disturbato da questi eventi, Brahms decise di abbandonare il Quartetto; soltanto 17 anni più tardi, nel 1873, l'opera tornò a interessare il musicista che ne cambiò la tonalità, ne rivide il primo movimento, inserì uno Scherzo fra il movimento d'apertura e l'Andante e compose ex novo il Finale. Il lavoro venne concluso nel 1875, esattamente vent'anni dopo la sua prima concezione. Ma il carattere drammatico e appassionato di questa pagina rimase inalterata e si rifà a quegli anni tormentati della vita del musicista amburghese.

L'Allegro non troppo si apre con un'introduzione lenta, quasi misteriosa, caratterizzata dai cromatismi degli archi; una perentoria scala discendente lancia il primo tema esposto dal pianoforte con slancio appassionato. Ha un carattere disperatamente eroico («immaginate un uomo costretto a spararsi, perché non esiste per lui altra soluzione», come sembra abbia confessato lo stesso Brahms in proposito); una delicata transizione costituita da fluide quartine degli archi stempera un poco il clima emotivo e conduce al secondo tema in mi bemolle maggiore, più lirico e "aperto" e a un terzo tema, anch'esso in mi bemolle maggiore, esposto dal pianoforte con fiera solennità sopra il ritmo ostinato e tambureggiante di violino e viola e il pizzicato del violoncello. L'esposizione si conclude con una ripresa del secondo tema, ora esposto con slancio da pianoforte e violino. Lo sviluppo è agitato e inquieto, dominato dall'impeto ritmico ed emotivo del tema principale, solo in parte placato dalla riproposta del terzo tema in imitazione fra gli archi, col pianoforte che ribolle nei bassi con inquiete terzine di ottavi. Il ritorno delle fluide quartine della transizione seguite da elementi dell'introduzione lenta prelude alla ripresa del secondo tema (ora in sol maggiore), dolcissimo nel caldo registro della viola. Segue un episodio di grande suggestione timbrica, giocato sul registro acuto del pianoforte, la ripresa del terzo tema (sol maggiore) e una eroica e conclusiva ripresa del tema principale (strappate degli archi e scattanti terzine del pianoforte). Una drammatica coda in do minore fa riprecipitare il tema principale nel baratro della disperazione iniziale.

Lo Scherzo, tripartito, si apre con un tema incisivo, caratterizzato dall'incessante scansione del ritmo ternario, che ricorda il Brahms eroico della opere pianistiche giovanili, seguito da un secondo tema, dal carattere di serena danza popolare. L'intermezzo centrale presenta un nuovo motivo cantabile affidato agli archi, mentre nel pianoforte si ode ancora l'incessante ritmo ternario della prima parte, cui fa seguito lo sviluppo del tema principale, che ci appare ora in tutto il suo carattere leggendario ed eroico. Regolare la ripetizione della prima parte, seguita da una coda che conclude la pagina in tonalità maggiore.

L'Andante, in forma di Lied tripartito, si apre con un dolcissimo canto d'amore del violoncello, sostenuto dalle delicate armonie del pianoforte; l'ingresso del violino, che ripete il tema principale col controcanto del violoncello rappresenta un momento lirico di straordinario incanto sonoro. Anche il tema secondario, giocato in seste da violino e viola, è dolce e sognante. La parte centrale del movimento è costituita da una ragnatela di delicate terzine di crome del pianoforte, sopra le quali si innesta un motivo cromatico sincopato esposto da violino e viola; poi il discorso musicale sembra quasi sfilacciarsi e arrestarsi preparando la ripresa della prima parte.

Nel Finale troviamo i tormenti del primo movimento uniti alla dolce cantabilità del secondo; il primo tema viene esposto dal violino sopra una sorta di moto perpetuo in crome del pianoforte; un'impetuosa transizione conduce al tema secondario, più appassionato e trascinante del primo, esposto da violino e viola sopra gli arpeggi in ottave spezzate del pianoforte. Il secondo tema è invece costituito da una sorta di corale degli archi al quale risponde il pianoforte con guizzanti arpeggi discendenti. Lo sviluppo è più tormentato: la prima parte è basata sull'incipit del primo tema (archi) abbellito dalle quartine di crome del pianoforte, la seconda invece vede l'elaborazione di alcuni elementi del secondo tema (archi); nella terza parte si accendono i toni drammatici della pagina con un'intensa progressione basata sull'incipit del primo tema. Regolare la ripresa (notevole la solenne ripetizione del secondo tema, affidato ora ai possenti accordi del pianoforte, cui rispondono gli archi con arpeggi discendenti in staccato); nella coda finale il discorso musicale si placa e scivola delicatamente verso la conclusione in maggiore.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Che cosa sia la musica da camera e qual'è la sua caratteristica e la sua funzione nella tradizione artistica dell'Ottocento tedesco ce lo dice Paul Hindemith nel suo libro teorico e critico «A Composer's World» apparso nel 1952 e ricco di spunti e di riflessioni non solo musicali. « In una sala molto piccola - scrive il compositore di Hanau - in, una stanza di soggiorno possiamo discernere chiaramente le linee melodiche più elaborate, le armonie più complesse e gli schemi ritmici più intricati, perché siamo in strettissima relazione spaziale con la fonte del suono. E inoltre gli strumenti e i cantanti possono far uso delle più raffinate sottigliezze di tecnica, perché nulla andrà perduto, e gli stessi esecutori possono comunicare le loro impressioni direttamente, come in una conversazione privata. Il compositore che scrive per tali condizioni gode della massima libertà possibile per sviluppare la propria tecnica nei campi più esoterici. Quasi ogni cosa ch'egli scrive ha probabilità d'essere presentata nitidamente e chiaramente percepita. Nulla di strano perciò che la musica da camera sia sempre stata il mezzo preferito per l'audacia tecnica, per quanto riguarda l'applicazione degli elementi musicali».

Ora questo piacere di discorrere familiarmente tra gente colta, che sa cogliere allusioni e sfumature tra le pieghe di un discorso anche elevato e complesso, trova la sua collocazione più naturale e caratteristica nella musica da camera di Brahms. Questi la coltivò affettuosamente per lunghi anni, dopo i lavori giovanili prevalentemente pianistici e prima di affrontare nella piena maturità la composizione sinfonica, con quella Prima Sinfonia che Hans von Bulow considerò come la continuazione della «Nona» beethoveniana. Riunendo i soli strumenti ad arco, con o senza la presenza antagonista del pianoforte, e aggiungendo qualche volta la suggestione timbrica d'uno strumento a fiato (il corno o il clarinetto) Brahms studiava a fondo il materiale sonoro e analizzava gli equilibri fonici e la varietà timbrica del trio, del quartetto, del quintetto e del sestetto d'archi, considerati ognuno secondo le proprie esigenze e possibilità espressive. Ed ecco scaturire da queste premesse l'intimità confidenziale del discorso cameristico brahmsiano, venato di malinconia e di luce crepuscolare che si insinuano perfino nella «Träumerei», nei fantasiosi sogni dei più carezzevoli e brillanti Allegretti. Questa sigla spirituale, arricchita dai popolareschi ritmi tzigani e addolcita dai richiami al valzer viennese, si ritrova nell'intero arco della produzione del maestro di Amburgo in questo specifico settore: dai tre Trii per pianoforte, violino e violoncello (op. 8 in si bemolle maggiore, scritto nel 1854, pubblicato nel 1859 e rifatto nel 1891; op. 87 in do maggiore del 1882; op. 101 in do minore, scritto nell'estate del 1886) al Trio op. 40 per pianoforte, violino e corno (1865) al Trio op. 114 per pianoforte, violino e clarinetto (1891); dai tre Quartetti con pianoforte (op. 25 in sol minore del 1861; op. 26 in la maggiore del 1862; op. 60 in do minore, pubblicato nel 1875) ai tre Quartetti ad arco op. 51 n. 1 in do minore e n. 2 in la minore (pubblicati nel 1873) e op. 67 in si bemolle maggiore (1875) fino al Quintetto con pianoforte op. 34 in fa minore (1864), ai due Quintetti ad arco op. 88 in fa maggiore (1882) e op. 111 in sol maggiore (1890) e al sublime Quintetto con clarinetto op. 115 del 1891, per non dimenticare i giovanili Sestetti ad arco op. 18 e op. 36.

Ognuno dei tre Quartetti con pianoforte ha una sua precisa fisionomia psicologica, ma non c'è dubbio che il terzo Quartetto in do minore op. 60 presenta un'articolazione più complessa e più ricca di spunti emozionali, in quanto la composizione di quest'ultimo lavoro ha una storia legata agli anni in cui il musicista, dopo la morte di Schumann, si era avvicinato alla vedova Clara Wieck, pur non avendo manifestato il coraggio di unire la propria vita alla sua. All'amico Hermann Deiters, cui mostrava nel 1868 il primo tempo dell'op. 60, un Allegro non troppo di tormentata densità sonora, Brahms disse: «S'immagini un uomo che vuole sopprimersi e al quale non resta nessun altro scampo». E ancora nel 1874, quando trasportando la tonalità da diesis minore a do minore ne cambiava il Finale e aggiungeva lo Scherzo, Brahms ne tornò a parlare al chirurgo e amico Theodor Billroth come di una composizione illustrante «lo ultimo capitolo dell'uomo in frak bleu e in panciotto giallo»: evidente allusione all'infelice protagonista del romanzo di Goethe «Die Leiden des jungen Werther», confermata in seguito dai frequenti accenni alla situazione del giovane Werther, contenuti nella corrispondenza fra Brahms e Billroth pubblicata nel 1935.

Naturalmente queste considerazioni non hanno un valore programmatico e aiutano a far capire lo stato d'animo brahmsiano dal quale è sbocciato il Quartetto in do minore, nella stessa tonalità della Quinta Sinfonia di Beethoven. L'Allegro del primo movimento è contrassegnato da un senso di agitazione e di insoddisfazione nella sua continua tensione armonica. Ritmicamente vivace e marcato è il successivo Scherzo, in cui il pianoforte sembra trascinare gli altri strumenti in una temperie di romantica passionalità. Va tenuto presente che lo Scherzo non è altro che la trasformazione del terzo tempo di una sonata per violino scritta nel 1854 in collaborazione con Schumann e Dietrich. Nell'Andante l'autore si immerge in quella penosa e introversa stimmung, tipica del suo intimismo musicale. Lo spigliato allegro finale vuole essere una compenetrazione tra schema classico e spirito di «Sturm und Drang» e testimonia, oltre tutto, delle capacità inventive e costruttive del compositore, nel sicuro dominio della forma.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La musica da camera conta venticinque numeri d'opus nel catalogo di Johannes Brahms, su un totale di cento ventidue. Occupa dunque un posto superiore a quello della musica sinfonica e comparabile solo a quello della musica per pianoforte, con cui ha in comune anche il tono di confidenza, e talvolta di confessione, ma con una preoccupazione formale più esigente e assolutamente classica. Nei primi anni dell'attività di Brahms le composizioni cameristiche sono assolutamente sporadiche (ma l'interesse per questo genere già era presente, come si deduce dalle partiture iniziate e lasciate incompiute), mentre a partire dai trent'anni si succedono con una certa regolarità, fino alla fine, e questo a differenza della produzione sinfonica, che si concentra nel periodo centrale della sua vita.

Come si può descrivere in poche parole la musica da camera di Brahms? Una prima osservazione può riguardare la propensione alle formazioni strumentali inusuali, come i sestetti per archi e il trio per pianoforte, violino e corno (o anche i quartetti con pianoforte, che avevano qualche precedente di rilievo solo in Mozart e nell'amatissimo Schumann). Invece la classica formazione del quartetto per archi fu abbordata da Brahms tardi, quasi con riluttanza e timore, intimidito non solo e non tanto da un genere considerato elevato e difficile quanto dalla gigantesca ombra che vi gettava Beethoven. Sul piano formale, Brahms non azzarda nessuna innovazione particolare - a differenza di quanto fecero, per esempio, Schumann immediatamente prima di lui e Franck nei suoi stessi anni - e segue gli schemi classici, come ossessionato dal bisogno di disciplina e d'equilibrio, ma con grande ricchezza d'invenzione, unita però a un'inattesa leggerezza di scrittura, pur nella profusione di combinazioni orizzontali, verticali, ritmiche, ornamentali e timbriche, che alimentano straordinari sviluppi e immense code. In questo ampio e solido quadro formale si spande una straripante vena melodica, per cui anche nella tradizionale forma-sonata prolifera un'abbondanza di idee tematiche che aggira e supera lo stretto bitematismo. Emerge spesso anche la scienza contrappuntistica e polifonica, che Brahms possiede come nessun altro suo contemporaneo, ma altrove - talvolta anche nello stesso momento - gli strumenti sono trattati in modo liberamente concertante oppure rivelano un estro improvvisatorio zingaresco. La caratteristica più personale e nuova dell'arte di Brahms è proprio questa fusione degli opposti: costruzione e improvvisazione, stile classico e espressione romantica, osservanza della tradizione e sentimento individuale.

Brahms compose il primo e il secondo quartetto con pianoforte a ridosso l'uno dell'altro, fors'anche simultaneamente, ma fece passare quattordici anni prima del Quartetto n. 3 in do minore op. 60, portato a termine nella primavera-estate del 1875 a Ziegelhausen, una tranquilla località appena fuori Heidelberg, sulle rive del fiume Neckar, il cui paesaggio, con la sua mescolanza di grandezza e di intimità, sembrava rispecchiare il carattere della musica da camera di Brahms. Questo terzo quartetto era giunto a maturazione molto lentamente: sembra certo che i primi schizzi risalgano al 1856 e sicuramente Brahms vi mise mano più volte negli anni seguenti, stendendone una versione in do diesis minore prima di giungere nel 1875 alla versione definitiva in do minore. Da questa lunghissima gestazione nacque il più bello dei tre quartetti con pianoforte, in cui si può vedere una summa dell'arte di Brahms nella sua piena maturità, che non abbandona mai completamente gli schemi classici ma se ne allontana in continuazione, per seguire la libera fantasia o l'emozione del momento, e unisce senza sforzo apparente la foga giovanile e la completa maestria della scrittura, posseduta in sommo grado a poco più di quarantanni d'età.

Questo quartetto è anche una confessione, perché nella sua faticosa gestazione si può riconoscere un intenso coinvolgimento autobiografico. I primi anni della sua genesi sono quelli della follia e morte di Schumann, con i violenti conflitti che questo provocò in Brahms, non solo come artista ma anche come uomo, in quanto amico del più anziano maestro e silenziosamente innamorato di sua moglie, Clara. Brahms stesso spiegò il primo movimento in questi termini: "Immagina un uomo cui non resta altra scelta che spararsi". Un'altra volta definì il quartetto "l'ultimo capitolo dell'uomo in marsina azzurra e panciotto giallo", con un chiaro riferimento a Werther. In effetti è difficile immaginare qualcosa di più lugubre dell'Allegro non troppo iniziale. Lo apre un lungo episodio dall'atmosfera indecisa ma molto cupa, che ha valore d'introduzione, poi il pianoforte, accompagnato dagli archi, espone rudemente il primo tema, che suona come un dolore improvviso, una tragica disperazione. Una transizione dal ritmo imperioso e fortemente marcato porta al secondo tema, più chiaro, dal carattere melodico ed espressivo, con una punta di solennità. Ora Brahms si concentra sul primo tema, sviluppandolo assai liberamente, con una grande ricchezza di modulazioni. Il movimento si conclude con una ripresa della prima parte, chiusa da una coda di grande potenza drammatica.

Lo Scherzo (Allegro) è molto libero e mescola la forma del primo tempo di sonata con quella dello scherzo, secondo una combinazione di forme diverse assai familiare a Brahms. Su due temi contrastanti - uno vigoroso e ritmico, affidato al pianoforte, l'altro espressivo e misterioso - Brahms costruisce un movimento drammatico, tempestoso e veemente, perfino selvaggio per certe caratteristiche ritmiche e armoniche: un'immersione in atmosfere Sturm und Drang.

L'Andante, in forma di romanza, è l'unico movimento in tonalità maggiore e rappresenta un momento di distensione in questo tormentato quartetto. Il primo tema, di purissima bellezza melodica, è cantato dal violoncello, sugli accordi sincopati del pianoforte, cui si aggiungono successivamente con meravigliosa delicatezza il violino e la viola. È sintomatico che Brahms eviti qui ogni effetto di contrasto e, prima della ripresa del tema iniziale, inserisca un episodio altrettanto melodico, introdotto dal violino.

Nell'Allegro comodo si ritorna al do minore, che riporta la febbrile e cupa agitazione dei primi due movimenti, sebbene la scrittura contrappuntistica ne attenui i cataclismi e renda il discorso più controllato e austero. Tre i temi principali: il primo ampio e lirico, esposto dal violino sul fitto contrappunto del pianoforte, il secondo molto melodico e cantante, il terzo simile a un corale degli archi, le cui pause sono riempite da un motivo ornamentale discendente del pianoforte. Lo sviluppo combina con libera e scintillante fantasia questi temi, che vengono infine riesposti nell'ordine in cui erano apparsi, precedendo una coda che conclude il quartetto in un rasserenato do maggiore e ha la funzione di una catarsi dopo tanta violenza di passioni.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 260 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 19 maggio 1978
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 29 gennaio 2004

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Ultimo aggiornamento 6 giugno 2013